Perché benedire le case e le famiglie

di Giovanni Poggiali
23-12-2011

 

«Padre, mi benedica!». Ancora oggi non è raro sentirsi chiedere da un fedele una benedizione o richiederla per il proprio bambino o per un oggetto di devozione. Cosa significa benedire? Già dal verbo latino si può avere un’idea chiara: bene-dicere, dire bene di qualcuno o qualcosa, invocare il bene da Dio. É una lode di Dio per ottenere aiuto e protezione ed è anche una benedizione che sale dalla terra per benedire Lui che è l’Amore sommo: «Popoli, benedite il nostro Dio, fate risuonare la voce della sua lode» (Salmo 66,8). San Paolo, unisce le due benedizioni, ascendente e discendente, all’inizio della Lettera agli Efesini: «Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo» (1,3).

La benedizione non è un sacramento ma un sacramentale. Che differenza c’è? Ci viene in aiuto il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) – che il Papa raccomanda di conoscere e diffondere – il quale così recita: «La santa Madre Chiesa ha istituito i sacramentali. Questi sono segni sacri per mezzo dei quali, con una certa imitazione dei sacramenti, sono significati e, per impetrazione della Chiesa, vengono ottenuti effetti soprattutto spirituali. Per mezzo di essi gli uomini vengono disposti a ricevere l’effetto principale dei sacramenti e vengono santificate le varie circostanze della vita» (CCC  1667). Quindi, essi dispongono a ricevere la grazia – che san Tommaso diceva essere un inizio della sperata beatitudine (Summa Theologiae II-II, q.5, a.1) -, a differenza dei sacramenti che sono segni efficaci che comunicano concretamente la grazia che significano.

Inoltre, comportano sempre una preghiera, la lettura della Parola di Dio, un gesto – come ad esempio imporre la mano -, il segno di croce e l’aspersione con l’acqua benedetta. Gesù, nel Vangelo, benedice bambini (cf. Mc 10,16) e alimenti (cf. Mt 14,19) e nella Chiesa si svilupparono riti e formule di benedizione fin dal primo secolo, sia nella Liturgia che fuori di essa – accompagnate dal segno di croce -, benedizioni che si svilupparono ampiamente nel Medioevo. Difatti, il libro delle benedizioni – chiamato Benedizionale – più antico in Occidente è probabilmente del VII secolo (fonte: Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano 1949, vol. II, col. 1299). Le formule di benedizione hanno quindi soprattutto lo scopo di rendere gloria a Dio per i suoi doni, chiedere i suoi favori e sconfiggere il potere dell’avversario di Dio per eccellenza, Satana.

Tra le benedizioni troviamo quelle di persone, oggetti, luoghi, della mensa, della campagna, degli animali, dei mezzi moderni di lavoro ecc. (cf. CCC 1671). Questo a significare come la Chiesa estenda l’amore di Dio e la Sua benevolenza sopra tutta la vita dell’uomo, abbraccia tutto e tutti: come le ali dell’aquila coprono i suoi nati, così ciascuno di noi è protetto e guidato dal Signore che «spiega le sue ali» con le Sue benedizioni (cf. Dt 32,11).

In questo periodo natalizio, per il Rito ambrosiano vigente nella Diocesi di Milano, è tradizione benedire le famiglie e le case. Nel Rito romano, si benedice normalmente nel tempo pasquale o poco prima della Pasqua, in Quaresima. Come nasce questa consuetudine pasquale? Una spiegazione la possiamo cogliere dalla lettura del brano riguardante la Pasqua ebraica nel libro dell’Esodo (12,1-14). Con il sangue dell’agnello immolato per la Pasqua, gli ebrei spalmarono gli stipiti e l’architrave della porta d’ingresso delle loro case. In tal modo il Signore passò oltre le abitazioni ebraiche non permettendo all’angelo sterminatore di uccidere i primogeniti maschi, a differenza dei bambini primogeniti del popolo egiziano – che manteneva in schiavitù il popolo ebreo – che furono uccisi. Così, accogliendo il sacerdote che reca la benedizione di Dio, nella Pasqua cristiana ci si prepara alla liberazione dalla schiavitù del peccato e della morte grazie al sacrificio del vero Agnello, Gesù Cristo, che con il suo sangue sparso sulla croce segna le nostre case portando la pace e la benedizione attraverso il ministro della Chiesa. La Pasqua di Cristo, anche attraverso l’acqua nuova benedetta nella solenne Veglia del Sabato santo, entra nelle nostre case, rinnova la nostra vita come nel Battesimo, ci purifica e ci rende nuove creature rivestendoci di Cristo (cf. Gal 3,27).

