– di don Emanuele Borserini –
Introduzione
Sacrosanctum Concilium[1] è una delle quattro costituzioni del Concilio Ecumenico Vaticano II, celebrato dall’11 ottobre 1962 all’8 dicembre 1965. Fu la prima ad essere approvata il 4 dicembre 1963 e tratta della sacra liturgia. Vediamo dunque anzitutto come è collocata la trattazione della musica sacra in questo documento che è tra i più solenni e importanti del Magistero perché appunto una costituzione di un concilio ecumenico. Ed è per questo che ancora una volta, a distanza di ormai 55 anni dalla sua promulgazione, dobbiamo ripartire da essa. Ovviamente ci concentreremo sul capitolo VI che comprende i paragrafi dal 112 al 121, un capitolo piuttosto breve ma molto importante. Proprio per questa brevità, è necessario conoscere tutto il testo e collocare le scarne parole sulla musica sacra all’interno della riflessione teologica che l’intero documento esprime. Ogni documento della Chiesa presuppone e propone una teologia cioè una precisa luce con cui tenta di illuminare l’unico e multiforme mistero divino, non è possibile fare diversamente perché nessuna parola umana potrà mai dire Dio tutto insieme e in modo univoco. Comprendiamo così anche perché la storia della Chiesa è accompagnata da un continuo approfondimento dell’intelligenza delle cose di Dio e la dottrina della Chiesa, attraverso la seria riflessione dei suoi membri e la guida dello Spirito Santo, si vada sviluppando senza contraddirsi mai anche se all’apparenza qualcuno potrebbe pensarlo.
Proviamo allora a dare uno sguardo d’insieme all’indice della SC:
Proemio
Capitolo I Principi generali per la riforma e la promozione della sacra liturgia
Capitolo II Il mistero eucaristico
Capitolo III Gli altri sacramenti e i sacramentali
Capitolo IV L’ufficio divino
Capitolo V L’anno liturgico
Capitolo VI La musica sacra
Capitolo VII L’arte sacra e la sacra suppellettile
Appendice sulla riforma del calendario liturgico
Anche da una prima osservazione ci rendiamo conto come emergano con evidenza alcune istanze che verranno poi esplicitate nel testo, a partire dalla grande dignità che viene tributata alla musica sacra alla quale è dedicato un intero capitolo (seppur breve, come abbiamo detto) esattamente come ai sacramenti, all’ufficio divino, all’anno liturgico. Tutti i libri della Sacra Scrittura e i documenti del Magistero si esprimono in un modo che è squisitamente liturgico, cioè non parlano solo con i loro contenuti ma anche con la loro forma; sicché studiare la struttura dei libri della Bibbia e dei documenti della Chiesa è già una fonte di informazioni notevole prima ancora di addentrarsi nella loro lettura. Nel nostro caso, lo schema di SC ci indica una precisa prospettiva in cui collocare tutto il nostro lavoro: stiamo parlando di uno degli aspetti fondamentali del mondo della sacra liturgia. Cerchiamo di percepirne tutto il prestigio ma anche la responsabilità!
Tralasciando per ora il primo capitolo che riprenderemo tra poco e osservando ancora la struttura del documento, vi si può leggere anche un disegno coerente che sottostà all’ordine dei capitoli: tutto parte dal centro, la celebrazione dell’Eucaristia, per poi allargarsi progressivamente alla complessa la vita liturgica che da essa promana, cioè gli altri sacramenti, i sacramentali e la Liturgia delle ore. È solo dopo aver passato in rassegna la vita liturgica della Chiesa (che non si riduce alla Messa), che finalmente il Concilio giunge a trattare della musica sacra. Più che una questione gerarchica che certamente non manca, rileggendola retrospettivamente, si riscontra anche un profetico intento catechetico: la musica sacra non si riduce ai canti della Messa ma è un aspetto della complessa vita liturgica della Chiesa e la abbraccia tutta; deve accompagnare la Liturgia delle ore e le altre sue espressioni modellandosi sul percorso dell’anno liturgico per viverne i contenuti di fede e le emozioni che ogni tempo liturgico veicola.
