Mercoledì 13 marzo 2024. Virtù significa disposizione abituale a fare il bene e richiede anche un po’ di lotta
di Michele Brambilla
Come spiega Papa Francesco all’inizio dell’udienza del 13 marzo, «dopo aver concluso la carrellata sui vizi, è giunto il momento di rivolgere lo sguardo sul quadro simmetrico», ovvero quello delle virtù. Infatti «il cuore dell’uomo può assecondare cattive passioni, può dare ascolto a tentazioni nocive travestite con vesti suadenti, ma può anche opporsi a tutto questo. Per quanto ciò possa risultare faticoso, l’essere umano è fatto per il bene, che lo realizza veramente, e può anche esercitarsi in quest’arte, facendo sì che alcune disposizioni divengano in lui o in lei permanenti».
«I filosofi romani la chiamavano virtus, quelli greci aretè. Il termine latino evidenzia soprattutto che la persona virtuosa è forte, coraggiosa, capace di disciplina ed ascesi», talvolta faticosa; «la parola greca, aretè, indica invece qualcosa che eccelle, qualcosa che emerge, che suscita ammirazione». Il virtuoso è quindi ammirato perché ha vinto le sue inclinazioni cattive.
Il Papa osserva che «saremmo fuori strada se pensassimo che i santi siano delle eccezioni dell’umanità: una sorta di ristretta cerchia di campioni che vivono al di là dei limiti della nostra specie. I santi, in questa prospettiva che abbiamo appena introdotto riguardo alle virtù, sono invece coloro che diventano pienamente sé stessi, che realizzano la vocazione propria di ogni uomo». Circa le virtù, «il Catechismo della Chiesa Cattolica ci offre una definizione precisa e sintetica: “La virtù è una disposizione abituale e ferma a fare il bene” (N. 1803)». Non un bene, quindi, episodico, magari frammisto a molti peccati, ma un’inclinazione costante al bene, raggiunta lottando anche attivamente contro i propri vizi.
Ci si può, infatti, chiedere come sia possibile acquisire una virtù. Il Santo Padre stesso conferma che non è semplice, ma «per il cristiano il primo aiuto è la grazia di Dio. Infatti, in noi battezzati agisce lo Spirito Santo, che lavora nella nostra anima per condurla a una vita virtuosa». Se ci accorgiamo che per noi alcuni passi sono ancora molto difficili, sull’esempio dei santi chiediamo l’aiuto dello Spirito Santo nella preghiera.
«Inoltre, non si deve mai dimenticare la ricchissima lezione che ci è arrivata dalla saggezza degli antichi, che ci dice che la virtù cresce e può essere coltivata. E perché ciò avvenga, il primo dono dello Spirito da chiedere è» la Sapienza, virtù che ci ricorda come il nostro cammino verso il bene non sia lasciato ai meri sforzi umani. Non siamo, inoltre, in balia delle tentazioni: c’è sempre l’irriducibile chiamata alla comunione con Dio insita nel Battesimo. «Un dono inestimabile che possediamo è l’apertura mentale, è la saggezza che sa imparare dagli errori per indirizzare bene la vita. Poi ci vuole la buona volontà», cioè dobbiamo volerlo noi. Il Signore, che ci ha creato senza di noi, non ci salverà senza di noi.
Le parole che il Pontefice rivolge ai pellegrini polacchi sono estendibili a tutti i cattolici. «In questi nostri tempi drammatici, nei quali facciamo spesso i conti con quanto vi è di peggio nella persona umana, è necessario riscoprire l’importanza di coltivare in noi stessi una disposizione abituale e ferma a fare il bene. Imparate questo dai vostri Santi, cercando l’aiuto della grazia di Dio», dice infatti Francesco, ed è proprio il ritratto della condizione del cattolico nella nostra epoca.