In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci! Dai loro frutti li riconoscerete.
Si raccoglie forse uva dagli spini, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni.
Ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai loro frutti dunque li riconoscerete» (Matteo 7,15-20).
L’ipocrisia è il tentativo di prendersi gioco di Dio. Si arriva al punto di pensare di accontentare Dio con un minimo di apparenza, come se egli fosse tutt’altro che onnipotente. Chi si atteggia in tal modo è falso nel cuore. L’ipocrisia in psicologia viene spesso definita come doppiezza, astuzia e furbizia. Quando ci si incallisce e si persevera, essa diventa peccato contro lo Spirito Santo, con la costruzione di tutto un mondo a propria misura e con la pretesa di salvarsi senza veri meriti, portando quindi all’impenitenza finale.
L’ipocrita, tutto sommato, è un falsario. Cerca di rendere a Dio ciò che crede dovuto, ma con i propri criteri e con moneta falsa. Onora con le labbra, mentre il cuore è lontano da Dio (cfr. Mt 15,8). L’ipocrisia è una forma di ateismo, perché considera Dio come un Signore che non sente, non vede e non parla. È come aver offuscato la vera identità di Dio, che è il sommo Vivente e Santo, che scruta i cuori e legge i pensieri prima che si formino nella mente. San Paolo ha parole incisive quando dice: «Non vi fate illusioni, non ci si prende gioco di Dio» (Gal 6,7). L’ipocrita non cammina a lungo, viene sempre rapidamente scoperto nei suoi inganni.
L’ipocrisia vigente oggi è rovesciata. Un tempo raccontavi di frequentare la chiesa quando invece facevi tutt’altro, ed era il dazio che il vizio paga alla santità. Oggi tanti cercano di passare per peggiori di ciò che sono, e raccontano che la domenica viaggiano per non dover dire che partecipano a funzioni religiose. Altrimenti, chissà cosa penserebbero di me tanti conoscenti e colleghi di lavoro! Questo modo di inventarsi spregiudicatezze è il dazio che la virtù paga al vizio. Potremmo assimilarla ad una nuova ipocrisia.
In realtà sotto il sole del peccato non c’è nessuna novità. L’espressione classica con cui viene indicato questo comportante è rispetto umano. Le parole del Salvatore a riguardo sono emblematiche: «Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi» (Mc 8,38). Essere onesti innanzi al Padre è quanto siamo invitati a chiedere allo Spirito Santo, che è l’unico vero portatore di verità e di trasparenza nelle intenzioni. Presentarsi a lui è sempre saziarsi di ottime risposte sul da farsi qui ed ora, liberi da qualunque catena. La sapienza dello Spirito Santo è l’autentica cultura che dà risposte di luce e rende superflua ogni finzione ipocrita.