Passando dall’indice al densissimo testo di SC, si nota come disposizioni che riguardano anche la musica sacra, oltre che nel capitolo VI, si trovino in almeno una quindicina di altri paragrafi. Non potendo leggerli tutti, teniamo presente almeno tre numeri del primo capitolo e uno del secondo:
È ormai necessario, per ripartire da SC, che tutti facciano propria l’identità che il Concilio assegna ai membri della schola cantorum, non solo alla schola in genere ma a tutti i suoi membri. E tale identità è quella di minister che significa esattamente servo. Per chi suona e canta è forse più facile comprendere un “rito” che la liturgia fa compiere anche agli altri ministri, soprattutto il presidente: l’inevitabile confronto con il libro liturgico (o lo spartito) è esperienza diretta della dipendenza da qualcosa che non ci si è creati autonomamente, il servizio viene dettato da un “programma” che è stato dato e che a sua volta si inserisce nel più ampio programma rituale di tutta la celebrazione.
Nella trattazione di uno dei temi che innegabilmente è centrale non solo nel testo di SC ma lo è stato soprattutto nella sua ricezione da parte del popolo di Dio, cioè la partecipazione attiva dei fedeli, ecco che la cura di acclamazioni, salmodia, antifone e canti, cioè delle varie espressioni liturgiche della musica, è particolarmente raccomandata.
Ma lo stesso paragrafo tratta del silenzio e, senza soluzione di continuità, lo presenta come ulteriore promozione della partecipazione attiva (e su questo ci sarebbe da parlare a lungo ma non è il nostro tema). Ci limitiamo qui a riprendere una figura propria dell’ambito musicale per descrivere l’importanza del silenzio, “dove la pausa non è un di più ma anch’essa è vera e propria musica. La pausa è musica e il silenzio è rito”[2].
Ancora una volta, il canto è presentato tra gli elementi che favoriscono la partecipazione attiva dei fedeli, elementi in cui si possono attivare con maggiore libertà quei dispositivi che la suscitano; tra cui l’uso della lingua nazionale che è, si badi bene, solo uno di questi dispositivi, uno tra i numerosissimi che la liturgia mette a disposizione.
Anche qui è ribadita l’ampiezza della vita liturgica che va ben oltre la Messa.
Inoltre, riguardando ancora una volta in modo retrospettivo il testo, non è difficile riconoscere come quello del canto sia rimasto pressoché l’unico ambiente in cui è possibile rispettare il primo dei dettati conciliari di cui sopra, cioè la conservazione della lingua latina nei riti latini.
Ho riportato anche la questione delle traduzioni perché, sempre se volgiamo ripartite da SC come ci siamo proposti, essa fornisce un elemento di discernimento formidabile: tutte le traduzioni dei testi liturgici cioè quelli forniti dai libri liturgici (per esempio, l’Ordinario della Messa o le antifone della Liturgia delle ore) devono attenersi all’unica traduzione approvata dall’autorità che è appunto quella pubblicata nel libro liturgico di riferimento (un esempio molto semplice: il comunissimo errore “Santo è il Signore”, a meno di smentite dalla prossima traduzione in italiano del Messale da poco approvata).
L’Ordinario della Messa è costituito da quei testi che sono strutturali alla celebrazione dell’Eucaristia e di conseguenza non cambiano mai: Kyrie, Gloria (quando è previsto), Sanctus e Agnus Dei. Affinché i fedeli imparino a cantarli, è necessaria, come numerose volte ricorda il testo conciliare, una formazione liturgica del popolo di Dio. Formazione che spetta ai pastori ma, alla luce di quanto abbiamo detto sopra, anche a tutti coloro che svolgono un ministero liturgico. È questo il grande mandato agli operatori pastorali della musica sacra: formarsi, come lodevolmente state facendo in questo momento, vivere bene il proprio ministero servendo il mistero che vi è posto tra le mani, e proprio compiendolo “con quella sincera pietà e con quel buon ordine che conviene a un così grande ministero”[3] educare il popolo di Dio.
Alla luce di queste poche ma profonde sollecitazioni dei paragrafi programmatici di SC, addentriamoci ora nel capitolo VI. Un capitolo quello sulla musica sacra che appare decisamente conservatore (si parla di latino, di gregoriano, di polifonia, di repertorio…) ma che porta anch’esso il segno dell’unica vera e straordinaria novità di SC che peraltro resta un miraggio ancora oggi a distanza di 55 anni: la necessità della formazione liturgica del popolo di Dio e dei suoi ministri.
SC 112: Dignità della musica sacra
Il primo passo del capitolo è la constatazione che la musica e il canto, come in quasi tutte le tradizioni religiose conosciute, è parte “necessaria e integrante” della liturgia solenne della Chiesa (dove solenne, nel contesto di SC, non significa sfarzosa ma semplicemente completa[4]).
