S. Natale, Lunedì 25 dicembre 2023. Il nome “Betlemme” richiama la gioia di 2000 anni fa e il dolore di questi giorni. La voce di Gesù Bambino si unisce agli innocenti di tutte le epoche per chiedere la fine di tutte le guerre
di Michele Brambilla
Papa Francesco dalla loggia centrale di S. Pietro lancia un accorato appello alla pace fin dalle prime righe del messaggio Urbi et Orbi del 25 dicembre. Infatti «lo sguardo e il cuore dei cristiani di tutto il mondo sono rivolti a Betlemme; lì, dove in questi giorni regnano dolore e silenzio, è risuonato l’annuncio atteso da secoli: “È nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore” (Lc 2,11). Sono le parole dell’angelo nel cielo di Betlemme e sono rivolte anche a noi», sottolinea il Papa. Dio si è fatto come noi, abita questa fragile e martoriata umanità. Comprendiamo, quindi, come «quello di Betlemme è l’annuncio di “una grande gioia” (Lc 2,10). Quale gioia? Non la felicità passeggera del mondo, non l’allegria del divertimento, ma una gioia “grande” perché ci fa “grandi”. Oggi, infatti, noi esseri umani, con i nostri limiti, abbracciamo la certezza di una speranza inaudita, quella di essere nati per il Cielo. Sì, Gesù nostro fratello è venuto a fare del Padre, suo il Padre nostro: fragile Bimbo, ci rivela la tenerezza di Dio; e molto di più: Lui, l’Unigenito del Padre, ci dà il “potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12). Ecco la gioia che consola il cuore, rinnova la speranza e dona la pace: è la gioia dello Spirito Santo, la gioia di essere figli amati», ripete il Pontefice.
«Gioisci tu, che hai smarrito fiducia e certezze, perché non sei solo, non sei sola: Cristo è nato per te! Gioisci tu, che hai deposto la speranza, perché Dio ti tende la mano: non ti punta il dito contro, ma ti offre la sua manina di Bimbo per liberarti dalle paure, sollevarti dalle fatiche e mostrarti che ai suoi occhi vali come nient’altro. Gioisci tu, che nel cuore non trovi la pace, perché per te si è compiuta l’antica profezia di Isaia: “Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio […] e il suo nome sarà: […] Principe della pace” (9,5)». La Scrittura rivela che la sua pace, il suo regno “non avrà fine” (9,6)».
Il tema della pace è inevitabilmente il leitmotiv di questo anno, che alla guerra in Ucraina ha visto aggiungersi una nuova recrudescenza dell’eterno conflitto mediorientale. Il Santo Padre rimarca che «dire “sì” al Principe della pace significa dire “no” alla guerra, e questo con coraggio: dire “no” alla guerra, a ogni guerra, alla logica stessa della guerra, viaggio senza meta, sconfitta senza vincitori, follia senza scuse». Il giorno, profetizzato da Isaia, in cui «spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci» (Is 2,4) «si avvicini in Israele e Palestina, dove la guerra scuote la vita di quelle popolazioni. Le abbraccio tutte, in particolare le comunità cristiane di Gaza, la parrocchia di Gaza, e dell’intera Terra Santa. Porto nel cuore il dolore per le vittime dell’esecrabile attacco del 7 ottobre scorso e rinnovo un pressante appello per la liberazione di quanti sono ancora tenuti in ostaggio. Supplico che cessino le operazioni militari, con il loro spaventoso seguito di vittime civili innocenti, e che si ponga rimedio alla disperata situazione umanitaria aprendo all’arrivo degli aiuti».
La perorazione del Pontefice chiede anche che «non si continui ad alimentare violenza e odio, ma si avvii a soluzione la questione palestinese, attraverso un dialogo sincero e perseverante tra le Parti, sostenuto da una forte volontà politica e dall’appoggio della comunità internazionale. Fratelli e sorelle, preghiamo per la pace in Palestina e in Israele».
Il Papa non dimentica le problematiche che contraddistinguono Siria, Yemen e Libano, a vario titolo coinvolti o coinvolgibili nel conflitto in corso in Terra Santa. Ampliando lo sguardo, l’attenzione cade inevitabilmente sull’Ucraina, alla quale «rinnoviamo la nostra vicinanza spirituale e umana al suo martoriato popolo, perché attraverso il sostegno di ciascuno di noi senta la concretezza dell’amore di Dio», ma Francesco prega anche che «si avvicini il giorno della pace definitiva tra Armenia e Azerbaigian. La favoriscano la prosecuzione delle iniziative umanitarie, il ritorno degli sfollati nelle loro case in legalità e sicurezza, e il mutuo rispetto delle tradizioni religiose e dei luoghi di culto di ogni comunità».
Pensando ad ogni guerra, piccola o grande, nota o misconosciuta, «dal presepe, il Bambino ci chiede di essere voce di chi non ha voce: voce degli innocenti, morti per mancanza di acqua e di pane; voce di quanti non riescono a trovare un lavoro o l’hanno perso; voce di quanti sono obbligati a fuggire dalla propria patria in cerca di un avvenire migliore, rischiando la vita in viaggi estenuanti e in balia di trafficanti senza scrupoli».
Tra un anno, in questa stessa data, inizierà il Giubileo del 2025. «Questo periodo di preparazione sia occasione per convertire il cuore; per dire “no” alla guerra e “sì” alla pace; per rispondere con gioia all’invito del Signore che ci chiama, come ancora profetizzò Isaia, “a portare il lieto annuncio ai miseri, / a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, / a proclamare la libertà degli schiavi, / la scarcerazione dei prigionieri” (Is 61,1)», come insegna da sempre la spiritualità giubilare.