Domenica 14 agosto 2022 – XX domenica del Tempo ordinario
Ger 38,4-6.8-10; Sal 39; Eb 12,1-4; Lc 12,49-53
Gesù avrà sicuramente spaventato, o almeno turbato i suoi ascoltatori con le parole che leggiamo nella pagina evangelica di oggi.
Nell’Antico Testamento il Messia è detto «Principe della pace», quindi la pace è un dono messianico. La parola pace non è quindi facile. Gesù ammonisce di non confondere la sua pace con la pace della quale si parla nel mondo. Bisogna distinguerle. Nel linguaggio comune con la pace intendiamo uno stato di assenza di guerra. Se uno stato non è in guerra è possibile viaggiare, visitare altri paesi, i giovani non devono arruolarsi, non si temono bombardamenti ecc. Ma il senso della pace è molto più ampio, perché sappiamo bene che anche in tempo di pace tanta gente non è affatto in pace a causa di discordie in famiglia, sul lavoro, fra vicini, nella società. Spesso si considera che un cristiano non può impedire le guerre nel mondo, ma nel suo contatto con il prossimo dovrebbe sempre creare condizioni di pace. Qua e là leggiamo di qualcuno che non aveva nemici personali, ma alcuni santi ne avevano perché erano sinceri e non temevano di dire la verità.
Del resto, nelle relazioni con gli uomini succede come guidando la macchina sulla strada. Non è sufficiente non urtare nessuno. Ci sono anche tante macchine che possono urtare noi. Quando Gesù parla delle divisioni in famiglia, suppone che ci saranno sempre alcuni irritati dal solo fatto che uno vuol vivere cristianamente. Esiste anche un terzo aspetto della pace, quella che è dentro di noi e nei nostri pensieri. Sant’Antonio abate fuggì nel deserto per non incontrare nessuno, per dimenticare tutto. Il deserto egiziano è mistico, specie alla sera. La luce è pacifica, le dune della sabbia fanno sparire le impressioni, i ricordi. Eppure, anche in questo contesto Antonio si lamentava: «Signore, vorrei pregare, ma i miei pensieri non me lo permettono».
Si potrebbe sperare che sia così solo all’inizio. Ma i santi dicono che anche così è un’illusione. Un discepolo si lamentava con sant’Antonio perché molti pensieri lo turbavano. Il santo lo condusse sul tetto dicendo: «Afferra il vento!». Davanti allo stupore del discepolo, Antonio continuò: «Se non riesci a prendere il vento che è materiale, come riuscirai ad afferrare i pensieri, che sono immateriali?». La conclusione di ciò che abbiamo detto non è consolante. Non troviamo la pace nel mondo, nell’ambiente che ci circonda, ma neanche dentro di noi. La pace piena è un dono escatologico, cioè si realizzerà alla seconda venuta di Gesù sulla terra. Nel frattempo bisogna combattere per averla. Chi non combatte non sarà salvato, dicevano i monaci del deserto d’Egitto.
D’altra parte essi erano convinti che questo combattimento è vittorioso, se si usano le giuste armi cristiane. La prima arma è la preghiera. Perciò la Chiesa intera e i singoli devono pregare intensamente per la pace. L’esaudimento di questa preghiera si avverte anzitutto nel cuore: conciliarsi con la volontà di Dio e rigettare i pensieri che le sono contrari. Sembra difficile, ma con l’aiuto di Dio si possono fare tanti progressi.
Se uno è pacificato interiormente, riesce a superare molti conflitti con gli altri. E se gli vengono imposti, non lo turbano. Questa è la pace che raggiunse sant’Antonio. Quando si trovava fra tante persone e qualcuno lo cercava senza conoscerlo, il pellegrino non aveva bisogno di chiedere chi fosse Antonio: il suo volto era così pacifico che tutti lo riconoscevano. Di volti così ha sempre più bisogno la nostra società, perché si sta parlando della pace che solo Cristo dà.