di don Giovanni Poggiali
“Il Sacerdozio è l’amore del cuore di Gesù“. Queste parole di san Giovanni Maria Vianney (il Curato d’Ars), citate dal Santo Padre Benedetto XVI (cf. anche Catechismo della Chiesa Cattolica, 1589) nella Lettera per l’indizione di un Anno Sacerdotale in occasione del 150° anniversario del Dies natalis del santo Curato d’Ars, del 16 giugno 2009, ci vogliono far comprendere la grandezza del sacramento dell’Ordine ed il suo insostituibile valore. Sempre il Santo Padre ha detto: “Nel Cuore di Gesù è espresso il nucleo essenziale del cristianesimo… Come non ricordare con commozione che direttamente da questo Cuore è scaturito il dono del nostro ministero sacerdotale?” (19 giugno 2009). Il Cuore trafitto di Cristo, trafitto dai peccati e da cui sgorgano sangue ed acqua, simbolo dei sacramenti della Chiesa, da cui sgorga l’amore infinito di Dio, è il simbolo più autentico della misericordia di Gesù ed è il segno più efficace per capire chi e cosa è il sacerdote di Cristo: “Se comprendessimo bene che cos’è un prete sulla terra, moriremmo: non di spavento ma di amore… Senza il prete la morte e la passione di Nostro Signore non servirebbero a nulla… Lasciate una parrocchia, per vent’anni, senza prete, vi si adoreranno le bestie” (Curato d’Ars, Lettera).
La consapevolezza del dono del sacerdozio
Rileggendo queste frasi mi chiedo quale sia la mia consapevolezza del dono ricevuto da Cristo con il sacerdozio, e quale sia la consapevolezza dei confratelli sacerdoti che condividono con me il ministero. Forse non ci rendiamo conto veramente di ciò che siamo. Non per nostro merito o per presunte capacità abbiamo ricevuto il sigillo dello Spirito nel giorno dell’Ordinazione, ma per scelta di Cristo che attraverso la Chiesa ci ha chiamati a servirlo. Gesù stesso ci afferra e ci conquista. Ad imitazione del Servo, che è Cristo, dobbiamo imparare a spogliarci di noi, della nostra mentalità, per assumere quella divina del Figlio incarnato al Quale apparteniamo. E se ripenso al fatto che Gesù ha scelto proprio me per un’avventura così grande….. Il Santo Padre infatti ha detto: “La missione di ogni singolo presbitero dipenderà, pertanto, anche e soprattutto dalla consapevolezza della realtà sacramentale del suo “nuovo essere”” (1 luglio 2009).
“Dopo Dio, il sacerdote è tutto!… Lui stesso non si capirà bene che in cielo“: così affermava il Curato d’Ars e questo Anno Sacerdotale può aiutarci a ravvivare il dono che è in noi, ricevuto con l’imposizione delle mani (cf. 1 Tm 4,14; 2 Tm 1,6), può aiutarci a cancellare visioni ed interpretazioni sbagliate e minimaliste del sacerdote, come fosse un impiegato del sacro, un funzionario, con una non chiara identità, e non invece un chiamato da Cristo a servirlo totalmente con cuore indiviso, con disponibilità totale verso tutti – bambini giovani e adulti, sani e malati, giusti e peccatori, credenti e lontani -, con un amore totale che rende credibili e con la testimonianza della propria esistenza. Essendo disposti a dare la vita ogni giorno, come ha fatto Gesù: “Come fa bene un prete ad offrirsi a Dio in sacrificio tutte le mattine!” (Curato d’Ars).
