Il pensiero del giorno

Lunedì 30 maggio 2022

Gli dicono i suoi discepoli: “Ecco, ora parli apertamente e non più in modo velato. Ora sappiamo che tu sai tutto e non hai bisogno che alcuno t’interroghi. Per questo crediamo che sei uscito da Dio”. Rispose loro Gesù: “Adesso credete? Ecco, viene l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me.
Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!”. (Gv 16, 29-33)


Siamo esortati alla virtù della fortezza, in quest’ultima espressione di Giovanni: “Nel mondo avrete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo”. 

La fortezza è la virtù morale, che nella difficoltà, assicura la fermezza e la costanza nella ricerca del bene. Essa rafforza la decisione di resistere alle tentazioni e di superare gli ostacoli nella vita morale. La virtù della fortezza rende capaci di vincere la paura, perfino della morte, e di affrontare la prova e le persecuzioni. Dà il coraggio di giungere fino alla rinuncia e al sacrificio della propria vita per difendere una giusta causa. 

“Mia forza e mio canto è il Signore” (Sal 118, 14). “Voi avrete tribolazioni nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo” (Gv 16, 33)  

CCC 1808

Per San Tommaso d’Aquino la pazienza è un necessario elemento integrante della fortezza. Se noi troviamo assurda questa coordinazione di pazienza e fortezza, non è soltanto per il fatto che siamo soliti fraintendere facilmente per attivismo l’essenza della fortezza, ma prima di tutto per il fatto che nella nostra idea – in netto contrasto con la teologia classica – la pazienza ha preso il significato di una sofferenza di tutti i mali ai quali si va incontro, o che persino si cercano: sofferenza che non vede e non discerne, felice nel “sacrificio”, afflitta, mesta, snervata. Invece la pazienza è ben altra cosa che l’accettazione di qualche male senza alternativa: “non è paziente chi non fugge il male, ma chi non si lascia trasportare per questo ad un a tristezza disordinata”.

Essere paziente significa non lasciarsi togliere la serenità e la lucidità dell’anima dalle ferite che nascono nella realizzazione del bene. La pazienza non consiste nell’escludere l’attività che ti prende energicamente, ma precisamente ed espressamente nell’escludere la tristezza e lo smarrimento del cuore. Essa fa si che la tristezza non spezzi lo spirito dell’uomo, e che egli non perda la sua grandezza. La pazienza non è dunque lo specchio velato di lacrime di una vita spezzata ma lo splendido compendio dell’estrema invulnerabilità, di chi si appoggia alla croce del Signore. La fortezza dipende dalla sincerità di questa umile dipendenza. Nessuno è forte contro l’oscuro signore di questo mondo. Il bene si compie secondo i tempi di Dio, a cui sempre dobbiamo adeguare i nostri progetti. La pazienza – come dice Ildegarda di Bingen – è colonna che nulla potrà rendere meno dura. E Tommaso conclude con una magnifica certezza, conformemente alla Sacra Scrittura (Lc 21, 19): “Attraverso la pazienza l’uomo possiede la propria anima”. 

(cfr J. Pieper – La Fortezza)

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