Mentre si avvicinava a Gerico, un cieco era seduto lungo la strada anmendicare. Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. Gli annunciarono: “Passa Gesù, il Nazareno!”. Allora gridò dicendo: “Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!”. Quelli che camminavano avanti lo rimproveravano perché tacesse; ma egli gridava ancora più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”. Gesù allora si fermò e ordinò che lo conducessero da lui. Quando fu vicino, gli domandò: “Che cosa vuoi che io faccia per te?”. Egli rispose: “Signore, che io veda di nuovo!”. E Gesù gli disse: “Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato”. Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo glorificando Dio. E tutto il popolo, vedendo, diede lode a Dio (Lc 18,35- 43).
Al tempo di Gesù i poveri e bisognosi, in mancanza di aiuti assistenziali socio-familiari, sostavano ai margini delle strade per chiedere aiuto ed elemosina ai vari passanti o viandanti.
In questo contesto si viene a trovare Gesù che, in cammino verso Gerusalemme con i suoi discepoli, sta percorrendo la via centrale di Gerico, ormai preceduto dalla sua fama di Messia, figlio di Davide, motivo di fiduciosa speranza per tutti.
Gli evangelisti non mancano di scrivere (cfr. pure Mt 20,29-34; Mc 10, 46-52), che, al passaggio di Gesù, anche i ciechi, seduti a mendicare in vari tratti della strada, ricevono il beneficio della guarigione con il dono della vista, segno della loro fede che li salva come dichiara loro Gesù stesso. Grazie alla loro fede riescono a vedere con gli occhi del corpo, ma soprattutto con gli occhi dell’anima, infatti, appena guariti, pieni di gratitudine, non pensano ad altro che a seguire Gesù glorificando Dio in una maniera che coinvolge tutto il popolo.
Ecco l’opera del Messia. I miracoli sono sempre il segno della nuova creazione operata dal Figlio di Dio fatto uomo.
Tutto è stato creato nello splendore della perfezione del Verbo eterno, il Figlio Unigenito di Dio, a sua immagine e somiglianza. Ma, a causa della prevaricazione del peccato, l’umanità è caduta nel buio dell’ignoranza, della disperazione, dell’indifferenza, dell’incertezza, del dubbio e della morte. È precipitata soprattutto nella cecità spirituale per cui sconosce il significato della vita e si rotola nel fango delle felicità effimere ed illusorie che lasciano spazio solo al vuoto di una vita superficiale e abbrutente.
Il Signore però vigila sulle sue creature. Non ci abbandona mai e anzi si prende cura di ciascuno di noi ordinariamente attraverso la sua Chiesa articolata in tutto il mondo in Diocesi, Parrocchie e innumerevoli comunità ad esse collegate aventi come centro visibile la Chiesa di Roma con il suo Vescovo, Vicario di Cristo in terra, il S. Padre, oggi Papa Francesco, in quella città che custodisce le tombe degli Apostoli, specialmente dei Santi Pietro e Paolo, delle cui Basiliche proprio oggi celebriamo la Dedicazione.
Con le celebrazioni liturgico-sacramentali, specialmente l’Eucaristia, il S. Rosario, altre varie forme di preghiera autorizzate e nella trama delle relazioni della vita comunitaria riceviamo e alimentiamo la vita nuova in Cristo e siamo abilitati a realizzare quotidianamente l’unione tra la fede e la vita nell’esistenza personale, familiare e sociale.
Così Gesù continua a passare anche sulla strada di ciascuno di noi in questo mondo di buio in cui ci siamo venuti a trovare.
Gettiamo via pertanto, con prontezza e decisione, il mantello dell’illusoria saggezza di un mondo spinto ad un impossibile auto-salvezza. Anzi con gratitudine, rispondiamo alla nostra personale specifica vocazione per instaurare un mondo migliore, grazie alla fede in Cristo, nella prospettiva della vita perfetta che sarà donata solo nella beatitudine eterna del Paradiso.
Con questa consapevolezza combattiamo ogni giorno la buona battaglia della fede che diventa luce anche per la vita in società: “(…). Quando la fede viene meno, c’è il rischio che anche i fondamenti del vivere vengano meno, come ammoniva il poeta T. S. Eliot: « Avete forse bisogno che vi si dica che perfino quei modesti successi / che vi permettono di essere fieri di una società educata / difficilmente sopravviveranno alla fede a cui devono il loro significato? ».[48] Se togliamo la fede in Dio dalle nostre città, si affievolirà la fiducia tra di noi, ci terremmo uniti soltanto per paura, e la stabilità sarebbe minacciata. La Lettera agli Ebrei afferma: « Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio. Ha preparato infatti per loro una città » (Eb 11,16). L’espressione “non vergognarsi” è associata a un riconoscimento pubblico. Si vuol dire che Dio confessa pubblicamente, con il suo agire concreto, la sua presenza tra noi, il suo desiderio di rendere saldi i rapporti tra gli uomini. Saremo forse noi a vergognarci di chiamare Dio il nostro Dio? Saremo noi a non confessarlo come tale nella nostra vita pubblica, a non proporre la grandezza della vita comune che Egli rende possibile? La fede illumina il vivere sociale; essa possiede una luce creativa per ogni momento nuovo della storia, perché colloca tutti gli eventi in rapporto con l’origine e il destino di tutto nel Padre che ci ama.” ( cfr. FRANCESCO, Lumen Fidei, Enciclica sulla fede, nn.54- 55).