Diversa è invece la spiegazione che danno alcuni storici per la tradizionale benedizione natalizia ambrosiana. Sembra che durante la peste del 1576 san Carlo Borromeo visitasse le case degli appestati per portare i conforti religiosi e, a causa della quarantena, i milanesi dovevano restare chiusi in casa durante quell’inverno freddo che già scoraggiava a uscire. Da questo gesto di generosità del santo Vescovo sembra derivi la consuetudine di visitare le case nel tempo invernale-natalizio.

Oppure, una spiegazione più teologica e spirituale, potrebbe far risalire la benedizione al fatto che nell’Avvento ambrosiano, che consta di sei Domeniche invece che quattro come nel Rito romano, si legge il Vangelo dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme (seconda Domenica di Avvento; prima della riforma liturgica era la quarta). Questo episodio, normalmente inserito nella Domenica delle Palme per la sua collocazione storica-cronologica, significa l’incontro definitivo di Gesù con il suo popolo, come un’immagine del ritorno di Cristo alla fine dei tempi. Ma significa anche l’incontro di Gesù con ciascuno di noi, nella nostra vita, l’«ingresso» di Cristo nella nostra quotidianità, nelle nostre case, come avvenne per il pubblicano Zaccheo: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua» (Lc 19,5).

Ma forse, più semplicemente, questo Bambino che nasce a Natale, il Verbo di Dio fatto Uomo, rifiutato a Betlemme e dal mondo attuale, deve trovare spazio nel nostro intimo, nelle nostre case, e la benedizione natalizia vuole ricordarci che se non apriamo la porta del nostro cuore non potremo essere veramente in comunione con Dio. «C’è soprattutto un aspetto che è stato evidenziato anche dal Santo Padre Benedetto XVI nell’udienza di mercoledì 21 dicembre: “L’evento di Betlemme deve essere considerato alla luce del Mistero Pasquale: l’uno e l’altro sono parte dell’unica opera redentrice di Cristo. L’Incarnazione e la nascita di Gesù ci invitano già ad indirizzare lo sguardo verso la sua morte e la sua risurrezione: Natale e Pasqua sono entrambe feste della redenzione”. Sembra proprio che le consuetudini della benedizione delle famiglie nei due Riti, Ambrosiano e Romano, vogliano sottolineare questi due misteri della vita di Gesù, e che la tradizione milanese orienti verso quella romana».

Certamente, qualunque sia l’origine storica di questo gesto, vi è sotteso un significato importante: Gesù, attraverso la sua Chiesa, viene a visitarci e a portarci la gioia e la pace che solo Lui può donare. Non la falsa pace del mondo o quella contraffatta dei pacifisti nostrani stile bandiere arcobaleno. Gesù, infatti, dice così nel Vangelo di Luca: «In qualunque casa entriate, prima dite Pace a questa casa» (Lc 10, 5), ed entrando nel cenacolo a porte chiuse la sera della resurrezione esclama: «Pace a voi!» (Gv 20,19). La sollecitudine e la carità pastorale del sacerdote devono condurlo, quindi, a non rinunciare facilmente a questa occasione annuale di evangelizzazione e di conoscenza personale di tutti i suoi parrocchiani e delle loro famiglie.

Riportiamo la bella preghiera di benedizione del Rito romano nel tempo pasquale che, meglio di ogni cosa, riassume il significato profondo della benedizione delle famiglie: «Benedetto sei tu, Signore, che nella Pasqua dell’esodo hai preservato incolumi le case del tuo popolo asperse con il sangue dell’agnello. Nella Pasqua della nuova alleanza ci hai donato il Cristo tuo Figlio, crocifisso e risorto, come vero Agnello immolato per noi, per liberarci dal maligno e colmarci del tuo Spirito. Benedici questa famiglia e questa casa, e allieta tutti i suoi membri con l’esperienza viva del tuo amore».

 

Fonte: La Bussola Quotidiana

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