In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai”; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.
Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!» (Matteo 5,20-26).
Oggi si ama parlare di pluralismo etico e di evoluzione della morale. Sono affermazioni che nascondono la volontà degli uomini di stabilire loro, secondo i propri criteri e le proprie convenienze, ciò che è bene e ciò che è male. In realtà esiste una sola legge morale, le cui tracce sono presenti nelle varie culture dell’umanità, ed è quella dei dieci comandamenti. Essa è impressa nella ragione umana, la quale, se non si lascia offuscare dalle passioni, è ben capace di riconoscerla. Non può esistere una parte del mondo in cui l’adulterio sia un bene e un’altra in cui sia un male. Allo stesso modo, occorre affermare che non esiste in senso proprio una evoluzione della morale. Ciò che era male ieri, lo è anche oggi. La violazione di uno solo dei comandamenti sarà sempre male, fino alla fine del mondo. Di qui la necessità della fedeltà, specialmente da parte di chi deve custodire e insegnare la legge di Dio. Oggi, come ieri, abbiamo bisogno di voci come quelle del Battista, che sappiano dire: «Non ti è lecito!» (Mt 14,4).
Ciò che colpisce nel decalogo e nell’approfondimento che ne ha fatto Gesù nel discorso della montagna è il suo altissimo ideale di perfezione. In nessun’altra cultura umana e in nessun’altra religione potresti trovare una proposta morale così pura ed elevata. Si tratta veramente di una moralità di origine divina, alla quale gli uomini da soli non sarebbero mai pervenuti. In diversi modi la legge è al servizio dell’amore e lo difende. Anzitutto si sa che «la legge è data per i peccatori» (1Tim 1, 9), e noi siamo ancora peccatori. Abbiamo, sì, ricevuto lo Spirito, ma solo a modo di primizia. In noi l’uomo vecchio convive ancora con l’uomo nuovo e finché ci sono in noi le concupiscenze è provvidenziale che vi siano dei comandamenti che ci aiutano a riconoscerle e a combatterle, fosse pure con la minaccia del castigo. La legge è un sostegno dato alla nostra libertà, ancora incerta e vacillante nel bene. Essa è per la libertà, non certo in opposizione a essa. «Beato l’uomo di integra condotta, che cammina nella legge del Signore» (Sal 127,1).