Il Timone, settembre-ottobre 2007
don Pietro Cantoni
“Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo”” (Mc 1,14-15).
“Vangelo”, “euanghélion ” , viene comunemente tradotto con “buona notizia”. È una traduzione corretta, ma che rende il suo contenuto in modo riduttivo. Il termine infatti designa il decreto di un sovrano: non è una pura e semplice “notizia”, ma un qualcosa che – bello o brutto che sia – cambia le cose, perché emana da una autorità suprema. Questo decreto infatti parla di un regno che si afferma: evidentemente qui regno non vuoi dire “territorio”, ma piuttosto sovranità. Qualcosa di “dinamico”. Qualcuno – Dio – riafferma efficacemente la sua sovranità. La parola regno ricorre 122 volte in tutto il Nuovo Testamento. Di queste, 99 sono nei Vangeli sinottici e 90 ricorrono sulla bocca di Gesù.
Sembrerebbe dunque che i Vangeli non parlino tanto di Gesù, quanto del regno. La Chiesa ha fatto oggetto della sua predicazione Gesù, annunciandolo come Figlio di Dio e Dio lui stesso per natura, mentre il Gesù dei Vangeli sembra piuttosto annunciare la venuta del regno di Dio. Molti interpreti allora hanno detto: vedete che c’è una differenza? Un conto è il Gesù della storia, il quale ha predicato il regno di Dio e un conto è il Cristo della fede, frutto della rielaborazione della Chiesa.
La proposta sembra allettante nella sua semplicità. In che cosa consisterebbe il regno annunciato dal “vero” Gesù? In una morale individualistica che si contrappone alla concezione legalistica e cultuale degli ebrei del tempo di Gesù? Nella fine imminente del mondo? In uno stato di cose in cui finalmente “regnano la pace, la giustizia e la salvaguardia della creazione”? Il problema è che ciascuna di queste interpretazioni si trova costretta a fare quello che alla scienza onesta non è mai consentito: selezionare i fatti alla luce della teoria, per poi fondarla sulla base dei fatti così selezionati… Si racconta che al termine di una lezione uno studente chiese al prof. Hegel: “Professore, i fatti però contraddicono le sue teorie!”, per ricevere questa sconcertante risposta: “tanto peggio per i fatti!”. Purtroppo Hegel ha fatto – anche in questo – scuola.
Se invece si interpreta il regno come identico a Gesù stesso; se si comprende che il regno di Dio si sta affermando nella persona e nella vita di Gesù, che si sviluppa nella Chiesa e mediante essa, allora il quadro si fa coerente e tutti i pezzi del “puzzle” si compongono in modo naturalmente armonioso.
È vero che il Regno sta al centro del messaggio di Gesù, ma una lettura attenta dei Vangeli suggerisce questa domanda: Gesù è solo un messaggero o è lui stesso il messaggio? Si può dire che tutto il Gesù di Nazaret di Joseph Ratzinger ruota attorno a questa domanda chiara ed esplicita. La risposta della fede – la fede della Chiesa e la fede dei semplici – è altrettanto chiara ed esplicita: Gesù è il Figlio di Dio – con sostanziale con il Padre – che si è fatto uomo ed è morto e risorto per noi, perché anche noi possiamo – liberati dal peccato – diventare figli di Dio. Con questo libro però – in ossequio al programma di mettere in nuova luce l’armonia strutturale tra fede e ragione – questi asserti vengono assunti come presupposti di una interpretazione storica che non teme di misurarsi, ad armi pari, con i più raffinati percorsi del metodo storico critico.
Come le tessere di un mosaico o i pezzi di cartone di un puzzle non hanno senso staccati gli uni dagli altri e possono prendere un senso fuorviante se uniti solo a piccoli gruppi, così i passi dei Vangeli e degli altri scritti della Bibbia rivelano il loro senso più profondo e più autentico solo se visti nell’insieme. Così ci sono passi in cui Gesù può sembrare un predicatore del Regno di Dio imminente, come un qualunque profeta.
Ci sono passi in cui sembra parlare del regno come qualcosa di attuale e di interiore, come un qualunque “guru”. Ma se questi passi li leggiamo “insieme” essi si illuminano vicendevolmente. Gesù è – secondo una famosa espressione di Origene – l’autobasiléia, il Regno stesso in persona. Cioè in lui Dio si fa presente e agisce.
Agisce già da ora, ma la sua azione è misteriosa, per cui bisogna essere pronti per discernerla, tant’è vero che essa diventa evidente in qualcosa che non ha le apparenze della gloria e della potenza di Dio: la sua passione e la sua morte.
“Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o: ecco lo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!” (Lc 17,21). “È in mezzo a voi”, non è dunque qualcosa di solo “imminente”. Non è tale “da attirare l’attenzione”, ma non è neppure qualcosa di solo “interiore”, perché Gesù, nel contesto della trasfigurazione, dice che: “In verità vi dico: vi sono alcuni qui presenti, che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza” (Mc 9,1). Questa potenza però – che si annuncia esplicitamente come la potenza di uno che parla a nome di Dio e che con Dio si identifica, al punto da dire “ti sono rimessi i tuoi peccati” (Mc 2,5; Mt 9,2; Le 5,20) oppure “avete inteso che fu detto… ma io vi dico” (Mt 5,21-22) – è tale da operare in pienezza solo nel mistero del massimo abbassamento della passione e della morte, perché quello stesso Figlio dell’uomo che deve venire in potenza, “deve soffrire molto ed essere disprezzato” (Mc 9,12).
Se tutto questo è solo frutto della rielaborazione post-pasquale di una anonima comunità primitiva, allora essa era composta da geni teologici di cui però non c’è traccia nei documenti. È molto più sensato e ragionevole pensare che qualcosa di grande e di inaudito, in termini di parole e di fatti, stia a monte di tutti questi discorsi in modo da renderne plausibile, ragionevole, il tono e la portata.