Giovedì 1 dicembre 2022. Il Papa approfondisce l’analisi della consolazione, minuto per minuto, insegnando come riconoscere i diversi influssi che la nostra anima riceve quotidianamente quando si accinge a riflettere su tematiche spirituali. Dio non ci distrae mai dal nostro bene concreto qui ed ora
di Michele Brambilla
Papa Francesco dedica l’udienza di mercoledì 30 ottobre all’approfondimento dello stato di consolazione. Esso, infatti, non è “uniforme”, dato che vi agiscono diversi influssi spirituali. La domanda è «come riconoscere la vera consolazione. E’ una domanda molto importante per un buon discernimento, per non essere ingannati nella ricerca del nostro vero bene». Citando sant’Ignazio di Loyola, «“Se nei pensieri tutto è buono, il principio, il mezzo e il fine, e tutto è orientato verso il bene, questo è un segno dell’angelo buono”», ovvero che l’impulso viene da Dio, ma può capitare che anche nel pensiero più santo possa inserirsi qualche distrazione o divagazione, che indebolisce la nostra buona volontà. «Ci sono infatti», spiega il Papa, «delle consolazioni che non sono vere, per questo occorre capire bene il percorso della consolazione» e intuire quale sia il suo fine autentico.
«Cosa significa che il “principio è orientato al bene”», come dice sant’Ignazio? Il Pontefice fa l’esempio della preghiera, che è un principio ottimo, ma quando «quel pensiero sorge per evitare un lavoro o un incarico che mi è stato affidato» si tratta di un impulso “intimista” che vuole distoglierci dall’apostolato e dalla stessa vita di comunità.
«C’è poi il mezzo, ciò che segue quel pensiero»: continuando a parlare di preghiera, se il mio atteggiamento è lo stesso del fariseo della celebre parabola, che disprezza gli altri, significa che «lo spirito cattivo ha usato quel pensiero come chiave di accesso per entrare nel mio cuore e trasmettere i suoi sentimenti», sempre “omicidi” fin dal principio. Il risultato è una pessima preghiera, che accumula peccati sul nostro capo.
«E poi c’è il fine», dove mi porta il mio pensiero. «Può capitare che mi impegni a fondo per un’opera bella e meritevole, ma questo mi spinge a non pregare più perché sono troppo indaffarato»: si perde, così, il contatto con Colui che è il vero fine di ogni opera buona e anche la mia azione caritatevole si trasforma in una distrazione. «Mi scopro sempre più triste e incattivito, penso che tutto dipenda da me, fino a perdere fiducia in Dio», naufragando nello zelo amaro o nel delirio di onnipotenza.
«Esaminare quindi il percorso dei nostri sentimenti, il percorso dei buoni sentimenti», perché «lo stile del nemico – e quando si parla di nemico», ribadisce con enfasi il Santo Padre, «si parla del diavolo; il diavolo esiste – il suo stile è di presentarsi in maniera subdola, parte da ciò che ci sta maggiormente a cuore e poi ci attira a sé poco a poco», alterando i nostri sentimenti fino alla ricomparsa della desolazione.
Bisogna, quindi, praticare un attento discernimento, imparare dalle nostre esperienze, conoscere le nostre “password”, dice il Papa. Importantissimo, allora, l’esame di coscienza serale, «cosa è successo nel mio cuore», non sui giornali. Accorgersi di ciò che accade è opera dello Spirito, che ci fa crescere nella consapevolezza del fatto che «la consolazione vera è una sorta di conferma del fatto che stiamo compiendo ciò che Dio vuole da noi», perché il discernimento si applica sul mio bene concreto, qui ed ora.