Domenica 6 novembre 2022. La Chiesa nasce dallo Spirito, costruttore di gioia, unità e pace. Un pensiero per Libano, Etiopia e Ucraina
di Michele Brambilla
Domenica 6 novembre Papa Francesco recita l’Angelus nella chiesa del Sacro Cuore di Gesù a Manama, capitale del Bahrein, al culmine del viaggio apostolico nell’emirato arabo. Sono presenti non solo i religiosi del Bahrein, ma anche quelli delle altre comunità cattoliche della penisola arabica, riguardo alle quali il Papa dice che «sono lieto di trovarmi in mezzo a voi, in questa comunità cristiana che ben manifesta il suo volto “cattolico”, cioè universale: una Chiesa abitata da persone provenienti da molte parti del mondo, che si ritrovano insieme a confessare l’unica fede in Cristo» in luoghi molto lontani dai Paesi d’origine. Si tratta, infatti, di comunità composte da allogeni, sottoposti ad un regime, spesso, di grave sfruttamento da parte dei ricchi datori di lavoro musulmani. «In particolare, vedendo presenti i fedeli del Libano, assicuro la mia preghiera e vicinanza a quell’amato Paese, così stanco, così provato, e a tutti i popoli che soffrono in Medio Oriente», osserva il Pontefice.
«Le parole di Gesù che abbiamo ascoltato», prosegue il Santo Padre riferendosi al testo scelto per l’incontro con il clero locale, «parlano dell’acqua viva che sgorga dal Cristo e dai credenti (cfr Gv 7,37-39). Mi hanno fatto pensare proprio a questa terra: è vero, c’è tanto deserto, ma ci sono anche sorgenti di acqua dolce che scorrono silenziosamente nel sottosuolo, irrigandolo. È una bella immagine di quello che siete voi e soprattutto di ciò che la fede opera nella vita» della penisola arabica: «in superficie emerge la nostra umanità, inaridita da tante fragilità, paure, sfide che deve affrontare, mali personali e sociali di vario genere; ma nel sottofondo dell’anima, proprio dentro, nell’intimo del cuore, scorre calma e silenziosa l’acqua dolce dello Spirito, che irriga i nostri deserti, ridona vigore a quanto rischia di seccare, lava ciò che ci abbruttisce, disseta la nostra sete di felicità».
Non bisogna mai dimenticare, quindi, che la Chiesa è opera dello Spirito Santo. «Ci fa bene allora soffermarci sulla scena che il Vangelo descrive. Gesù si trova nel tempio di Gerusalemme», nel giorno in cui si compiva un rito di benedizione aspergendo la campagna dalle mura del santuario. Il Salterio afferma, infatti, che «“Sono in te tutte le mie sorgenti” (Sal 87,7)». Gesù adempie l’antica profezia esclamando, nel bel mezzo della festa, «“Chi ha sete, venga a me” (Gv 7,37), perché “fiumi di acqua viva” sgorgheranno dal suo grembo (v. 38). Che bell’invito! E l’Evangelista spiega: “Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato” (v. 39)». Naturalmente «il richiamo è all’ora in cui Gesù muore in croce: in quel momento, non più dal tempio di pietre, ma dal costato aperto di Cristo uscirà l’acqua della vita nuova, l’acqua vivificante dello Spirito Santo, destinata a rigenerare tutta l’umanità liberandola dal peccato e dalla morte». La Chiesa, ricorda ancora una volta il Pontefice, nasce proprio dalla Pasqua di Cristo, origine di tutti i Sacramenti.
«Anzitutto lo Spirito è sorgente di gioia. L’acqua dolce che il Signore vuole far scorrere nei deserti della nostra umanità, impastata di terra e di fragilità, è la certezza di non essere mai soli nel cammino della vita. Lo Spirito è infatti Colui che non ci lascia soli, è il Consolatore; ci conforta con la sua presenza discreta e benefica, ci accompagna con amore, ci sostiene nelle lotte e nelle difficoltà, incoraggia i nostri sogni più belli e i nostri desideri più grandi, aprendoci allo stupore e alla bellezza della vita», dice il Papa, ribadendo che questa gioia è molto diversa dalla «gioia consumista e individualista così presente in alcune esperienze culturali di oggi» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 128).
La gioia dello Spirito va donata al nostro prossimo. Ed ecco che, «in secondo luogo, lo Spirito Santo è sorgente di unità. Quanti lo accolgono ricevono l’amore del Padre e diventano suoi figli (cfr Rm 8,15-16); e, se figli di Dio, sono anche fratelli e sorelle». La fratellanza dovrebbe distinguere dovunque i discepoli del Signore, pertanto il Pontefice mette di nuovo in guardia contro il “chiacchiericcio” ecclesiale. I cattolici si contraddistinguono anche per l’autentica profezia, altro dono dello Spirito Santo. Profezia significa non rimanere impassibili davanti al male, ma annunciare coraggiosamente il giudizio di Dio sulla storia umana.
In proposito, «cari fratelli e sorelle, in questi mesi stiamo pregando tanto per la pace. In tale contesto, costituisce una speranza l’accordo che è stato firmato e che riguarda la situazione in Etiopia», di cui poco si è parlato in Occidente, che ha raggiunto livelli di efferatezza non inferiori ad altre guerre. «Incoraggio tutti a sostenere questo impegno per una pace duratura, affinché, con l’aiuto di Dio, si continuino a percorrere le vie del dialogo e il popolo ritrovi presto una vita serena e dignitosa. E inoltre non voglio dimenticare di pregare e di dire a voi di pregare per la martoriata Ucraina, perché» anche «quella guerra finisca» con l’aiuto della Madonna, invocata da Francesco con il titolo di «Nostra Signora d’Arabia».