di Emanuele Borserini
– Lectio divina del prefazio di Cristo Re
– Quello della lectio divina è un modo di pregare la Sacra Scrittura tramandatoci dalla secolare tradizione monastica che, attraverso alcune tappe precise ci giuda ad aprire il cuore e la mente a Dio ascoltando e parlando la sua stessa Parola. Può sembrare azzardato applicare questo metodo al di fuori della Bibbia ma parto dalla certezza, del tutto personale ma anche ferma, che pregare con i prefazi è quasi pregare con i salmi.
Primo passo: la lectio. Osservando la pagina del Messale possiamo riconoscere facilmente la struttura di tutti i prefazi: c’è anzitutto un dialogo tra il sacerdote che invita a lodare (“In alto i nostri cuori”) e ringraziare (“Rendiamo grazie al Signore nostro Dio”) e il popolo che risponde entusiasta (“Sono rivolti al Signore” – “È cosa buona e giusta”), poi una parte introduttiva che con parole ricorrenti riprende la ragionevolezza di lodare e ringraziare il Padre per Cristo nostro Signore, al centro c’è un testo poetico che varia a seconda delle feste ed esprime il motivo della lode e del ringraziamento, infine troviamo un’altra parte ricorrente che raccorda il prefazio al canto degli angeli, il Sanctus. Noi ci soffermeremo sulla parte centrale.
Tu con olio di esultanza hai consacrato
Sacerdote eterno e Re dell’universo
il tuo unico Figlio, Gesù Cristo nostro Signore.
Egli, sacrificando se stesso
immacolata vittima di pace
sull’altare della Croce,
operò il mistero dell’umana redenzione;
assoggettate al suo potere tutte le creature,
offrì alla tua maestà infinita
il regno eterno e universale:
regno di verità e di vita,
regno di santità e di grazia,
regno di giustizia, di amore e di pace.
Con uno stile chiaramente poetico e solenne, il Figlio unigenito e Signore Gesù Cristo viene presentato come sacerdote e re costituito in queste due prerogative dal Padre. Accanto ad ognuno dei due titoli c’è un predicato che sembra scontato ma rende l’idea dell’estensione della signoria di Cristo a tutto il tempo (“eterno”) e a tutto lo spazio (“dell’universo”). Spazio e tempo sono le dimensioni di tutta la nostra realtà e ad esse noi siamo indissolubilmente legati. Siamo ad esse sottomessi, Dio invece ne è signore. Segue poi la descrizione delle opere corrispondenti ai due titoli: rispettivamente, la redenzione attraverso il compito sacerdotale del sacrificio e l’instaurazione del Regno dei Cieli attraverso la sottomissione regale della creazione. I due titoli sono corredati da un’ulteriore specificazione che non si può trascurare: il luogo del sacrificio che è la croce e le caratteristiche sintetiche del regno. Queste due categorie con cui tutta la tradizione biblica descriveva il Messia si riassumono nell’unico atto redentore: l’offerta di se stesso che il Figlio ha fatto una vota per tutte al Padre.
Secondo passo: la meditatio. Con il sacramento del Battesimo noi siamo conformati a Cristo cioè ci viene data realmente la capacità di partecipare alle sue prerogative sacerdotali e regali. Ascoltiamo da altri due prefazi quale sia il rapporto voluto da Dio tra l’uomo e il resto della creazione, il prefazio delle Domeniche del Tempo Ordinario V e il prefazio comune IX:
Tu hai creato il mondo nella varietà dei suoi elementi,
e hai disposto
l’avvicendarsi dei tempi e delle stagioni.
All’uomo, fatto a tua immagine,
hai affidato le meraviglie dell’universo,
perché, fedele interprete dei tuoi disegni,
eserciti il dominio su ogni creatura,
e nelle tue opere glorifichi te, Creatore e Padre,
per Cristo nostro Signore.
Tu sei l’unico Dio vivo e vero:
l’universo è pieno della tua presenza,
ma soprattutto nell’uomo, creato a tua immagine,
hai impresso il segno della tua gloria.
