Lo Sposo e la Sposa – Lectio divina

Dal prefazio della II Domenica di Quaresima

– di don Emanuele Borserini

– Da qualche mese il santo padre Francesco nelle catechesi dell’udienza generale del mercoledì sta commentando passo dopo passo lo svolgimento della Messa. Giunto a parlare della colletta ha affermato: “Nel Rito Romano le orazioni sono concise ma ricche di significato: si possono fare tante belle meditazioni su queste orazioni. Tanto belle! Tornare a meditarne i testi, anche fuori della Messa, può aiutarci ad apprendere come rivolgerci a Dio, cosa chiedere, quali parole usare. Possa la liturgia diventare per tutti noi una vera scuola di preghiera”. Per coltivare la conoscenza di questi preziosi testi e farne scuola di preghiera possiamo applicare, in modo analogico, il metodo antico e venerabile con cui nella Chiesa si prega la Sacra Scrittura, quello della lectio divina. Si tratta di un percorso molto preciso che, proprio attraverso le sue tappe rigorose, ci giuda ad aprire il cuore e la mente a Dio ascoltando e parlando la sua stessa Parola.

 

Primo passo: la lectio. Per leggere un testo bisogna innanzitutto guardarlo e quando abbiamo davanti un testo liturgico anche la sua presentazione grafica dice qualcosa di interessante. Osservando, dunque, il messale alla pagina della II Domenica di Quaresima possiamo facilmente riconoscervi la forma di ogni prefazio. Esso è un grande dialogo fatto di brevi botte e risposte e concluso da un’ultima risposta molto più articolata su cui ci soffermeremo. Il dialogo è la struttura fondamentale dei riti perché la liturgia stessa non è che il dialogo tra lo Sposo, Cristo, e la sua Sposa, la Chiesa, al quale noi non solo siamo ammessi come attenti ascoltatori ma addirittura siamo chiamati, con il nostro stesso celebrare, a dare espressione alle loro sublimi parole. La lunga risposta del sacerdote che conclude tutto il dialogo si apre sempre riprendendo le ultime parole dell’assemblea (“è cosa buona e giusta” – “è veramente cosa buona e giusta …”) come se egli intendesse incoraggiarla. Con spirito dichiaratamente pedagogico, la liturgia sembra fargli dire: sì, avete detto bene, è proprio così, e ora lo approfondiremo insieme! Al centro di quella risposta, inoltre, è custodito un testo di grandissima poesia che varia a seconda delle feste ed esprime il motivo della lode e del ringraziamento a cui la parte serrata del dialogo invitava (“in alto i nostri cuori” e “rendiamo grazie al Signore nostro Dio”). Infine troviamo un’altra parte fatta di parole ricorrenti che raccorda il prefazio al canto degli angeli (il Santo) invocandone alcune categorie. Ascoltiamo dunque la poesia della trasfigurazione che da corpo a questo prefazio.

 

Egli, dopo aver dato ai discepoli
l’annunzio della sua morte,
sul santo monte manifestò la sua gloria
e chiamando a testimoni la legge e i profeti
indicò agli apostoli che solo attraverso la passione
possiamo giungere al trionfo della risurrezione.

 

  • “dopo aver dato ai suoi discepoli l’annunzio della sua morte”: il prefazio aiuta a collocare l’evento della trasfigurazione proclamato nel vangelo in un momento preciso della vita di Gesù; questa specificazione cronologica mette in rapporto diretto la trasfigurazione con il mistero pasquale.
  • “sul santo monte”: la montagna evoca la salita e la fatica di salire; ma sappiamo che ogni atto dell’uomo evoca sempre qualcos’altro e il salire è anche immagine di un’elevazione spirituale, di un tentativo di avvicinamento a Dio che in modo naturale l’uomo da sempre colloca nel cielo; inoltre, nell’Antico Testamento la montagna è sempre un luogo di rivelazione di Dio;
  • “manifestò la sua gloria”: la trasfigurazione è a tutti gli effetti un momento di rivelazione; del resto, tutto il vangelo di Marco (che ascoltiamo lungo il ciclo domenicale B) è il dipanarsi della dimostrazione del suo titolo “Inizio del vangelo di Gesù Cristo figlio di Dio” (Mc 1,1) che giunge fino all’apice della croce quando il centurione dirà “davvero quest’uomo era figlio di Dio” (Mc 15,39) perché ogni rivelazione dell’identità di Cristo rimanda alla croce per essere compresa; la croce è la conferma della propria identità per Gesù ma anche per noi perché solo nella prova si rivela chi siamo veramente.
  • “chiamando a testimoni la legge e i profeti”: Gesù è il compimento della storia della salvezza, fatta di legge e profeti, ma noi sappiamo che non c’è una storia che sia diversa da quella della salvezza e tutto ciò che riguarda l’uomo è ordinato misteriosamente a Cristo; quindi egli è il compimento di tutta la storia, di tutte le leggi e di tutte le voci profetiche dell’umanità.
  • “agli apostoli”: il piacere da cui Pietro, Giacomo e Giovanni vengono presi non è una consolazione fine a se stessa, quasi fosse una pacca sulla spalla di un Gesù che ricorre a questo stratagemma psicologico per impressionarli prima del drammatico epilogo della sua vita ma ha un fine preciso che è la loro identità di apostoli, cioè, letteralmente, mandati.
  • “solo attraverso la passione possiamo giungere al trionfo della risurrezione”: l’approdo della poesia delinea un precisissimo percorso di rivelazione e attuazione dell’identità gloriosa di Gesù e dell’uomo fatto a sua immagine che non può discostarsi dalla croce.

