di don Giovanni Poggiali
Ricordo la morte prematura, nel 1989 a 36 anni, di un sacerdote della mia parrocchia a Milano, Don Giorgio Ciani, che così scrisse nel suo testamento già vergato nel 1983: “Sono contento di vivere questa “fuggevole esistenza”; sono contento di essere prete; sono contento di essere prete, qui adesso!“. La testimonianza di questo buon prete lombardo, riecheggia le parole lapidarie di Sant’Ambrogio Vescovo di Milano (340-397): “Cristo è tutto per noi“, che ci ricordano il fondamento della nostra speranza e l’elemento originario per comprendere in profondità il nostro sacerdozio: apparteniamo a Colui che è la Via, la Verità e la Vita (cf. Gv 14,6), a Colui “che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre” (Ap 1,6), a Colui che ha versato il proprio sangue e non sangue di capri e di vitelli per strapparci dalla morte e conquistarci una redenzione eterna (cf Eb 9,12), per farci partecipi della sua natura divina (cf 2 Pt 1,4).
Servizio alla gioia
E’ la bellezza straordinaria di Gesù, “autore e perfezionatore della fede” (Eb 12,2), che vogliamo testimoniare ed annunciare con la nostra vita sacerdotale ed il nostro servizio alla Chiesa e al mondo. Questo servizio, come ribadito recentemente da Papa Benedetto XVI, è un servizio alla gioia (cf 1 Cor 1,24): “La missione affidata ai sacerdoti è veramente un servizio alla gioia, alla gioia di Dio che brama irrompere nel mondo” (Benedetto XVI, Santa Messa del 18 aprile 2010, Floriana – Malta).
Scopo della vocazione
Nell’Anno Sacerdotale, è importante ricordare quale è lo scopo della nostra vocazione, per non scoraggiarci: è la santità, la perfezione dell’amore, una vita donata e offerta per Cristo e i fratelli. La gran parte dei sacerdoti desidera questo, è giusto ribadirlo. Ciò può sembrare difficile, irraggiungibile, per alcuni forse desueto, ma “l’amore di Cristo ci spinge” (2 Cor 5,14) a offrire noi stessi per Lui: “Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?… Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rom 8,35-39). La santità personale per la santificazione dei fedeli diventa un dono e un compito affascinante nella sequela di Cristo.
La pienezza dell’umano in Cristo
L’Apostolo Paolo, con la sua fortezza e la sua passione per Cristo, il Santo Curato d’Ars e milioni di santi testimoni, ci ricordano questa verità: non c’è vita più bella che una vita donata per Cristo, non c’è esistenza umana pienamente vissuta che non sia segnata da Cristo, non c’è vocazione o scelta nella vita che possa portare ad una pienezza e ad una realizzazione autentica senza Cristo. Egli è la sorgente e il compimento dell’umano. Egli ci amati per primo ed è alla fonte di ogni cosa, del nostro essere e del nostro operare e in Lui Dio Padre ci ha benedetti nei cieli (cf Ef 1,3). Il Sacerdote è alter Christus, un altro Cristo, e quando celebra l’Eucaristia, che solo lui può offrire come solo lui può perdonare in nome di Gesù, agisce in persona Christi: Cristo opera in lui e l’uomo offre le sue mani, i suoi gesti, le sue parole, tutto se stesso per trasmettere (tradizione) Gesù Cristo. Pur essendo servo inutile, è indispensabile per Cristo, mentre tutti gli altri sono utili ma non indispensabili. Cristo vuole dipendere dal suo ministro per entrare realmente nelle pieghe della storia e redimerla!
Nell’Eucaristia, nella preghiera, nell’ascolto della Parola di Dio, in Maria, il sacerdote trova l’alimento della sua vita: nemo dat quod non habet, nessuno dà ciò che non ha, e occorre essere conquistati da Cristo (cf Fil 3,12), conoscerlo, frequentarlo, amarlo, seguirlo per farlo conoscere, farlo frequentare, farlo amare, farlo seguire. Non sentiamo il bisogno di preti assistenti sociali o preti copertina, di burocrati o funzionari. Neanche di preti che contestano il Papa e il Magistero: la forza del Magistero non sono le argomentazioni ma la sua stessa autorità e oggi non c’è più il rispetto dell’autorità (vedi l’illuminante articolo di Mons. Giampaolo Crepaldi, Gli antipapi e i pericoli del magistero parallelo, www.zenit.org – 21 marzo 2010). Vogliamo, e noi dobbiamo esserlo, preti che ci parlano di Dio, ci donano gioia, entusiasmo, passione per questa vita e la vita eterna, parole di consolazione e di speranza. Che ci donano la Verità posseduta non per merito ma da cui sono posseduti per Grazia. Così sono stati i santi. Papa Benedetto, nell’udienza del 28 aprile scorso, ha citato le parole di san Leonardo Murialdo (1828-1900) che chiamava il sacerdozio “scelta di predilezione” e che scriveva: “Dio ha scelto me! Egli mi ha chiamato, mi ha perfino forzato all’onore, alla gloria, alla felicità ineffabile di essere suo ministro, di essere “un altro Cristo””.
