L’umiltà necessaria

Mercoledì 22 maggio 2024. Benché non ricompresa tra le virtù tradizionali, ne è la porta d’ingresso

di Michele Brambilla

Come dice Papa Francesco nell’udienza del 22 maggio, «concludiamo questo ciclo di catechesi soffermandoci su una virtù che non fa parte del settenario di quelle cardinali e teologali, ma che è alla base della vita cristiana: questa virtù è l’umiltà. Essa è la grande antagonista del più mortale tra i vizi, vale a dire la superbia».

«Mentre l’orgoglio e la superbia gonfiano il cuore umano, facendoci apparire più di quello che siamo, l’umiltà riporta tutto nella giusta dimensione: siamo creature meravigliose ma limitate, con pregi e difetti. La Bibbia dall’inizio ci ricorda che siamo polvere e in polvere ritorneremo», condensa infatti il Pontefice. Humus in latino significa “terra”: la virtù dell’umiltà è quindi il nostro ancoraggio al reale. 

«Per liberarci dalla superbia basterebbe molto poco, basterebbe contemplare un cielo stellato per ritrovare la giusta misura, come dice il Salmo: “Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?” (8,4-5)», sostiene il Papa, e in effetti è sufficiente la contemplazione dell’immensità dell’universo per rendersi conto che non è possibile, per l’uomo, dominarlo completamente. La stessa scienza, osserva il Santo Padre, se correttamente intesa spinge di sua natura a questa umiltà.

Gesù chiama gli umili «poveri in spirito» (Mt 5,3) e dichiara che ad essi appartiene il Regno dei Cieli. Non si può negare che «l’umiltà è la porta d’ingresso di tutte le virtù». Questo è perfettamente combaciante con l’agire stesso del Padre. «L’annuncio dell’angelo non avviene alle porte di Gerusalemme, ma in uno sperduto paesino di Galilea, talmente insignificante che la gente diceva: “Da Nazaret può venire qualcosa di buono?” (Gv 1,46)», come obbiettò l’apostolo Bartolomeo al momento della sua vocazione. «L’eroina prescelta non è una reginetta cresciuta nella bambagia, ma una ragazza sconosciuta: Maria», che infatti canterà: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc 1,46-48). Il Papa rimarca che «Dio – per così dire – è attratto dalla piccolezza di Maria, che è soprattutto una piccolezza interiore. Ed è attratto anche dalla nostra piccolezza, quando noi la accettiamo».

«Possiamo immaginare che anche lei abbia conosciuto momenti difficili, giorni in cui la sua fede avanzava nell’oscurità. Ma questo non ha mai fatto vacillare la sua umiltà, che in Maria è stata una virtù granitica. Questo voglio sottolinearlo: l’umiltà è una virtù granitica», nonostante troppi continuino a immaginare gli umili come persone remissive. Non perdiamo di vista «Maria: lei è sempre piccola, sempre spoglia di sé, sempre libera da ambizioni. Questa sua piccolezza è la sua forza invincibile: è lei che rimane ai piedi della croce, mentre l’illusione di un Messia trionfante va in frantumi». Sarà proprio attorno a Maria e alla sua fede tenace che si radunerà, nel cenacolo, la Chiesa nascente nell’attesa della discesa dello Spirito Santo. 

«Fratelli e sorelle, l’umiltà è tutto. È ciò che ci salva dal Maligno, e dal pericolo di diventare suoi complici. E l’umiltà è la fonte della pace nel mondo e nella Chiesa», ripete il Pontefice, che poco dopo enumera tutti i conflitti in corso.   

Nei saluti ai pellegrini, Francesco si dilunga sulle «novizie partecipanti al corso promosso dall’Unione Superiore Maggiori d’Italia ed auspico che tale incontro susciti in ciascuna il desiderio di aderire sempre più a Cristo e di servire il prossimo nella carità», aggiungendo che «io vedo queste novizie e mi domando: quante sono italiane? Poche. C’è una scarsità di vocazioni in Italia: pensiamo e preghiamo per le vocazioni alla vita consacrata». 

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