Don Giovanni Poggiali
Il Timone n. 66/2007
Mediante l’Incarnazione il Verbo di Dio si è fatto carne, la Parola è divenuta Uomo. Tale Parola è tutto quanto Dio voleva rivelare all’umanità, Parola definitiva e sovrabbondante che ha il Volto di Gesù di Nazareth, immagine del Dio invisibile (Col 1,15). Questo dono di Dio chiede una corrispondenza nella libertà, nell’intelligenza e nella volontà dell’essere umano e le parole che la persona rivolge a Dio lodandolo ed adorandolo trascendono i limiti del linguaggio e, da sempre, si uniscono al canto e alla musica per avere forza, intensità, incisività ed efficacia maggiori. Il canto sgorga dalla gioia del cuore, da un animo felice che, nella fede, si dona al suo Signore. E’ una manifestazione di sé, del proprio essere interiore. E la musica, sotto forma di canto come manifestazione d’arte, nella Liturgia assume una valenza unica secondo le parole di Pio XII nell’enciclica Musicae sacrae disciplina del 1955: la musica sacra, rispetto all’architettura alla pittura e alla scultura, occupa un posto di primaria importanza nello svolgimento dei riti sacri.
Il canto, insieme al suono musicale, diventa la pienezza della Parola e non può essere arte fine a se stessa: l’arte nella Liturgia è al servizio della gloria di Dio e della santificazione dell’uomo. La “Parola” non è solo il semplice testo dentro un rituale ma il senso di tutto, la realtà viva, e l’arte, quindi anche la musica, la deve servire.
Quando parliamo di musica occorre fare alcune distinzioni: per musica sacra si intende quella che si riferisce alla fede. Non ogni musica sacra è musica liturgica. Questa è ciò che la Chiesa ammette nella Liturgia, quella musica, cioè, in cui riconosce la lode e la preghiera all’unico vero Dio. Non c’è, quindi, un motivo estetico come criterio per scegliere la musica: decisiva è la sua conformità alla grandezza di ciò che la Chiesa compie, la sua unione allo spirito delle azioni liturgiche, sommamente dell’Eucaristia. Non si deve, tuttavia, sottovalutare la bellezza dell’arte che ha una forza d’attrazione notevole sull’uomo, il quale ne rimane coinvolto ed affascinato. La musica religiosa serve ad esprimere un sentimento spirituale senza essere ordinata alla Liturgia in senso stretto. Quest’ultima si esprime tramite segni efficaci: anche il canto significa la voce della Chiesa, Sposa di Cristo, che si unisce al canto dello Sposo in un solo Spirito per “cantare” le nozze dell’Agnello, festa senza fine a cui siamo tutti invitati purché indossiamo l’abito nuziale (cf Mt 22,11-12).
Fin dai primordi del Cristianesimo – attraverso il libro dei Salmi, gli inni, le acclamazioni e le dossologie – si cantavano le meraviglie di Dio riprendendo l’uso giudaico della sinagoga (anche se non tutti gli storici sono d’accordo su questa origine). Poi, via via che scorreva la storia, l’antichità il medioevo la modernità, si andavano componendo generi e stili diversi e bellissimi di musica affinché nella Liturgia della Chiesa venissero anticipati quei cori angelici che stanno sempre al cospetto del Trono di Dio cantandone perennemente le lodi. La musica sacra innalza la mente ed il cuore e conduce all’esperienza profonda del mistero celebrato.
Nell’epoca contemporanea incontriamo San Pio X che, il 22 novembre 1903, scrisse il Motu proprio Tra le sollecitudini: questo documento, che è diventato un punto di riferimento fondamentale per il rapporto tra musica sacra e Liturgia insieme ad altri documenti nel secolo XX° (soprattutto: Costituzione Apostolica Divini cultus, Pio XI-1928; Enciclica Mediator Dei, Pio XII-1947; Enciclica Musicae sacrae disciplina, Pio XII-1955; Istruzione Musicam Sacram, Sacra Congregazione dei Riti-1967; Chirografo Mosso dal vivo desiderio, Giovanni Paolo II-2003), poneva tre criteri: la musica veniva definita secondo la sua santità, la bontà della forma e l’universalità. L’ideale era il canto gregoriano. Anche nella polifonia classica, soprattutto di Giovanni Pierluigi da Palestrina, si erano raggiunti i criteri di cui sopra. La musica viene considerata come “l’umile serva della Liturgia”, componente essenziale della Liturgia solenne e non semplice ornamento. La musica, in pratica, può contribuire grandemente ad ottenere la sospirata actuosa participatio (partecipazione attiva) dei fedeli alla Liturgia.
