Il Signore è la mia consistenza

Domenica 15 dicembre 2024. Ogni giornata sia vissuta e conclusa davanti a Gesù, presente nel SS. Sacramento. Nuovo appello del Papa per la pace dal Medio Oriente al Myanmar, ma anche all’interno della Chiesa stessa

di Michele Brambilla

L’Angelus del 15 dicembre è recitato da Papa Francesco nella cattedrale di Ajaccio, dove incontra il clero della Corsica. «Mi trovo in questa bella terra solo per un giorno, ma ho desiderato che ci fosse almeno un breve momento per incontrarvi e salutarvi. Questo mi dà l’opportunità prima di tutto di dirvi grazie: grazie perché ci siete, con la vostra vita donata; grazie per il vostro lavoro, per l’impegno quotidiano; grazie perché siete segno dell’amore misericordioso di Dio e testimoni del Vangelo», dice subito Papa Francesco.

«E dal “grazie” passo subito alla grazia di Dio, che è il fondamento della fede cristiana e di ogni forma di consacrazione nella Chiesa. Nel contesto europeo in cui ci troviamo, non mancano problemi e sfide che riguardano la trasmissione della fede, e ogni giorno voi fate i conti con questo, scoprendovi piccoli e fragili: non siete molto numerosi, non avete mezzi potenti, non sempre gli ambienti in cui operate si mostrano favorevoli ad accogliere l’annuncio del Vangelo» perché l’atteggiamento di molti verso la religione cattolica, sostiene il Papa citando un vecchio film visto in gioventù, è del tipo «“La musica sì, ma il musicista no”», ovvero “Cristo forse si, Chiesa no”. La povertà e l’incomprensione non devono abbattere: evidenziano ancora di più che «al centro c’è il Signore. Non io al centro, ma Dio». 

«Il primato della grazia divina non significa, però, che possiamo dormire sonni tranquilli senza assumerci le nostre responsabilità» come clero e, potremmo aggiungere, come laicato cattolico, ma solo che non dobbiamo indulgere a quel tipo di attivismo che fa dimenticare per Chi sei all’opera. Il Pontefice ricorda che, quando era arcivescovo di Buenos Aires, durante le visite pastorali chiedeva ai sacerdoti di sostare sempre, alla fine della giornata, davanti al tabernacolo eucaristico. Anche il prete è un discepolo in cammino, pertanto gli si può porre la domanda: «Come vivo io il discepolato? Fissatela nel vostro cuore, non sottovalutatela, e non sottovalutate la necessità di questo discernimento, di questo guardarsi dentro, perché non ci succeda di essere “macinati” nei ritmi e nelle attività esterne e di perdere la consistenza interiore». 

Per evitare questo pericolo occorre imporsi una “regola di vita” che tenga sempre al centro l’Eucaristia. La cura della fraternità sacerdotale è preferibile alla frenesia e all’invidia, che c’è anche tra preti e religiosi. Importante, per ristorare l’anima, non solo la vicinanza al proprio gregge, ma anche quella della gente al proprio pastore, che si incrementa ascoltando e non smettendo mai di perdonare. Il Santo Padre reitera i soliti moniti a non respingere nessun penitente, facendo presente che «io porto già 55 anni di sacerdozio, sì, l’altro ieri ne ho fatti 55, e mai ho negato un’assoluzione. E mi piace confessare, tanto. Ho sempre cercato il modo di perdonare».

«Da quest’Isola del Mediterraneo», da una cattedrale dedicata a colei che gli abitanti chiamano con affetto “Madunnuccia”, «eleviamo a lei la supplica per la pace: pace per tutte le terre che si affacciano su questo Mare, specialmente per la Terra Santa dove Maria ha dato alla luce Gesù. Pace per la Palestina, per Israele, per il Libano, per la Siria, per tutto il Medio Oriente! Pace nel Myanmar martoriato. E la Santa Madre di Dio ottenga la sospirata pace per il popolo ucraino e il popolo russo», dei quali il Papa dice che «sono fratelli – “No, padre, sono cugini!” – Sono cugini, fratelli, non so, ma che si intendano! La pace! Fratelli, sorelle, la guerra sempre è una sconfitta». 

Il Papa ne approfitta per deprecare anche «la guerra nelle comunità religiose, la guerra nelle parrocchie», magari per cose da nulla. Se i cattolici stessi non sono capaci di perdonarsi, non ci sarà mai la pace nel mondo. 

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