 

Secondo passo: la meditatio. Ora, dopo uno sguardo e una lettura approfonditi, possiamo mettere nel cuore alcune sollecitazioni che questo prefazio ci suggerisce come scuola di preghiera.

L’itinerario delineato dalla conclusione ci rimanda anzitutto al battesimo e alla necessità di essere sepolti con Gesù per risorgere con lui (cfr. Rm 6,4 e Col 6,12). Dobbiamo innanzitutto immergerci nel mistero di Cristo per comprendere dove porta la nostra strada con lui. La Quaresima è occasione per riscoprire il nostro battesimo, fare il punto sul nostro personale inserimento nel mistero di Cristo e magari pensare a quali ostacoli dobbiamo ancora rimuovere su questo cammino.

Possiamo confrontare questo percorso obbligato con un’altra preghiera che molti di noi recitano spesso: l’orazione dell’Angelus in cui chiediamo un’effusione di grazia affinché possiamo essere condotti (perducamur) alla gloria della risurrezione di Cristo proprio attraverso la sua passione e la sua croce. La via della croce, dunque, è un impegno che ci prendiamo più volte al giorno e la Quaresima è occasione anche per soffermarci a pensare bene a quello che diciamo pregando per evitare di sprecare parole come i pagani (cfr. Mt 6,7).

La meta è sempre la gloria della risurrezione ma la vittoria va conquistata con il combattimento. La Quaresima dell’anno B si apre con un’immagine di pace e armonia grazie alla prima lettura della I Domenica che evoca l’arcobaleno dell’alleanza di Noè, ma il vangelo delle tentazioni ci riporta immediatamente alla dura realtà perché a causa del peccato, pace e armonia non sono più a nostra disposizione e dobbiamo conquistarcele combattendo. Giovanna d’Arco diceva: “bisogna dare battaglia perché Dio conceda vittoria”. La Quaresima inizia proprio sotto il segno del combattimento spirituale con la colletta del Mercoledì delle ceneri.

La gloria vittoriosa del Risorto non è una meta lontana, è presente e per il battesimo vive già in noi con il suo Spirito. Non sta oltre il combattimento, è la sua essenza. L’orazione sulle offerte della festa della trasfigurazione (6 agosto) lo dice: “rinnovaci nello spirito con lo splendore della sua gloria”. Non c’è una salita al monte di Dio realizzabile con le nostre capacità di penitenza: è solo il suo amore che ci chiama e ci purifica. La Quaresima è occasione propizia per riscoprire il primato della grazia di Dio nella quale i nostri piccoli sforzi diventano grandi perché collaborano con l’Infinito.

Possiamo ascoltare anche il prefazio della festa della trasfigurazione che riformula quello della II Domenica di Quaresima e vi aggiunge almeno altri due aspetti molto interessanti.

 

Dinanzi a testimoni da lui prescelti
egli rivelò la sua gloria
e nella sua umanità, in tutto simile alla nostra,
fece risplendere una luce incomparabile,
per preparare i suoi discepoli
a sostenere lo scandalo della croce
e anticipare, nella Trasfigurazione,
la meravigliosa sorte della Chiesa,
suo mistico corpo.

 

Incontriamo qui il tema dell’anticipo che stabilisce un legame profondo tra la trasfigurazione e la liturgia perché, come la trasfigurazione fu l’anticipo della resurrezione di Gesù, la liturgia è l’anticipo della nostra condizione di risorti con lui, il paradiso. Noi crediamo alla gloria del cielo non solo per un sentimento di fede più o meno forte soggettivamente ma perché l’abbiamo vista! E dove? Nella celebrazione dei divini misteri. Lo dice bene l’orazione dopo la comunione della II Domenica di Quaresima: “a noi ancora pellegrini sulla terra fai pregustare i beni del cielo”. Non intravvedere da lontano ma pre-gustare!

Inoltre, si tratta di un’anticipazione ben precisa: quella del destino della Chiesa, qui definita niente meno che “suo mistico corpo”. Come gli apostoli nella passione, vediamo quel corpo ancora martoriato sulle odierne croci che affliggono la Chiesa e molti dei suoi membri; anzi, vediamo che alcuni dei suoi stessi membri la percuotono e la divorano barbaramente così che essa ne esce brutta agli occhi del mondo. Il nostro apostolato, il nostro mandato è anche quello di testimoniare la trasfigurazione della Chiesa che continuamente ci è data di sperimentare nella liturgia dove essa è l’immacolata Sposa di Cristo. La Quaresima è anche occasione per farci carico della testimonianza di una Chiesa tutta bella perché risplende della luce gloriosa del suo Sposo.

 

Terzo passo: la contemplatio e la ruminatio. È questo il tempo di metterci davanti ai misteri e lasciare che parlino loro a noi. In questo tempo di silenzio ripetiamo nel cuore le parole dei prefazi e delle orazioni che abbiamo ascoltato lasciando che ci conducano alla visione delle verità che narrano perché ci siano scuola di preghiera.

 

Quarto passo: l’oratio. Ora la meditazione e la contemplazione, che erano già una preghiera, si fanno libero dialogo cor ad cor con Dio.

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