Il Concilio Vaticano II, con la costituzione sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium (SC), riprende molte parole di Papa Sarto e riguardo al canto gregoriano afferma: “La Chiesa riconosce il canto gregoriano come proprio della Liturgia romana; perciò, nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale” (SC 116). Il canto gregoriano nasce per accompagnare e vivere la Liturgia, è “forgiato” sulla Sacra Scrittura ed è risuonato per secoli nelle splendide Cattedrali della cristianità. Il Card. Francis Arinze, prefetto della congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti, così si è espresso l’11 novembre 2006: “Il canto gregoriano è caratterizzato da una cadenza meditativa emozionante. Tocca le profondità dell’animo. Mostra gioia, dispiacere, pentimento, petizione, speranza, lode o ringraziamento, come può indicare una festa particolare, una parte della Messa o un’altra preghiera. Rende più vivi i Salmi. Possiede un fascino universale che lo rende adatto a tutte le culture e a tutti i popoli” (La lingua nella liturgia di Rito Romano: latino e lingua volgare, in “Cristianità”, anno XXXV, n.339, gennaio-febbraio 2007, p.5). Il gregoriano ha come unico scopo di rendere viva la bellezza della Liturgia. Non proviene da una cultura estrinseca o da un’arte diversa dalla cristiana ed è elemento unificante del rito sacro. Nel documento conciliare che norma la Liturgia, vengono ammessi anche altri generi di musica, specialmente la polifonia, purché rispondano allo spirito dell’azione liturgica (SC 116). Gregoriano e polifonia sacra possono avere carattere di orientamento per una nuova creatività. Sorge una domanda: e il canto popolare e moderno? Prima di rispondere a questo quesito riassumiamo alcune tesi nel rapporto tra Liturgia e musica sacra:
– anzitutto occorre affermare la grande importanza della musica e del canto per la Liturgia. Si tratta di una parte integrante della stessa e non di ornamentazione estrinseca.
– siamo in tempo di nuova Evangelizzazione, ma non si incomincia mai da zero, il legame saldo e convinto con il passato è il presupposto per un vero rinnovamento. Una crescita senza passato è come un albero senza radici. Questa è la ragione per cui la Chiesa assegna al canto gregoriano nel rito latino un certo primato, perché il gregoriano è il modo in cui la fede, nel mondo romano, si è inculturata in maniera completa. Primato non vuol dire esclusività. Si tratta di elaborare forme nuove e adatte e bisogna procedere con umiltà e pazienza, sforzandosi di integrare il nuovo nell’antico. La polifonia, splendida creazione della cristianità, mantiene un eccellente significato teologico e spirituale e una notevole efficacia estetica.
– i canti moderni e popolari (e qui veniamo alla domanda di cui sopra) o comunque più recenti vanno vagliati. Tre sono i criteri: a) correttezza teologica; b) carattere anagogico cioè spiritualmente elevante; c) bellezza estetica. La musica ritmica in genere si adatta male alla Liturgia perché il ritmo è per il movimento del corpo e nella Liturgia (almeno quella latina e bizantina) non c’è vera e propria danza. Il canto, infatti, deve indurre quiete interiore e contribuire ad elevare i sentimenti e quindi la mente a Dio. L’obiettivo è favorire la preghiera. Inoltre, canti nati in una cultura avversa o lontana dalla cristiana mal si adattano al rito sacro.
– per gli strumenti musicali la Chiesa oggi non dà prescrizioni tassative. Nella Chiesa occidentale l’uso degli strumenti c’è sempre stato, a differenza dell’Oriente. E l’organo a canne ha un posto privilegiato simile al gregoriano nel canto (cf SC 120). Ma c’è una musica che eleva a Dio e c’è anche una musica che favorisce lo scatenamento delle passioni e l’ottundimento spirituale e alcuni strumenti sono proprio inadatti all’uso liturgico.
Auspichiamo che la pubblicazione del Motu proprio di Papa Benedetto XVI Summorum Pontificum sull’uso della Liturgia romana anteriore alla riforma del 1970, porti ad un più armonico rapporto tra Liturgia e musica, anche nella Messa attualmente in vigore: qui, infatti, una malintesa creatività ha condotto agli abusi liturgici a cui abbiamo purtroppo assistito negli ultimi decenni (Messe beat, rock, pop…).
BIBLIOGRAFIA
Gelineau Joseph s.j., Canto e musica nel culto cristiano, LDC, Torino 1963.
Ratzinger Joseph, Cantate al Signore un canto nuovo. Saggi di cristologia e liturgia, Jaca Book, Milano 1996.
Ratzinger Joseph, Introduzione allo spirito della liturgia, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2005.