di don Giovanni Poggiali
“Il Timone” – Gennaio 2009
La Chiesa è il corpo di Cristo, come dice san Paolo: “Egli [Cristo] è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa” (Col 1,18). Pur essendo, come il corpo, costituita da molte membra la Chiesa è Una ed è unita inscindibilmente al suo Signore che è il Capo. Il primato di Cristo, questa signoria che è il suo Regno, Egli lo estende a tutto il mondo per mezzo della Chiesa, prefigurata nell’Antico Testamento, e in essa dilata la preghiera che è comunione con Lui e che diviene autentica preghiera cristiana perché trova in Lui la propria origine. La preghiera, che è il tratto più profondo e rivelativo del rapporto tra Gesù e il Padre, viene donata alla Chiesa la quale risponde all’amore del Signore mediante il proprio amore e il proprio desiderio, manifestando pienamente al mondo ciò che essa è, ciò che essa crede.
Attraverso la Tradizione, che è comunicazione e trasmissione vivente di Gesù Cristo e del suo insegnamento (si può dire che è la Chiesa la viva Tradizione), lo Spirito Santo insegna la preghiera nella Chiesa: lo Spirito di Cristo ci suggerisce come pregare e cosa domandare e ci dona la libertà di pronunciare: “Abbà, Padre” (cf. Rom 8,15; Gal 4,6) ponendoci, come figli adottivi, in relazione con Dio. Questa comunione avviene massimamente nella Liturgia, opera di Dio, in cui “Cristo associa sempre a sé la Chiesa, sua Sposa amatissima, la quale prega il suo Signore e per mezzo di lui rende il culto all’Eterno Padre” (Sacrosanctum Concilium, 7). La Liturgia, esercizio del culto divino, realizza e manifesta la Chiesa come segno visibile di tale comunione tra Dio e gli uomini.
Non si può, allora, cercare e trovare la fonte della preghiera nella Chiesa se non in Gesù Cristo: Egli prega il Padre, spesso nel silenzio della notte e prima di ogni decisione importante o scelta decisiva, e diviene per noi sorgente e modello di preghiera. Pensiamo alla Sua preghiera nel Battesimo (cf. Lc 3,21), prima della vita pubblica nei 40 giorni di deserto (cf. Lc 4), prima della scelta degli Apostoli (cf Lc 6,12-13), prima della sua Passione (cf Lc 22,39-46)… Così, in Cristo, Dio manifesta il proprio volto: l’uomo si comprende ed è compreso solo nella relazione personale con Dio e tale relazione ha il suo luogo principale nella preghiera, la quale diventa un ascoltare e un parlare con Dio che rivela l’uomo a sé stesso. Pregando, l’uomo compie un atto “divino”, perché entra in comunicazione con Dio, si abbandona a Lui e si lascia amare da Dio per amare i fratelli. Quale povertà la mancanza di preghiera nell’uomo! Quale aridità l’assenza di una vita spirituale: Gesù ci insegna infatti che occorre pregare sempre senza stancarci (cf. Lc 18,1).
Un giorno, mentre Gesù era in preghiera e dopo che ebbe finito, uno dei discepoli gli chiese di insegnare loro a pregare. Gesù pronunciò la preghiera del Padre Nostro, la sintesi di tutto il Vangelo come la chiamerà Tertulliano (De oratione, 1). Questa preghiera, scaturita dallo stesso Figlio di Dio – dal suo cuore e dalle sue labbra -, indica che l’autentica preghiera cristiana è personale ma ha anche una dimensione comunitaria (Padre nostro): “Nell’atto del pregare, l’aspetto esclusivamente personale e quello comunitario devono sempre compenetrarsi” (Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, 158). Anche quando l’uomo prega nel segreto della sua camera, ossia nell’intimo del proprio cuore, è preghiera della Chiesa, perché la nostra vita non può mai essere dissociata dai nostri fratelli, essendo figli dello stesso Padre ed essendo rigenerati dallo stesso Sangue del Verbo incarnato. Chi prega, lo fa anche per chi non prega. Non dobbiamo desiderare la salvezza solo per noi.
