In piedi

Domenica 27 ottobre 2024. La Chiesa “seduta” può rialzarsi. E il valore centrale della comunità internazionale deve essere di nuovo la sacralità della vita

di Michele Brambilla

Il 27 ottobre Papa Francesco chiude il Sinodo sulla sinodalità e decide di non pubblicare un’esortazione apostolica post-sinodale, dando valore di Magistero al documento finale dell’assemblea. 

Introducendo l’Angelus, il Papa considera anzitutto che «oggi il Vangelo della liturgia (Mc 10,46-52) ci parla di Gesù, che guarisce un uomo dalla cecità». Il cieco si chiamava Bartimeo, «ma la folla, per strada, lo ignora: è un povero mendicante». Egli, però, riesce a farsi sentire da Gesù: grida «Figlio di Davide, abbi pietà di me». 

Il Signore non solo si ferma davanti a lui, ma gli chiede: «“Cosa vuoi che io faccia per te?”. Questa domanda, davanti a una persona cieca, sembra una provocazione e invece è una prova. Gesù sta chiedendo a Bartimeo chi cerca davvero, e per quale motivo. Chi è per te il “Figlio di Davide”? E così il Signore inizia ad aprire gli occhi del cieco», intendendo non solo quelli fisici, ma anche quelli interiori. Infatti «Bartimeo vede perché crede» e il suo credere diventa subito apostolato. 

Il moto di Bartimeo è quello che il Papa richiede a tutta la Chiesa al termine del Sinodo. Nell’omelia pronunciata in S. Pietro ha proprio detto che «tante cose, lungo il cammino, possono renderci ciechi, incapaci di riconoscere la presenza del Signore, impreparati ad affrontare le sfide della realtà, a volte inadeguati nel saper rispondere alle tante questioni che gridano verso di noi come fa Bartimeo con Gesù. Tuttavia, dinanzi alle domande delle donne e degli uomini di oggi, alle sfide del nostro tempo, alle urgenze dell’evangelizzazione e alle tante ferite che affliggono l’umanità, sorelle e fratelli, non possiamo restare seduti. Una Chiesa seduta, che quasi senza accorgersi si ritira dalla vita e confina sé stessa ai margini della realtà, è una Chiesa che rischia di restare nella cecità e di accomodarsi nel proprio malessere», quando invece ci sono tante piaghe, nel mondo contemporaneo, che richiedono un’azione determinante dei cattolici per essere risanate. 

Il Pontefice, durante i saluti dell’Angelus, ricorda per esempio che «il 22 ottobre ricorreva il 50° anniversario della creazione, da parte di San Paolo VI, della Commissione per i rapporti religiosi con l’Ebraismo, e domani sarà il 60° della Dichiarazione Nostra aetate del Concilio Ecumenico Vaticano II. Soprattutto in questi tempi di grandi sofferenze e tensioni, incoraggio quanti sono impegnati a livello locale per il dialogo e per la pace». 

Il pensiero corre immediatamente a «Ucraina, Palestina, Israele, Libano, perché si ponga fine all’escalation» in nome dei troppi bambini massacrati nei vari conflitti. Ricorrendo anche i 75 anni dalla Convenzione di Ginevra, il Santo Padre prega che l’anniversario possa «risvegliare le coscienze affinché, durante i conflitti armati, siano rispettate la vita e la dignità delle persone e dei popoli, come anche l’integrità delle strutture civili e dei luoghi di culto». 

A proposito di violazioni della libertà religiosa, il Papa cita «il sacerdote Marcelo Pérez, assassinato domenica scorsa» in Messico dai narcotrafficanti: anche il suo sacrificio di «zelante servitore del Vangelo e del popolo fedele di Dio» serva a che si rimetta «al primo posto il rispetto della vita umana, che è sacra».

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