In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua devastazione è vicina. Allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano verso i monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli che stanno in campagna non tornino in città; quelli infatti saranno giorni di vendetta, affinché tutto ciò che è stato scritto si compia. In quei giorni guai alle donne che sono incinte e a quelle che allattano, perché vi sarà grande calamità nel paese e ira contro questo popolo. Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri in tutte le nazioni; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti. Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina». (Lc 21, 20-28)
Quando l’evangelista Luca scrisse quanto leggiamo oggi in questo brano del Vangelo, non poteva immaginare che i massimi sconvolgimenti, inseriti in due millenni, li avrebbe provocati l’uomo, con guerre mondiali e bombe atomiche. Non siamo al punto di far precipitare sole e luna, ma pare che ci si stia specializzando in catastrofi. Praticamente, l’uomo si sta specializzando in catastrofi, che non sono stonate con il timore della fine del mondo. Valori secolari che vengono travisati, scricchiolano tante sicurezze, certezze che vengono sprofondate nel relativismo, dissoluzioni di miti ritenuti inaffondabili. E’ la rottura di un equilibrio, sia fuori che dentro all’uomo. Ciò che è peggio è che nessuno si sogna di “morire per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra” – “mangiavano, bevevano e si ammogliavano….ma poi venne il diluvio e li fece morire tutti” (Lc 17, 27). Nessuno ha voglia di guardare all’aldilà dell’oggi. La diagnosi e le cause di questo fenomeno di incoscienza collettiva sono state sintetizzate da Gesù stesso: i nostri cuori si sono “appesantiti”. Alla vigilanza abbiamo preferito il torpore. Al posto della lucidità, abbiamo preferito la sventatezza. Ma nel Vangelo non vi è spazio per visioni catastrofiche. Contiene un chiaro invito alla speranza: “Verranno giorni – oracolo del Signore – nei quali io realizzerò le promesse di bene che io stesso ho promesso” (Is 2, 1-5).
“Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina“. In mezzo tante proposte disattese, facciamo oggi memoria di un Dio che è fedele alla parola data. C’è Qualcuno che ci costringe a sollevare il capo e a scorgere, al di là delle macerie, l’aurora della salute odierna e della salvezza eterna ormai vicine.
L’attesa è tutta orientata in direzione di un evento gioioso. Quindi è la fine o un santo principio? E’ la fine di un epoca che determina l’inizio del nuovo millennio cristiano. E’ la fine che stabilisce il nuovo punto di partenza.
La domanda da porsi, dunque non è: “Dove andremo a finire?” ma “Da dove incominciamo?”. Stando vicino a Gesù e Maria, – ciò che va sempre fatto, anzi tutto quando non ci vedi chiaro – non si fanno rapporti sulle catastrofi possibili immaginabili, ma è subito il tempo del rapporto sulla speranza.