In persona Christi
Da dove scaturiva, per il santo francese, questa piena comprensione del suo essere e del compito affidatogli? La risposta la troviamo nella stessa Lettera per l’indizione del Papa, dove il santo dice che è solo il sacerdote che può donarci l’Eucaristia e riporla nel Tabernacolo, solo il prete accoglie l’anima al primo entrare nella vita (con il Battesimo), solo il sacerdote prepara l’anima dell’uomo all’incontro finale e decisivo con Dio, solo il sacerdote risuscita (con la Confessione) l’anima morta per il peccato. Con le parole semplici che lo contraddistinguono, il Curato d’Ars ci fa capire come il sacerdote agisce in persona Christi, cioè nella persona di Cristo, in quanto è conformato a Cristo grazie all’unzione dello Spirito Santo ed opera come Cristo Sommo Sacerdote, Capo della Chiesa, Pastore e Maestro del gregge, rappresentando al contempo l’umanità fragile, santa e peccatrice del Popolo di Dio di fronte al suo Signore. Questa conformazione a Cristo è possibile nello Spirito Santo, perché “il sacramento dell’Ordine comunica “una potestà sacra”, che è precisamente quella di Cristo. L’esercizio di tale autorità deve dunque misurarsi sul modello di Cristo, che per amore si è fatto l’ultimo e il servo di tutti” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1551). Il sacerdozio è un servizio, non un dominio o un esercizio di potere. Non è una modalità per imporre se stessi: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti (Mc 10, 45)… è questo il nucleo più profondo della missione di Gesù Cristo e, insieme, la vera essenza del suo Sacerdozio” (Benedetto XVI, 12 Settembre 2009).
Scopo dell’Anno Sacerdotale
Dunque, per il Papa, lo scopo di questo Anno Sacerdotale – che ha per tema Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote – è quello di “favorire questa tensione dei sacerdoti verso la perfezione spirituale dalla quale soprattutto dipende l’efficacia del loro ministero” (16 marzo 2009). Lo stesso Pontefice ha ricordato, il 5 agosto scorso, che “dipende dalla santità la credibilità della testimonianza e, in definitiva, l’efficacia stessa della missione di ogni sacerdote“. San Giovanni Maria non aveva doti particolari, aveva una natura umana particolarmente povera, non volevano neanche ordinarlo prete, ma aveva l’unica dote che conta: l’amore totale per Cristo, il desiderio ed il fascino della santità. Per questo il Papa l’ha preso a modello di noi tutti: “L’insegnamento che a questo proposito continua a trasmetterci il Santo Curato d’Ars é che, alla base di tale impegno pastorale, il sacerdote deve porre un’intima unione personale con Cristo, da coltivare e accrescere giorno dopo giorno. Solo se innamorato di Cristo, il sacerdote potrà insegnare a tutti questa unione, questa amicizia intima con il divino Maestro, potrà toccare i cuori della gente ed aprirli all’amore misericordioso del Signore” (5 agosto 2009).
Primo aspetto essenziale: la Santa Messa
Di questo amore a Cristo e di questo anelito alla santità il Curato d’Ars trasmette a noi sacerdoti soprattutto due elementi fondamentali: l’amore all’Eucarestia e la dedizione nel confessionale. Il Concilio Vaticano II ricorda che “nella loro qualità di ministri della liturgia, e soprattutto nel sacrificio della messa, i presbiteri rappresentano in modo speciale Cristo in persona, il quale si è offerto come vittima per santificare gli uomini; sono pertanto invitati a imitare ciò che compiono” (Presbyterorum Ordinis, 13). È particolarmente nella Messa che il sacerdote esprime l’autorità ricevuta da Gesù agendo come Cristo Capo, Sommo Sacerdote e Pastore. La Chiesa, per voce del Vescovo, ricorda ai presbiteri appena ordinati: “Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore” (dal Rituale dell’Ordinazione dei Presbiteri).