Inoltre l’uomo è il sacerdote della creazione, il suo pontefice, colui che la mette in rapporto diretto con Dio. Dice la costituzione del concilio Vaticano II Gaudium et spes al numero 14: “Per la sua posizione nella creazione l’uomo può offrirla tutta a Dio: l’uomo sintetizza in sé, per la stessa sua condizione corporale, gli elementi del mondo materiale, così che questi attraverso di lui toccano il loro vertice e prendono voce per lodare in libertà il Creatore”. L’uomo ha una posizione unica e speciale all’interno del creato ed esso gli è affidato con un compito ben preciso che è quello di aiutarlo a raggiungere il suo fine in Dio. Ed egli lo fa portando all’altare pochissimi elementi della creazione perché, se essi davvero sono simbolo dell’offerta di se stesso, portano con sé anche tutto il resto. Da questo testo conciliare siamo anche richiamati all’importanza del nostro corpo: è proprio perché abbiamo un corpo materiale che possiamo essere i sacerdoti della creazione. Gli angeli ce lo invidiano perché la seconda persona della Trinità ha assunto proprio quel corpo e non la natura angelica che è certamente migliore perché non è legata alle limitazioni che la materialità del nostro corpo ci impone, a partire dallo spazio e dal tempo.
Uno dei più grandi mistici del Novecento, don Divo Barsotti, definiva la preghiera con queste semplici ma profonde parole: “assumere tutto”. Significa conoscere e amare tutto, abbracciare tutto e portarlo a Dio come Cristo con le sue braccia distese sulla croce abbracciò simbolicamente tutto il mondo. Possiamo farlo perché anzitutto Cristo è venuto nel mondo per “per assumere in sé tutto il creato e sollevarlo dalla sua caduta” (Prefazio di Natale II). In questo modo partecipiamo alla guerra cosmica del Signore Gesù contro le forze del male facendo la nostra parte a sottrarre il mondo al dominio della caducità sotto cui è finito in seguito al peccato originale e riportarlo a Dio. L’insegnamento del Concilio Vaticano II sul compito precipuo dei laici che è quello di consacrare il mondo a Dio specialmente nelle loro attività mondane è troppo spesso stato interpretato come un vago portare qualcosa di Dio negli ambienti di vita mentre la dinamica è esattamente opposta: è tutto ciò che viviamo che deve essere portato a Dio. Possiamo riassumerlo con un aforisma di Giovanni Papini: “l’uomo cerca di trovare un posto per Cristo nella storia mentre è la storia che deve trovare il suo posto in Cristo”.
Se quello che abbiamo detto vale per la preghiera, ancora di più vale per la preghiera ufficiale della Chiesa, la liturgia, dove la Sposa chiama il suo Sposo con la voce di ogni suo membro. Il luogo e tempo privilegiato per sottrarre il mondo al demonio e riportarlo a Dio è la liturgia, specialmente la celebrazione dell’Eucaristia. Qui c’è il momento dell’offertorio che spesso, forse anche perché stiamo seduti e il rito viene compiuto quasi nascostamente e spesso frettolosamente dal sacerdote, ci passa accanto senza troppo disturbare. Dobbiamo invece sentire tutto l’onore e la responsabilità che la nostra condizione regale e sacerdotale comporta. Se il creato si salva, si salva solo attraverso l’uomo, attraverso di me: io, piccola e indifesa creatura, sono il canale attraverso cui passa la salvezza di immense galassie che nemmeno sapevo esistessero. Non siamo stati posti a caso in un tempo, in un luogo e in un gruppo di fratelli. Dio creandoci ci affida un pezzo di storia, un pezzo di creazione, un pezzo di umanità. Quel frammento di storia in mezzo ai millenni, quell’angolo in mezzo all’universo, quelle poche anime tra le miriadi che sono passate e passeranno sono nelle mie mani.
