Domenica 22 ottobre 2023. La “schizofrenia” tra Cielo e Terra non è affatto cattolica
di Michele Brambilla
L’Angelus del 22 ottobre, Giornata missionaria mondiale, serve a Papa Francesco per fornire l’esegesi corretta di un celebre passo evangelico. «Il Vangelo della Liturgia odierna», infatti, «ci racconta che alcuni farisei si uniscono agli erodiani per tendere una trappola a Gesù. Sempre cercavano di tendergli delle trappole. Vanno da Lui e gli chiedono: “È lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?” (Mt 22,17)».
Gli erodiani erano quegli ebrei che fiancheggiavano i “re clienti” di Roma, prima Erode il Grande (73-4 a.C.), quello della Strage degli Innocenti, e poi Erode Antipa (20 a.C.-39 d.C.), il “compagno” di Erodiade (15 a.C.-39 d.C.), che aveva fatto decapitare da poco tempo san Giovanni Battista. La domanda posta a Gesù è, quindi, un tranello, perché «se Gesù legittima la tassa, si mette dalla parte di un potere politico mal sopportato dal popolo, mentre se dice di non pagarla può essere accusato di ribellione contro l’impero». Come è noto, Cristo risponde: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
Mai frase del Vangelo fu più fraintesa! Ancora oggi, infatti, ci si “aggrappa” a questa citazione evangelica per dare anche una giustificazione “religiosa” al separatismo post-1789 e al laicismo stesso, ovvero all’espunzione di qualsivoglia riferimento sacrale nella sfera pubblica, soprattutto se si legifera sui temi etici. In realtà, spiega il Papa, «queste parole di Gesù sono diventate di uso comune, ma a volte sono state utilizzate in modo sbagliato – o almeno riduttivo – per parlare dei rapporti tra Chiesa e Stato, tra cristiani e politica; spesso vengono intese come se Gesù volesse separare “Cesare” e “Dio”, cioè la realtà terrena e quella spirituale. A volte anche noi pensiamo così: una cosa è la fede con le sue pratiche e un’altra cosa la vita di tutti i giorni. E questo non va», rimarca il Pontefice. Per il Santo Padre «questa è una “schizofrenia”, come se la fede non avesse nulla a che fare con la vita concreta, con le sfide della società, con la giustizia sociale, con la politica e così via». Ci siamo dimenticati che Dio “c’entra con tutto”, ovvero che il Vangelo non ci è stato consegnato per alimentare una fede intimistica, bensì per originare una civiltà.
Infatti «Gesù vuole aiutarci a collocare “Cesare” e “Dio” ciascuno nella sua importanza. A Cesare – cioè alla politica, alle istituzioni civili, ai processi sociali ed economici – appartiene la cura dell’ordine terreno; e noi, che in questa realtà siamo immersi, dobbiamo restituire alla società quanto ci offre attraverso il nostro contributo di cittadini responsabili, avendo attenzione a quanto ci viene affidato, promuovendo il diritto e la giustizia nel mondo del lavoro, pagando onestamente le tasse, impegnandoci per il bene comune, e così via», ma il compito del cattolico nel mondo non finisce qua, perché «Gesù afferma la realtà fondamentale: che a Dio appartiene l’uomo, tutto l’uomo e ogni essere umano. E ciò significa che noi non apparteniamo a nessuna realtà terrena, a nessun “Cesare” di turno. Siamo del Signore e non dobbiamo essere schiavi di nessun potere mondano. Sulla moneta, dunque, c’è l’immagine dell’imperatore, ma Gesù ci ricorda che nella nostra vita è impressa l’immagine di Dio, che niente e nessuno può oscurare. A Cesare appartengono le cose di questo mondo, ma l’uomo e il mondo stesso appartengono a Dio: non dimentichiamolo». Si spiegano così anche i rinnovati appelli per la pace dello stesso Pontefice, che raccomanda a tutti la giornata di preghiera e digiuno del 27 ottobre.