Tale preghiera comunitaria si manifesta in varie forme nella Chiesa: la preghiera di benedizione esprime l’incontro tra Dio, fonte di ogni benedizione, e l’uomo che risponde nel suo cuore: bene-dicere, dire bene. Dio fa questo con la Sua presenza e provvidenza. Egli ci benedice nei cieli in Cristo (cf. Ef 1,3) e invita noi a bene-dire (di) Lui che ci ama (qui si comprende la gravità della bestemmia). La preghiera di adorazione esprime la nostra creaturalità, la nostra dipendenza da Dio, l’Unico che si deve adorare esaltandone la grandezza, la misericordia, l’onnipotenza, bandendo gli idoli dal nostro cuore. Ma esprime e manifesta anche l’intimità stessa di Dio che è Trinità, un Dio in cui il Figlio è rivolto sempre verso il Padre e la cui esistenza filiale può essere intesa come una grande preghiera offerta al Padre nello Spirito Santo. La domanda esprime la forma più comune e abituale di preghiera per l’uomo che entra in relazione con Dio. Gesù stesso invitava a domandare insistentemente: “Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto” (Mt 7,7-8). Il Catechismo della Chiesa Cattolica dice che “in Cristo risorto, la domanda della Chiesa è sostenuta dalla speranza” (2630). Noi chiediamo aiuto a Dio, per noi e per i fratelli, perché speriamo nel suo perdono e perché desideriamo che venga il suo Regno. Esiste una gerarchia nella domanda, che non si riduce solo alla richiesta di “cose” materiali, pur importanti, ma implora anzitutto lo Spirito Santo, vita stessa di Dio e respiro del Suo amore. La preghiera di intercessione ci rende conformi a Cristo, intercessore per noi peccatori presso il Padre. Colui che intercede si preoccupa delle necessità di un altro: è un grande atto di misericordia, una delle più belle beatitudini – Beati i misericordiosi (Mt 5,7) – e ci avvicina ai Patriarchi (pensiamo all’intercessione di Abramo e di Mosè). Ci rende simili anche al cuore di Maria, la Madre di Gesù, che intercede sempre per noi suoi figli. La preghiera di ringraziamento è il primo movimento che scaturisce da un cuore grato e riconoscente per tutti i doni di Dio: “Tutto proviene da Dio” (1 Cor 11,12), dice san Paolo che aggiunge: “Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come non l’avessi ricevuto?” (1 Cor 4,7). Ogni dono ci giunge dall’amore di Dio ed è per questo che è frutto di umiltà rendere grazie in ogni cosa (cf. 1 Ts 5,18). Infine, la preghiera di lode. Lodare Dio significa riconoscerlo per ciò che Egli è, lodare è lo stupore per le Sue meraviglie: “Siate ricolmi dello Spirito intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore”. Ecco la lode a Dio!
Tutte queste forme di preghiera nella Chiesa sono realizzate ed espresse dalla Liturgia, in particolare dall’Eucaristia, nella quale rendiamo grazie al Padre per il sacrificio del Figlio che viene offerto e si offre in espiazione per salvarci dai nostri peccati. Nella Liturgia noi adoriamo Dio, lo ringraziamo, lo lodiamo, impetriamo e benediciamo Colui dal Quale siamo amati e benedetti. La preghiera liturgica, rivolta al Padre per mezzo del Figlio nello Spirito Santo, è comunione con la Trinità Santa, mistero d’amore rivelato a noi da Gesù e comunicato alla Chiesa per l’evangelizzazione del mondo. La preghiera nella Chiesa e della Chiesa ci pone in relazione con tutto questo e ci guida verso l’intimità con Cristo, sorgente e culmine della vita cristiana. Parlando di Origene (vissuto tra il II e il III secolo) e dei suoi scritti sulla preghiera, papa Benedetto XVI ha detto: “A suo parere, infatti, l’intelligenza delle Scritture richiede, più ancora che lo studio, l’intimità con Cristo e la preghiera. Egli è convinto che la via privilegiata per conoscere Dio è l’amore, e che non si dia un’autentica scientia Christi senza innamorarsi di Lui” (Udienza generale, 2 maggio 2007). Questo è il termine e lo scopo dell’azione della Chiesa: innamorarsi di Cristo per fare innamorare di Cristo.
Chi più dei santi ha vissuto questa esaltante esperienza? Nella comunione dei santi, la Chiesa pellegrina sulla terra è unita a quella del Cielo dove i nostri fratelli glorificati intercedono per noi e ci fanno da guida. Questa “nube di testimoni”, come la chiama il Catechismo, ha combattuto il buon combattimento della preghiera e della fede, a cominciare dai giusti dell’Antico Testamento e da Maria Madre di Gesù. Le grandi e diverse spiritualità scaturite dall’esperienza spirituale dei santi, contribuiscono a formare la grande Tradizione della Chiesa e ci indicano una via. Proverbiale fu l’esperienza di santa Teresa d’Avila che disse: “L’orazione mentale, a mio parere, non è che un intimo rapporto di amicizia, nel quale ci si intrattiene spesso da solo a solo con quel Dio da cui ci si sa amati” (Libro della mia vita, 8). La preghiera deve superare tante difficoltà – tentazioni, pigrizia, accidia, distrazioni, aridità – ma, alla fine, è una questione di desiderio, di amore, di volontà. Sant’Alfonso Maria de Liguori, a questo riguardo, dirà che “chi prega, certamente si salva; chi non prega certamente si danna” (Del gran mezzo della preghiera)….
I santi ci insegnano ciò che più è importante nella nostra vita e anche nella vita della Chiesa: il rapporto con Dio, il desiderare un’intimità profonda con Lui, il cercarlo con ferma fiducia. Questa è la via alla santità cristiana, cioè alla perfezione dell’amore, al vivere straordinariamente bene le cose ordinarie. Questo procura la vera gioia. Gesù stesso ce lo ha insegnato con la Sua vita. Infatti, “si prega come si vive, perché si vive come si prega”…(CCC 2752).
Infine, è la Chiesa stessa che ci offre tutti quei mezzi che ci conducono alla santità e all’incontro con il Signore: la celebrazione della Santa Messa, l’adorazione eucaristica, la devozione alla Madonna – soprattutto la recita del Rosario –, la lettura quotidiana della Sacra Scrittura, la confessione frequente e l’esperienza dei Santi. Così, noi membra della Chiesa, possiamo giungere a contemplare quel Dio che desidera unirsi con noi per farci partecipare al banchetto di nozze dell’Agnello (cf. Ap 19,9) dove Dio stesso, dono inaudito, passerà a servirci (cf. Lc 12,37).
BIBLIOGRAFIA
Benedetto XVI (Joseph Ratzinger), Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano 2007, pp. 157-201.
Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), dal n. 2559 al n. 2758.