Questo avviene assumendo tutto e portandolo a Dio con l’offerta libera e sincera della mia volontà e della mia libertà. E possiamo farlo solo per l’unione con l’offerta perfetta di Cristo, l’unica offerta gradita al Padre. Se non partecipiamo delle sua preghiera e della sua offerta non facciamo che lanciare grida nel vuoto perché, dice il prefazio delle Domeniche del Tempo Ordinario VII: “hai amato in noi ciò che tu amavi nel Figlio”. Guardando all’offerta di Cristo il Padre vede anche la nostra e quella di tutto ciò che ci ha affidato.
A comprendere l’estensione della nostra responsabilità ci aiuta un altro testo del concilio Vaticano II dalla numero 34 della costituzione Lumen Gentium: “tutte infatti le loro attività, preghiere e iniziative apostoliche, la vita coniugale e familiare, il lavoro giornaliero, il sollievo spirituale e corporale, se sono compiute nello Spirito, e anche le molestie della vita, se sono sopportate con pazienza, diventano offerte spirituali gradite a Dio attraverso Gesù Cristo; nella celebrazione dell’Eucaristia sono in tutta pietà presentate al Padre insieme all’oblazione del Corpo del Signore”. Infatti nell’offertorio non si portano all’altare grano e uva ma pane e vino cioè la creazione già in qualche modo trasformata dall’uomo e viene così riscattato anche il lavoro che secondo il libro della Genesi rappresentava una maledizione per l’uomo peccatore.
Scopriamo così anche la grandezza del rito importantissimo e purtroppo nascosto dell’infusione dell’acqua nel calice che il sacerdote compie durante l’offertorio accompagnandolo con la formula: “L’acqua unita al vino sia segno della nostra unione con la vita divina di colui che ha voluto assumere la nostra natura umana”. Le gocce d’acqua che si disperdono nel calice del vino non ne cambiano la sostanza, così la nostra offerta non arricchisce certo la gloria di Dio perché nemmeno la creazione intera aggiungerebbe nulla all’Infinito e all’Eterno. Ce lo ricorda il prefazio comune IV:
Tu non hai bisogno della nostra lode
ma per un dono del tuo amore
ci chiami a renderti grazie;
i nostri inni di benedizione
non accrescono la tua grandezza
ma ci ottengono la grazia che ci salva
Eppure Dio vuole ancora qualcosa. È egli stesso che ci chiede una risposta consapevole perché non ci obbliga mai a stare con lui e, poiché ci ama, vuole che liberamente lo scegliamo. Il sacrificio di Gesù sulla croce è perfetto ma ogni volta nell’offertorio è come se ci chiedesse di porrtare qualcosa di nostro! Ecco perché non ha senso portare all’altare durante la processione offertoriale nulla di più del necessario per il sacrificio. Non è pignoleria rispettare questa norma ma una questione di senso. O nel pane, nel vino e nell’acqua c’è già tutto oppure stiamo in chiesa a perdere del tempo.
Terzo passo: la contemplatio e la ruminatio. In questo tempo di silenzio ripetiamo in noi le parole dei prefazi che abbiamo ascoltato lasciando che ci conducano alla visione delle verità che narrano. Vi invito di cuore ad ascoltare con attenzione il prefazio durante la Messa ma anche a pregare spesso anche da soli con i prefazi perché sono delle preghiere meravigliose.
Quarto passo: l’oratio. Ora la meditazione, che era già preghiera, si fa colloquio cor ad cor con Dio. Chiediamo al Signore che faccia crescere in noi la consapevolezza e la responsabilità che abbiamo verso l’universo, l’onore di partecipare all’offerta cosmica di Cristo, l’umiltà per restare in equilibrio su questa vetta. Possiamo farlo anche con l’orazione sulle offerte della XVI e XXIV Domenica del Tempo Ordinario:
Accogli con bontà, Signore,
i doni e le preghiere del tuo popolo
e ciò che ognuno offre in tuo onore
giovi alla salvezza di tutti.