In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello. Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda». (Lc 6, 39-45)
“La prova dell’uomo si ha nella sua conversazione” (Sir 27, 8). Se ascoltiamo una persona e la lasciamo espandere liberamente essa rivela il suo cuore e la sua identità segreta. Gesù stesso riprende questa saggezza: “La bocca parla della pienezza del cuore”. Il linguaggio può rivelare una povertà interiore, contraddizioni e paure mai rivelate. Ad uno osservatore acuto il linguaggio rivela anche tratti di violenza, celata in forma di misantropia e insofferenza. Così viene a svelarsi anche l’orizzonte dello sguardo che è al centro di questa pagina evangelica. La trave che infosca l’occhio è il peso del pregiudizio. La vista di per sé non è impedita, ma osserva solo ciò che è inserito in un certo percorso mentale. E’ uno sguardo prevenuto e al medesimo tempo acuto, fino a cogliere la pagliuzza del prossimo. E’ l’atteggiamento detto volgarmente “pidocchioso” di colui (ma potrebbe essere anche un gruppo esteso) che va a cogliere il minimo fallo del prossimo e ne fa un sigillo indelebile. In tal modo Pietro è un traditore indelebile e Zaccheo un ladro inguaribile. La persona viene identificata con un suo difetto senza badare a tante qualità positive di cui è portatrice. Anche noi cristiani ci sentiamo provocati, quando identificano la Chiesa con le solite nenie stonate: le crociate, l’inquisizione, le guerre di religione. L’orgoglioso è colmo di pregiudizi derivati dalle sue idee, al punto da essere pronto ad ammaestrare anche il Padre eterno. In questo stato la trave del Vangelo diventa cecità. Se l’umile è colui che vede ed accetta la realtà senza alterarla a piacimento suo, e quindi procede secondo verità, l’orgoglioso cammina nella notte senza alcun riferimento, come fosse cieco. Il potente rimedio è Gesù stesso. Accoglierlo con sincerità. Lui che non ha mai disprezzato nessuno. Lui che ha sempre valorizzato il lato positivo anche dei peccatori più incalliti e ha sempre accostato il prossimo anche solo da un lembo di innocenza residua. “Ognuno ben preparato sarà come il suo maestro”. Impossibile agire d’impulso o legarsi a Cristo mantenendo contemporaneamente altri modelli. Allora in ognuno di noi c’è un albero buono, che diventa sempre più buono. Si progredisce in verità e sincerità. Crescono con la crescita della fede e parimenti annullano ogni finzione ed ipocrisia.