Domenica 18 settembre 2022 – XXV domenica del Tempo ordinario
Am 8,4-7; Sal 112; 1Tim 2,1-8; Lc 16,1-13
Quella che la liturgia propone alla nostra riflessione è senza dubbio la più sconcertante parabola del Signore. È il caso di un amministratore disonesto, che si trova di fronte ad un’improvvisa verifica del suo operato e quindi deve, di punto in bianco, fronteggiare la prospettiva della propria imminente rovina. La stranezza del racconto sta in questo, che il furfante viene lodato dal padrone e parrebbe addirittura proposto ai discepoli di Cristo come modello. Essendo però una parabola, non tutti gli elementi vanno trasferiti nell’insegnamento, ma solo quelli che vengono intesi e indicati come tali. Qui è indubbio che il comportamento del protagonista della parabola è disapprovato, tanto è vero che viene chiamato esplicitamente “disonesto”. Vi è allora un duplice aspetto di fondo in questa parabola.
L’invito a fare il bene con la stessa “astuzia” di chi fa il male
Il furfante è molto scaltro, deciso e tempestivo nel cavarsela dai guai, al punto che riceve la lode dal padrone derubato. Gesù fa un’osservazione che, purtroppo, è spesso comprovata dall’esperienza: I figli di questo mondo sono più scaltri dei figli della luce.
Il Signore desidera che i buoni siano più svegli e intraprendenti. Purtroppo, una delle disgrazie dell’umanità sta nel fatto che il male è fatto bene, con impegno, intelligenza e tenacia; troppo spesso il bene è fatto male, senza passione, senza genialità, senza costanza, presentato in forme scolorite e prive di fascino. Spesso i figli della luce sono indecisi, fiacchi e incoerenti nell’agire. Non sta scritto da nessuna parte, nel Vangelo, che i buoni debbano essere sprovveduti, che i cristiani debbano essere incapaci, che i discepoli di Cristo debbano caritatevolmente aiutare gli avversari con la loro stupidità, facendosi incantare dai capziosi ragionamenti degli altri e mettendosi quasi al loro servizio per amore del dialogo, della comprensione, della mitezza o, più verosimilmente, del quieto vivere. Sta scritto precisamente il contrario, come appare dalla lettura di oggi. Confrontate col pensiero di Cristo, molte vicende della cristianità italiana di questi quarant’anni trovano qui un giudizio severo.
L’“astuzia spirituale” della generosità verso gli altri
Il secondo insegnamento della parabola è dirci che tutti noi siamo, di fronte a Dio, nella stessa condizione dell’amministratore infedele. Anche noi abbiamo prevaricato, abbiamo abusato della fiducia del Creatore, che ci ha regalato la vita perché ne usassimo per la giustizia. Siamo oberati dai debiti che abbiamo nei confronti del Padre e il nostro stato è fallimentare. Ogni giorno che passa si avvicina il rendiconto finale, quando ogni falsità verrà scoperta e anche noi saremo in una condizione incontrovertibile innanzi a Dio. Gesù ci invita qui ad essere generosi verso il prossimo, donandogli il nostro perdono, il nostro tempo, il nostro interessamento e anche il nostro denaro. E’ in fondo quanto afferma la preghiera del Padre Nostro: Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori.
È vero che elargendo agli altri le nostre cose noi non diamo propriamente del nostro, perché tutto è dono di Dio, ma Dio è contento così e attribuisce a noi il merito dei regali fatti con i beni suoi. Anzi, è disposto perfino a tramutare in lode il biasimo che ci sarebbe toccato.
Il dovere di non scendere a patti con il male
Concludendo, quasi a dissipare ogni equivoco e a ribadire che questa parabola non vuole insegnarci nessun compromesso con la disonestà e nessun patteggiamento col male, Gesù enuncia il principio del giusto integralismo cristiano: «Nessuno può servire a due padroni: odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire a Dio e a mammona», cioè alla ricchezza, al desiderio di possesso, a tutto ciò che finisce col dominare il cuore dell’uomo. Il servo di cui si parla è lo schiavo del mondo antico, che aveva un servizio a tempo pieno, senza ferie e senza giornate di riposo.
Così deve essere il nostro servizio a Dio. Non deve avanzare spazio per nessun altro dominatore, perché uno solo è il Signore, come ancora una volta abbiamo ripetuto all’inizio di questa Messa: «Tu solo il Signore, Gesù Cristo».