Mercoledì 2 novembre 2022
“Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. (Gv 6,37 – 40)
In questa commemorazione la chiesa prega per tutti i fedeli defunti. Dietro questa ricorrenza vi è la massima icona del cattolicesimo: la tomba di Cristo rimasta vuota. La morte non è il dissolvimento definitivo dell’essere umano, ma soltanto il distacco provvisorio dell’anima dal corpo. Nel momento della morte l’anima immortale entra nella luce del giudizio di Dio, per cui “o passerà attraverso una purificazione, o entrerà immediatamente nella beatitudine del cielo, oppure si dannerà immediatamente per sempre”. (CCC 1022)
La morte è un grande evento. In quel momento Dio chiama a sé l’uomo. Desideriamo in qualche modo la vita stessa, quella vera che non venga toccata neppure dalla morte; ma allo stesso tempo non conosciamo ciò verso cui ci sentiamo spinti. Non possiamo cessare di protenderci verso di esso e tuttavia sappiamo che tutto ciò che possiamo sperimentare o realizzare non è ciò che bramiamo. Questa “cosa ignota” è la vera “speranza” che ci spinge e il suo essere ignota è, contemporaneamente, la causa di tutte le disperazioni come pure di tutti gli slanci positivi o distruttivi verso il mondo autentico e l’autentico uomo. La parola “vita eterna” cerca di dare un nome a questa sconosciuta realtà conosciuta. Necessariamente è una parola insufficiente che crea confusione. “Eterno”, infatti crea in noi l’idea dell’interminabile, e questo ci fa paura; “vita” ci fa pensare alla vita da noi conosciuta, che amiamo e non vogliamo perdere e che tuttavia, è spesso allo stesso tempo più fatica che appagamento, cosicché mentre per un verso la desideriamo, per l’altro non la vogliamo. Possiamo soltanto cercare di uscire col nostro pensiero dalla temporalità della quale siamo prigionieri e in qualche modo presagire che l’eternità non sia un continuo susseguirsi di giorni del calendario, ma qualcosa come il momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità.
Sarebbe il momento dell’immergersi nell’infinito amore, nel quale il tempo – il prima e il dopo – non esiste più. Possiamo soltanto cercare di pensare che questo momento è la vita in senso pieno, un sempre nuovo immergersi nella vastità dell’essere, mentre siamo semplicemente sopraffatti dalla gioia. Così lo esprime Gesù nel Vangelo di Giovanni: “Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra Gioia” (Gv 16, 22). Dobbiamo pensare in questa direzione, se vogliamo capire a che cosa punta la speranza cristiana, che cosa aspettiamo dalla fede, dal nostro essere con Cristo.
(cfr. Benedetto XVI° – Spe Salvi, N.12 – Commento al Vangelo)