Giovedì 11 agosto 2022
Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: “Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?”. E Gesù gli rispose: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello”. Terminati questi discorsi, Gesù lasciò la Galilea e andò nella regione della Giudea, al di là del Giordano. (Mt 18, 21-19, 1)
Presso i popoli nomadi la vendetta di sangue era normale (Es 21, 23). Però c’era un limite: il capo di tutte le famiglie e tribù d’Israele è Dio stesso, che riserva a sé il diritto della vendetta
(Dt 32, 35). La vendetta, insomma, bisogna lasciarla fare a Dio. È il primo passo per superare il principio della giustizia primitiva che vorrebbe rendere male per male. È necessario avere fiducia nella giustizia di Dio e lasciare a Lui il giudizio. Chi lascia la vendetta a Dio poi vorrebbe veder punito il nemico. Il profeta Geremia, per esempio, dice di rimettere la sua causa al Signore (Ger 20, 12), ma poi desidera la vendetta di Dio (Ger 11, 20). I popoli antichi credevano nella divinità della vendetta: la Nemesis greca, che raggiungeva ovunque i colpevoli, era un tema frequente nelle tragedie. Anche i salmi chiedono punizioni divine per i peccatori. Nel Nuovo Testamento invece questa vendettadivina appare in una luce nuova e imprevista: Dio punisce il male prendendolo liberamente su di sé, con tutte le conseguenze. Succede così anche quando ci perdoniamo reciprocamente. Riconosciamo che il male è male, ma ne accettiamo liberamente le conseguenze.
Ci hanno rubato dei soldi? Hanno danneggiato il nostro buon nome? Dovrebbe soffrire chi ha commesso questi peccati, ma perdonando soffriamo noi. È difficile? Molte volte sì, altre volte meno, ma in ogni modo abbiamo la soddisfazione di agire come agisce Dio. Tante volte il prossimo va amato così com’è, ora, al presente. Ma l’amore sa attendere. Certo…la violenza va fermata, spesso anche grazie a braccia gagliarde, ma comunque prive di odio. Dio poi dona sempre, a chi ama, la chiave dei cuori, per poter spendere una parola di grazia e santo ammonimento, ad un peccatore che nessuno ha mai amato. Il vangelo non ci chiede affatto di svendere il perdono e poi disinteressarsi dell’anima di un peccatore. Ma tante volte questo non è possibile e allora portiamo noi la croce dei peccati altrui, salendo sul Calvario; ma.. “spendendo una preghiera”, affinché Dio provveda.