Una testimonianza episcopale
Il Patriarca di Venezia, Cardinal Angelo Scola, il 1 aprile scorso nella Messa Crismale, ha detto ai suoi sacerdoti queste significative parole: “Nella consapevolezza che siamo tenuti in ogni istante per mano dal Padre misericordioso che ci ama per primo acquistano ogni giorno la loro decisiva forza quelle pratiche virtuose che abbiamo imparato fin dai tempi del seminario. Ringraziare il Signore fin dal primo mattino per averci creato, offrirGli le azioni della giornata. Recitare il breviario con cura, celebrare la Messa quotidiana, visitare Gesù sacramentato, pregare Maria, confessarsi assiduamente, non abbandonare lo studio necessario per il nostro ministero. (…) In una parola chiedere con umiltà ogni giorno il dono di diventare santi”. Questa è bellezza che porta frutto, che allontana lo scoraggiamento, che rende felice il sacerdote. La sua vita non è esente da croci, prove, tentazioni, come la vita di ogni uomo. Ma le croci, prove e tentazioni non diventano uno scandalo, non schiacciano, non deprimono il prete che ha sempre lo sguardo fissato su Cristo (cf Eb 12,2), che prega con umiltà, che dona se stesso e che si sforza di amare tutti coloro che Dio gli ha affidato.
Con cuore indiviso
È importante sottolineare ancora la grandezza del celibato. Questa legge della Chiesa latina non è per chiudere il sacerdote nella solitudine ma per donarlo a tutti gli uomini, sull’esempio di Cristo Sacerdote. Non è una menomazione psicofisica né tantomeno spirituale. Con cuore indiviso, il sacerdote ama tutti ma non è di nessuno se non di Cristo. Appartiene a Lui, e non è mai solo. Ed è più dentro alle cose degli uomini degli uomini stessi, anche se non le vive direttamente, come per esempio il matrimonio, ma la grazia del Sacramento dell’Ordine agisce attualmente donando gli aiuti necessari per comprendere. Il prete non è un indifferente, si appassiona all’umano, tutto, con cuore indiviso. Frequentando l’umanità ferita, dolorante, segnata nel profondo impara ad amare e riceve molto più di ciò che dona. Le relazioni che instaura con gli altri sono, spesso, di una pienezza e di un’autenticità uniche, vere, reali. Diventa punto di riferimento e sostegno per molti, avendo l’accortezza di non fermare nessuno presso di sé ma di orientare all’Unico che salva, che è Gesù Cristo. Piange con chi piange, ride con chi ride, ama molto l’amicizia e cerca di portare i pesi degli altri (cf Gal 6,2), offrendo al Signore durante la Messa tutti coloro che ha conosciuto, che ha confessato, che ha battezzato, che ha comunicato, che ha incontrato magari solo con uno sguardo fugace e che gli si sono raccomandati. Affida gli stessi al Signore, alla sera, durante la preghiera di Compieta, con la quale termina le giornate chiedendo perdono per sé e per loro, perché la Misericordia di Dio sani le ferite causate dai peccati. Spesso, con gratitudine, apre le braccia e le mani a Dio che è Padre, le impone sul capo di chi desidera una benedizione, porta sollievo ai malati e nella Liturgia rende grazie ed intercede per i vivi e per i morti offrendo il Sacrificio dell’altare. Dio, ciò che di più grande l’uomo possa desiderare, è fra le mani di un peccatore sotto le specie di un po’ di Pane e di un po’ di Vino. Che grande dono e che dignità è il sacerdozio, riversato in vasi di creta! (cf 2 Cor 4,7).
“Magnifico compito”
Papa Benedetto, nella Santa Messa a Malta già citata, ha ricordato ai sacerdoti il senso e la bellezza del loro ministero: “Ricordate anche la domanda che il Signore Risorto ha rivolto tre volte a Pietro: “Mi ami tu?”. Questa è la domanda che egli rivolge a ciascuno di voi. Lo amate? Desiderate servirlo con il dono della vostra intera vita? Desiderate condurre altri a conoscerlo ed amarlo? Con Pietro abbiate il coraggio di rispondere: “Sì, Signore, tu sai che io ti amo” e accogliete con cuore grato il magnifico compito che egli vi ha assegnato”.
Bibliografia
Visita a Malta di Benedetto XVI, 17-18 aprile 2010. Cf. sito visitato il 28.4.2010
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/travels/2010/index_malta_it.htm
Joseph Ratzinger, Servitori della vostra gioia. Meditazioni sulla spiritualità sacerdotale, Ancora, Milano 2002 (3° ed.).