Immediatamente, viene richiamato, come sempre avviene nei documenti della Chiesa, il Magistero precedente. E viene fatto per dimostrare quanto anticipato anche dal n. 29 su cui ci siamo già soffermati: “il compito ministeriale della musica sacra”. A questo proposito è interessante osservare lo sviluppo della terminologia[5]: san Pio X chiamava la musica “umile serva della liturgia”[6], Pio XI “nobilissima serva della liturgia”[7], Pio XII “quasi compagna della liturgia”[8], Paolo VI “nobile ausiliaria della liturgia e sorella della liturgia”[9], infine il Concilio Vaticano II ripetendo e aumentando quei giudizi la proclama “parte necessaria e integrale della liturgia” e afferma la sua efficacia “per la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli” esattamente come la liturgia stessa. C’è una presa di coscienza sempre più chiara di questa dignità e connaturalità della musica con la ritualità umana, frutto in parte anche dell’approfondimento degli studi antropologici del secolo scorso.
A queste premesse segue una conclusione, introdotta dall’avverbio tipicamente liturgico ideo. Se questa connaturalità è vera come è vera, ne consegue che “la musica sacra sarà tanto più santa quanto più strettamente sarà unita all’azione liturgica”. Vi è anzitutto proposto un vero e proprio salto di qualità e che va dal sacro al santo; dalla semplice ricognizione di una separazione dal profano alla drammatica ed esistenziale appropriazione di tale identità. Perché ciò avvenga è necessario che la musica sacra cum actione liturgica connectetur, sia messa in connessione (termine che oggi ci è più facile capire e che attesta ancora una volta il valore profetico e lungimirante dei testi magisteriali), in comunicazione con l’azione liturgica, si lasci plasmare da essa.
La stessa scansione degli interventi papali in materia di musica liturgica (da Giovanni XXII, nel 1324 al Concilio Vaticano II) pone chiaramente in luce una sorta di “rincorsa” rispetto a questioni più o meno di dettaglio (la querelle tra gregoriano e polifonia, il ruolo della musica strumentale, l’uso della lingua volgare nel canto), ma solo nel XX secolo – e segnatamente con il Concilio Vaticano II – il magistero riesce ad individuare nella “questione liturgica” più ampiamente intesa la vera matrice della crisi della musica liturgica, che nessuna musica “sacra” è in grado di risolvere. La autenticità musicale è pertanto riferita non alla musica come tale (idea della “musica sacra”) e neppure alla semplice funzionalizzazione liturgica di essa (idea di “musica d’uso”), ma piuttosto al contesto liturgico, alla celebrazione del mistero pasquale per ritus et preces, di cui la musica è una delle più alte e insostituibili espressioni ed esperienze. La mediazione liturgica del musicale diviene il luogo del vero confronto. Non più solo “musica sacra” o “musica d’uso”, ma “musica per la liturgia”.[10]
SC 113-114: La liturgia solenne
La funzione del canto nella liturgia è qui assimilata alla questione che poi ha superato in risonanza tutte le altre che è l’actuosa participatio del popolo di Dio. Per questo:
Il musicista deve prima percepire il mistero, per poi poterlo artisticamente comunicare in forma musicale. Senza queste due realtà, si cade inesorabilmente nell’idolatria: una musica che canta solo di sé, che venera se stessa e non diventa epifania della bellezza-gloria nel mistero celebrato.[11]
Vengono poi richiamati alcuni paragrafi precedenti che abbiamo già analizzato e anche raccomandato di “conservare e incrementare” il patrimonio della musica sacra.
SC 115: Formazione musicale
Come è sempre avvenuto sin dall’antichità e si è smesso di fare proprio quando un Concilio generale della Chiesa lo ha stabilito per legge (cosa alquanto curiosa come la scomparsa della pratica della Liturgia delle ore presso i fedeli laici dopo che lo stesso Concilio li ha esortati a praticarla), si raccomanda che del programma di educazione cristiana sia dei chierici, sia dei religiosi, sia dei laici faccia parte l’educazione musicale.
Ma ecco che la conclusione del paragrafo ritorna al centro del problema: non si può trattare la musica come un settore a sé ma essa deve far parte integrante di una più ampia formazione liturgica che il nostro ufficio sta faticosamente cercando di mettere in atto. Non tanto delle lezioni, ma una vera educazione per ritus et preces come, del resto, insegna la stessa SC[12]. Formazione non da impartire ma da donare (donetur) a musicisti e cantori ma in primis pueri.
