In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!». (Lc 12, 35-38)
Il timore di Dio, o timore religioso, si presenta in due forme. C’è un timore che è semplice conseguenza del fatto che Dio è Dio e noi siamo uomini. E’ il sentimento divino, del soprannaturale. Quando Jahwè si manifesta, “il popolo è scosso da tremore” (Es 19,16). Così anche nel Nuovo Testamento, di fronte alla potenza di Gesù sul lago, quando con la sua parola seda la tempesta. Ma c’è un secondo timor di Dio che è connesso invece con il peccato e che è o paura di commettere il peccato o paura per aver commesso un peccato. Quest’ultimo si identifica con il sentimento di colpa o di rimorso, e appare subito dopo con il primo peccato: “Ho udito il tuo passo nel giardino e ho avuto paura” (Gn 3,10). Nella Bibbia quando si parla del timore di Dio come valore o dono dello Spirito Santo si intende la prima specie di timore, cioè quello che precede il peccato e che porta ad evitarlo, detto anche “Inizio della Sapienza” (Prv 1,7).
E’ un momento cardine di ogni esperienza religiosa, che culmina con l’amore. Il comandamento definitivo di Dio è “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore”, non: “Temerai il Signore”. Qui però Gesù sembra sottolineare il temere Dio. Lo fa perché non si passa all’istante dal temere all’amare. Giovanni afferma: “Nell’amore non c’è timore; al contrario l’amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone il castigo e chi teme non è perfetto nell’amore”(1Gv 4, 18). Non è mai il caso di disprezzare il timore di Dio, ma aspirare ad avere un amore tale che scacci il timore e lo renda quasi superfluo. Non si deve, però, schematizzare eccessivamente e opporre troppo nettamente lo spirito del timore di Dio allo spirito dell’amore di Dio. C’è una forma di timore di Dio – il timore reverenziale – che è molto vicino all’amore e sta bene anche nei rapporti fra figlio e padre, soprattutto con il Padre Eterno. Esso è, può e deve coesistere anche con un sentimento di confidenza. Di esso parla il salmo: “Ecco l’occhio del Signore veglia su chi lo teme” (Sal 33,18). Al fondo del sentimento dell’adorazione e della lode, c’è sempre un po’ di questo sentimento di timore reverenziale che sopra ho denominato sentimento del divino e del soprannaturale.