In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa». Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere». (Mc 12, 38-44)
Potremmo chiamarla la “Domenica delle vedove”. Viene molto apprezzata l’offerta dei piccoli, che non possono fare una gran figura neanche facendo l’elemosina. Nella Bibbia si parla spesso delle vedove e non dei vedovi, perché la condizione della donna vedova era miserevole rispetto all’uomo rimasto solo. Una donna aveva una posizione giuridica solo tramite il marito. La vedova l’orfano e il forestiero sono le tre categorie simbolo della povertà, solitudine e bisogno, e sono per questo le più care a Dio che si definisce “padre degli orfani e difensore delle vedove”. Nella chiesa apostolica invece, avevano ruolo importante nel servizio al clero e ai poveri. Esiste tutt’oggi l’ordine delle vedove, le quale si consacrano e vivono la vedovanza nella fedeltà al coniuge e nel servizio alla Chiesa. La morte del coniuge segna anche la fine totale, oltre che legale, di ogni comunione? Se Dio ha unito in terra un uomo e una donna fino a farne una sola carne, come può dividerli in cielo, dopo tutta la collaborazione prestata per edificare una sacra famiglia? Chiaramente è assurdo pensare che una storia d’amore autentica finisca nel nulla. Sminuirebbe anche il valore stesso del matrimonio che prepara l’avvento del Regno di Dio, i cieli nuovi e la terra nuova. Lo conferma san Paolo: “Si semina corruttibile e risorge incorruttibile; si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pieno di forza; si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale” (1Cor 15, 36-44). Secondo questa visione, il matrimonio non finisce del tutto con la morte, ma viene trasfigurato, spiritualizzato, sottratto a quei limiti che vediamo sulla terra, come anche non sono dimenticati i legami tra amici e parenti. In un prefazio dei morti nella liturgia si legge: “Vita mutatur non tollitur”, la vita è trasformata non tolta. Il matrimonio è segno dell’unione tra Cristo e la Chiesa (Ef 5,32); non è pensabile che sia annullato nella Gerusalemme celeste, dove si celebra il banchetto nunziale tra Cristo e la Chiesa. La formula rituale che pronunciano gli sposi al momento di consacrarsi dice: “Io prendo te….e prometto di esserti fedele in ogni circostanza, nella buona e cattiva sorte… finché morte non ci separi”. Sarebbe bene insegnare ai nubendi, almeno in cuor loro, di cambiare la formula e dire: “finché morte non ci unisca”. La vera e piena unità si compirà solo in cielo. Per chi avuto rapporti difficoltosi, ciò non sia motivo di spavento, perché il bene resta nell’aldilà e il male decade. L’amore che li ha uniti, anche per poco, rimane, mentre tutte le incomprensioni, le pene decadono, anzi, se accettate con fede si convertiranno in gloria. Tanti coniugi sperimenteranno solo innanzi al volto del Padre, l’amore vero fra loro e, con esso la gioia e la pienezza dell’unione che non hanno goduto in terra. In Dio tutto si capirà, tutto si scuserà, tutto si perdonerà.