SC 116-117: Canto gregoriano e polifonico
Ecco una questione spinosa, quella del canto gregoriano che viene riconosciuto come proprio della liturgia romana e ad esso, “a parità di condizioni”, va riservato il posto principale.
Esso, più che il “cosa” cantare, ci dice “come” cantarlo perché è frutto della preghiera di secoli che ha portato a fare del canto una vera e propria lectio divina, una celebrazione della parola. Le melodie gregoriane parlano del loro contenuto sottolineando dei testi le parti più importanti, il rapporto tra le parole e le frasi, esprimendo concetti teologici attraverso il numero e l’altezza delle note: una vera liturgia delle parole. Ad esempio, il lungo vocalizzo sulla parola virgo dell’inno dei Vespri delle feste della Madonna Ave maris stella vuole esprimere che la verginità di Maria è tale prima, dopo e durante il parto; così la velocità con cui passa sull’ultima parola della strofa, coeli porta, laddove invece ci aspetteremmo una chiusura dolce ed elaborata, rispecchia l’azione che la porta suggerisce cioè il passare, la porta è un luogo di passaggio non è fatta per soffermarsi e così fa la melodia gregoriana facendo della parola un’azione, una vera e propria liturgia in ritus et preces. Le melodie gregoriane per l’Alleluia, parola ebraica che racchiude l’invito a lodare Dio, sono costruite in questo modo: la parte formata dal verbo allelu, lodate, è poco ornata mentre sulla contrazione del nome di Dio, Yah, sfociano lunghissimi vocalizzi; come a dire che Dio è talmente trascendente che nessun canto, per quanto infinito, potrebbe veramente esprimerne la gloria per l’incolmabile distanza tra noi e Dio che solo per una sua amorevole iniziativa si può colmare. Non è necessario ripetere oggi gli stessi brani consegnatici dalla tradizione, essi sono spesso difficili da eseguire o incomprensibili agli orecchi postmoderni; quel che è invece da ritenere è seguire lo spirito del gregoriano, cioè scegliere o comporre canti nuovi che davvero esprimano la fede che con quella liturgia si vuole professare perché anche l’azione del cantare sia una vera liturgia della parola come ci consegna tutta la tradizione liturgica orientale e occidentale.[13]
Anche altri elementi della produzione musicale possono avere cittadinanza ma alla solita condizione: “purché risponda allo spirito della liturgia”.
Viene infine dato mandato agli organi competenti di portare a compimento l’edizione tipica dei libri di canto gregoriano, cosa che è stata fatta ma alla quale non è seguita un’adeguata diffusione.
SC 118: Canti religiosi popolari
Questo paragrafo parla del canto religioso popolare cioè di ciò che è ispirato a temi religiosi ma non è testo liturgico e che deve accompagnare anzitutto i pii esercizi. Tuttavia, poiché questi ultimi non esistono praticamente più, anche i canti di questo genere si sono riversati completamente sull’unico polo di pratica religiosa che è la Messa. Ma la vita liturgica della Chiesa è molto più ampia e così la sua vita di preghiera comune che non sempre è liturgia: Via crucis, Rosario, Novena di Natale, per fare alcuni esempi. Solo con una vita ecclesiale e liturgica complete la formazione liturgica e di conseguenza musicale trovano un contesto adatto e si può raggiungere un vero discernimento per accogliere e collocare tutte le diverse esperienze musicali.
SC 119: La musica sacra nelle missioni
Si parla qui delle missioni ma anche da noi ormai la cultura ha sviluppato una propria tradizione musicale sganciata da quella cristiana e questo dato non è eludibile. Bisogna anzitutto conoscere questo percorso per poterlo educare efficacemente, non necessariamente per imitarlo ma certo per entrarvi in dialogo. L’inculturazione, che è diretta conseguenza del mi stero dell’Incarnazione, è sempre necessaria e rimane una sfida da raccogliere ogni giorno.
