Domenica 8 ottobre 2023. Una parabola dal finale amaro e la triste cronaca di queste ore. Appello del Papa per la cessazione immediata delle violenze in Terra Santa
di Michele Brambilla
L’8 ottobre, in un frangente storico sempre più insanguinato, capita come pagina di Vangelo «una parabola drammatica, con un epilogo triste (cfr Mt 21,33-43). Il padrone di un terreno vi ha piantato una vigna e l’ha ben curata; poi, dovendo partire, la affida a dei contadini. Al momento della vendemmia, manda i suoi servi a ritirare il raccolto. Ma i contadini li maltrattano e li uccidono; allora il padrone manda suo figlio, e quelli uccidono perfino lui», commenta Papa Francesco all’Angelus.
Pensando alla sua vigna, «il padrone fa tutto bene, con amore: fatica in prima persona, pianta la vigna, la circonda con una siepe per proteggerla, scava una buca per il torchio e costruisce una torre di guardia». I vitigni e la sorveglianza sono affidati a contadini, che però, si lasciano trascinare dalle loro inclinazioni omicide. Pensano di essere loro i padroni della vigna, o di poterlo diventare massacrando i servi e il figlio del padrone. «“Non abbiamo bisogno di dare nulla al padrone. Il prodotto del nostro lavoro è solo nostro. Non dobbiamo rendere conto a nessuno!”. Così è il discorso di questi operai. E questo non è vero: dovrebbero essere riconoscenti per quanto hanno ricevuto e per come sono stati trattati. Invece l’ingratitudine alimenta l’avidità e cresce in loro un progressivo senso di ribellione, che li porta a vedere la realtà in modo distorto, a sentirsi in credito anziché in debito con il padrone che aveva dato loro da lavorare. Quando vedono il figlio arrivano addirittura a dire: «Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!» (v. 38). E da agricoltori diventano assassini. E’ tutto un processo», che va dalla tendenza disordinata all’atto peccaminoso.
«Con questa parabola, Gesù ci ricorda cosa succede quando l’uomo si illude di farsi da sé», con vera superbia «si smette di lasciarsi voler bene e ci si ritrova prigionieri della propria avidità, prigionieri del bisogno di avere qualcosa in più degli altri, del voler emergere sugli altri. È brutto, questo processo, e tante volte succede a noi. Pensiamoci sul serio. Da qui provengono tante insoddisfazioni e recriminazioni, tante incomprensioni e tante invidie; e, spinti dal rancore, si può precipitare nel vortice della violenza», come sta accadendo proprio in quelle ore in Terra Santa.
«Seguo con apprensione e dolore quanto sta avvenendo in Israele, dove la violenza è esplosa ancora più ferocemente, provocando centinaia di morti e feriti», dice il Pontefice in merito agli orrori del 7 ottobre, ancora in corso. «Esprimo la mia vicinanza alle famiglie delle vittime, prego per loro e per tutti coloro che stanno vivendo ore di terrore e di angoscia»: pur non nominando direttamente né Hamas, né il premier israeliano Benjamin Netanyahu, né tantomeno Hezbollah e l’Iran (complici dichiarati dei terroristi palestinesi), è chiaro a chi si rivolge il Santo Padre quando chiede che «gli attacchi e le armi si fermino, per favore, e si comprenda che il terrorismo e la guerra non portano a nessuna soluzione, ma solo alla morte e alla sofferenza di tanti innocenti» di entrambe le parti. «La guerra è una sconfitta: ogni guerra è una sconfitta! Preghiamo perché ci sia pace in Israele e in Palestina», esorta Francesco senza perifrasi, e «in questo mese di ottobre, dedicato, oltre che alle missioni, alla preghiera del Rosario, non stanchiamoci di invocare, per l’intercessione di Maria, il dono della pace sui molti Paesi del mondo segnati da guerre e da conflitti».