Lunedì 4 settembre 2023. Il Papa va fino in Mongolia per gettare ponti anche verso la Cina, ricordando a tutti che solo Gesù, proprio nella sua unicità, è la risposta alle nostre domande
di Michele Brambilla
Nell’omelia per la Messa nello Steppe Stadium di Ulaanbaatar, capitale della Mongolia, Papa Francesco ricorda che «con le parole del Salmo abbiamo pregato: “O Dio, […] ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne in terra arida, assetata, senz’acqua” (Sal 63,2)».
«Questa stupenda invocazione accompagna il viaggio della nostra vita, in mezzo ai deserti che siamo chiamati ad attraversare», che possono derivare da circostanze esterne o da oscurità interiori. «E proprio in questa terra arida ci raggiunge una buona notizia: nel nostro cammino non siamo soli», perché «Dio Padre ha mandato il suo Figlio a donarci l’acqua viva dello Spirito Santo per dissetare la nostra anima (cfr Gv 4,10). E Gesù – lo abbiamo appena ascoltato nel Vangelo – ci mostra la via per essere dissetati: è la via dell’amore, che Lui ha percorso fino in fondo, fino alla croce, e sulla quale ci chiama a seguirlo “perdendo la vita per ritrovarla” nuova».
Percorso assai difficile! L’uomo deve anzitutto riconoscersi assetato di Dio, ma poi deve risalire ad una divinità in particolare, Gesù Cristo, che non segue esattamente i parametri umani. «È ciò che Gesù, nel Vangelo di oggi, dice con tono forte all’apostolo Pietro. Questi non accetta il fatto che Gesù dovrà soffrire, essere accusato dai capi del popolo, attraversare la passione e poi morire sulla croce. Pietro reagisce, Pietro protesta, vorrebbe convincere Gesù che si sbaglia, perché secondo lui – e così spesso pensiamo anche noi – il Messia non può finire sconfitto, assolutamente non può morire crocifisso, come un malfattore abbandonato da Dio», insisteva l’apostolo. «Ma il Signore rimprovera Pietro, perché questo suo modo di pensare è “secondo il mondo”, dice il Signore, e non secondo Dio (cfr Mt 16,21-23). Se pensiamo che a dissetare le arsure della nostra vita bastino il successo, il potere, le cose materiali, questa è una mentalità mondana, che non porta a nulla di buono e, anzi, ci lascia più aridi di prima», rimprovera il Papa. «Al cuore del cristianesimo», quindi, «c’è questa notizia sconvolgente, notizia straordinaria: quando perdi la tua vita, quando la offri con generosità in servizio, quando la rischi impegnandola nell’amore, quando ne fai un dono gratuito per gli altri, allora essa ti ritorna in abbondanza, riversa dentro di te una gioia che non passa, una pace del cuore, una forza interiore che ti sostiene».
Prima di impartire la benedizione, Francesco chiama a sé due concelebranti: mons. John Tong Hon e mons. Stephen Chow, vale a dire «l’emerito di Hong Kong e l’attuale vescovo di Hong Kong», ex-colonia britannica, riannessa dalla Cina nel 1997, in cui la repressione comunista è particolarmente violenta, specialmente nei confronti dei cristiani. Alla Messa in Mongolia partecipano alcuni pellegrini provenienti anche dalla Cina continentale e da Taiwan. Davanti a tutti il Pontefice dice a sorpresa che «io vorrei approfittare della loro presenza per inviare un caloroso saluto al nobile popolo cinese. A tutto il popolo auguro il meglio, e andare avanti, progredire sempre». Subito dopo aggiunge che «ai cattolici cinesi chiedo di essere buoni cristiani e buoni cittadini».