Il Curato d’Ars aveva una profonda devozione eucaristica, stava lunghe ore di fronte al Santissimo Sacramento e celebrava la Messa con profondo amore. Questi elementi attiravano i fedeli in Chiesa che erano trascinati ad imitare il loro parroco che diveniva, così, un uomo carismatico, profondamente unito a Dio, costantemente identificato con la missione che Dio gli aveva assegnato. E la gente semplice di Ars cambiava il cuore, come quel contadino del villaggio che, assorto davanti al tabernacolo in contemplazione, spiegò al suo parroco: “Io lo guardo ed egli mi guarda” (cf Catechismo della Chiesa Cattolica, 2715). La celebrazione della Messa era quindi il centro focale del ministero di questo santo sacerdote, insieme all’adorazione prolungata, e i suoi fedeli si accorgevano dell’umiltà e della vita casta del Curato dal modo in cui egli guardava l’Eucaristia: “La castità era quella richiesta a un prete per il suo ministero” (Lettera). Non si può, infatti, toccare l’Eucaristia abitualmente e condurre una vita nell’impurità. Questo vale per tutti noi sacerdoti, che siamo anche chiamati ad interrogarci sulla qualità delle nostre Messe perché è Cristo che agisce in noi: se le prepariamo con la preghiera, se le nostre mani, lo sguardo, la mente ed il cuore sono puri, se le celebriamo distrattamente o con fervore, se aiutiamo i nostri fedeli a parteciparvi in modo fruttuoso insegnando loro, per esempio, ad inginocchiarsi alla consacrazione e a ricevere l’Eucaristia degnamente, anche in ginocchio. Sarebbe utile rileggere, di tanto in tanto, le rubriche del Messale – insieme agli Ordinamenti Generali dei Messali Romano o Ambrosiano e alla Istruzione Redemptionis Sacramentum del 2004 –, per correggere quelle abitudini che abbiamo acquisito e che crediamo corrette mentre invece sono solo frutto di un nostro modo di celebrare che non è secondo la mens della Chiesa. Molti sacerdoti non compiono i gesti appropriati e richiesti dalla celebrazione: per esempio, al momento della Consacrazione il sacerdote deve inchinarsi leggermente e pronunciare chiaramente e distintamente le parole stesse di Gesù, con attenzione, pensando a quello che dice e presentando ai fedeli prima il Corpo e poi il Sangue di Cristo elevandoli in alto. Quindi farà una genuflessione che sarà il segno di un momento di adorazione e non di un attimo veloce come un lampo, per terminare magari più in fretta. Anche la scelta della Preghiera Eucaristica non può essere decisa in base al criterio della brevità, ma va scelta in riferimento alla Messa che si celebra, non disdegnando il Canone Romano, un tempo unica forma consentita, che rimane di una bellezza, anche estetica, unica. Una Messa celebrata bene è una catechesi formidabile per i fedeli.
Secondo aspetto essenziale: la Confessione
Il secondo elemento su cui riflettere è l’importanza del sacramento della Confessione. I fedeli di Ars si confessavano perché il parroco era presente nella sua chiesa per lunghe ore tutti i giorni, sempre disponibile a perdonare ed ascoltare in nome di Cristo. Oggi le abitudini e il modo di vivere sono cambiati, è vero, e i sacerdoti dicono di non avere molto tempo per confessare o ascoltare le persone, ma qui credo occorra un serio esame di coscienza. Diciamolo sinceramente: non si vuole avere il tempo di confessare, perché è un compito molto impegnativo, faticoso e gravoso anche interiormente. E i confessionali sono spesso deserti perché manca la disponibilità dei preti. Il tempo mi pare lo si trovi per tutto, soprattutto per le proprie cose, ma non per confessare i fedeli. Sono anch’io un sacerdote e conosco bene la situazione delle nostre parrocchie: mille impegni, incontri, riunioni, burocrazia, appuntamenti. Ma le confessioni, la direzione spirituale, l’ascolto, andare dai malati e portare loro i sacramenti non possono essere relegate tra le cose secondarie. Il Curato d’Ars scelse l’essenziale: “Faceva nascere il pentimento nel cuore dei tiepidi, costringendoli a vedere, con i propri occhi, la sofferenza di Dio per i peccati quasi “incarnata” nel volto del prete che li confessava” (Lettera). Le anime costano il sangue di Cristo, diceva il santo francese. Il nostro essere perdonati ha avuto un prezzo molto alto per il Signore, che ama perdutamente le sue creature e riversa il suo amore soprattutto attraverso il sacramento della Riconciliazione. All’epoca del Curato d’Ars, al tempo della Rivoluzione Francese, vigeva la dittatura del razionalismo, oggi vige la dittatura del relativismo (Benedetto XVI): due modalità solo apparentemente diverse, perché l’una è la conseguenza dell’altra, per affermare l’inutilità del sacerdote e dei sacramenti. La Messa e la Confessione rimangono però, per la nuova evangelizzazione, sorgente e fondamento.
Devozione a Maria
Ma c’è un terzo aspetto che occorre ricordare, cioè porre nel cuore: la devozione alla Madre di Dio. Il Curato d’Ars affermava che “Gesù Cristo dopo averci dato tutto quello che ci poteva dare, vuole ancora farci eredi di quanto egli ha di più prezioso, vale a dire della sua Santa Madre” (Lettera). La Madonna, Madre della Chiesa, è Madre particolare di tutti i sacerdoti, i quali non possono non avere verso di Lei un amore speciale. Ci affidiamo in questo Anno a Maria, a Colei che è così cara e preziosa per noi.