SC 120: L’organo e gli strumenti musicali
L’organo ha un posto speciale nella Chiesa latina perché possiede la peculiarità di saper “elevare potentemente gli animi”. Peculiarità espressa dal testo conciliare con questa specie di ossimoro: elevazione dell’animo che fa pensare a qualcosa di soave ed etereo ma avviene vehementer. Effettivamente l’organo ha un’ampiezza di espressività e di adattamento eccezionale, caratteristica necessaria alla liturgia perché in essa si esprimono tutti gli stati d’animo dall’esultanza, al lutto, tutti le azioni dalla contrizione alla glorificazione, tutti glie venti salvifici dalla vita alla morte di Dio e dell’uomo. La liturgia è tutta una esperienza di elevazione potente: elevazione sì, ma non per progressiva catarsi e liberazione dal contingente quanto piuttosto per un continuo e drammatico confronto con il reale e la sua concretezza.
SC 121: Missione dei compositori
Ai compositori di musica è riconosciuta una vera e propria vocazione (esse vocatos) e, di conseguenza, è affidata una vera e propria missione. Insieme al tema del ministero che abbiamo affrontato precedentemente, queste sono altre parola chiave per impostare il nostro tema ripartendo da SC. Chi si occupa di musica sacra non può più farlo per velleità ma ha una vocazione che comporta una missione che si realizza del servizio all’interno della Chiesa. Un servizio rivolto non solo ai grandi centri ma anche alle scholae più piccole e ogni fedele.
La questione dei testi è di capitale importanza. Se una certa attenzione è stata in questi ultimi anni rivolta alla Sacra Scrittura, bisogna riconoscere che assai povera è l’ispirazione delle nuove composizioni alle “fonti liturgiche”. Per fare solo due esempi: inni per la Liturgia delle ore che sappiano esprimere le emozioni proprie di ogni tempo liturgico come mirabilmente sanno fare gli antichi inni gregoriani (basti ascoltare quello dei vespri dell’Avvento e della Quaresima, rispettivamente Conditor alme siderum e Audi benigne conditor) oppure canti popolari che riprendano le numerosissime orazioni del Messale perché la celebrazione del sacrificio dell’Eucaristia è “espressione perfetta della nostra fede”[14] (prerogativa che nessun documento magisteriale si è mai arrogato).
Conclusione
In conclusione possiamo dire con il direttore del Pontificio Istituto di Musica Sacra e direttore della Cappella musicale della Basilica papale di Santa Maria Maggiore:
Quale panorama meraviglioso ti si spalanca davanti agli occhi leggendo questi testi! Quale paesaggio desolato ci è dato invece di costatare.[15]
L’unica soluzione è la formazione. Ed eccoci qua!
[1] Da qui in avanti SC. Il testo di riferimento è quello pubblicato sul sito della Santa Sede sia in latino sia in italiano.
[2] Emanuele Borserini, Il paradiso sulla terra. Spunti di catechesi liturgica nella Messa, D’Ettoris editori, Crotone 2018, p. 24.
[3] SC, 29.
[4] Cfr. anche Istruzione del Consilium e della Sacra Congregazione dei riti “Musicam sacram”, 16: “Non c’è niente di più solenne e festoso nelle sacre celebrazioni di un’assemblea che tutta esprime con il canto la sua pietà e la sua fede”.
[5]Cfr. Alfredo Pellegrino Ernetti O.S.B., La musica sacra dopo il Concilio Vaticano II, in Id., Storia del canto gregoriano, Jucunda laudatio, 1982-1990.
[6] Pio X, Motu proprio Tra le sollecitudini, 23, 22 novembre 1903.
[7] Pio XI, Costituzione apostolica Divini Cultus, 35, 20 dicembre 1928, in AAS 21 (1929).
[8] Pio XII, Lettera enciclica Musicae sacrae, 12, 25 dicembre 1955, in AAS 40 (1956).
[9] Paolo VI, Chirografo Nobile Subsidium, 22 novembre 1963 e Discorso alle Commissioni diocesane di Liturgia e Arte sacra, 4 gennaio 1967.
[10] Andrea Grillo, Musica sacra, musica liturgica e musica per la liturgia, http://www.notedipastoralegiovanile.it/ index.php?option=com_content&view=article&id=6992.
[11] Giuseppe Liberto, Musica “santa” per la liturgia, in “L’osservatore Romano” 4 gennaio 2004, p. 8.
[12] SC, 48.
[13] Emanuele Borserini, Il paradiso sulla terra. Spunti di catechesi liturgica nella Messa, D’Ettoris editori, Crotone 2018, pp. 99-100.
[14] Orazione sulle offerte della Messa del giorno di Natale.
[15] Valentino Miserachs Grau, Chiesa e musica sacra. Passato, presente e futuro, http://chiesa.espresso.repub- blica.it/articolo/6966.html.