In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano (Marco 16,15-20).
«La nostra patria è nei cieli e di là aspettiamo come Salvatore il Signore Gesù Cristo» (Fil 3,20). Nella Sacra Scrittura si parla della ricerca della città futura (Eb 13,4), non tanto della città del cielo. È la grande differenza tra la visione cristiana e quella delle culture antiche, dove il mondo non ha un valore, ma rappresenta un appesantimento materiale da cui ci si deve liberare. Il corpo sarebbe come una tomba, e la salvezza è l’abbandono di esso per liberare lo spirito dalla carne e dal mondo materiale. Non è così nel cristianesimo.
Il corpo non è soltanto un involucro che ingabbia l’anima spirituale. Il corpo partecipa della gloria di Dio, come indicano l’Ascensione del Signore e l’Assunzione di Maria, che sono elevazione entrambe corporee. Nella fede non vi è alcuna schizofrenia tra spirito e carne, che soltanto in Gesù Cristo stanno sempre in perfetta unità. La persona umana non è un angelo: per esprimere e dimostrare verità e buona volontà usa sempre il corpo con tutte le sue espressioni verbali e gestuali. La persona umana vuole essere felice in questa sua carne. Nell’Ascensione viene proclamato che nulla di noi e del creato andrà perduto. L’incontro con il Signore che viene o «andare a stare con il Signore» (Fil 1,23): questo è il cieloper i cristiani!
Il creato è di Dio e attende la piena redenzione (cfr. Rom 8,19). È stato consegnato a noi perché lo completassimo con l’opera benedetta della famiglia e del lavoro. Si pone allora un sommo interesse per la sua conservazione e il suo miglioramento: il compito di migliorare le condizioni della vita presente vengono amplificate della fede nel ritorno di Gesù Cristo. Egli non porterà nessun annichilimento del creato, ma cieli nuovi e terra nuova, uniti alla visione del Padre, così come egli è.
Il tempo ci è dato per «operare del bene a tutti»: è un’espressione di san Paolo (Gal 6,10), che smuove ogni pigrizia e porta l’incarnazione in opere di tutto ciò che viene dallo Spirito Santo. La vita spirituale autentica sempre si incarna. Se il cielo è per noi, allora c’è una dovuta e santa vigilanza da espletare nel presente, perché Gesù Cristo viene ora a noi nell’Eucarestia, viene nel povero che tende la mano, nel malato e nel sofferente che deve essere salvato mediante il prossimo. Ben prima della nostra dipartita, è il cielo che viene a noi.