Il pensiero del giorno

Domenica 12 giugno 2022 – Solennità della SS. Trinità

Prv 8,22-31; Sal 8; Rm 5,1-5; Gv 16,12-15


La Trinità non è per la fede cristiana un sovrappiù di cui si può fare a meno di parlare al popolo, limitandosi a parlargli genericamente di Dio. La Trinità è l’affermazione massima che si può essere uguali e diversi, uguali per dignità e diversi per caratteristiche. E non è, questa, la cosa di cui abbiamo più urgenza per vivere bene in questo mondo? Che si può essere, cioè, diversi per colore della pelle, cultura, sesso, razza, eppure godere di pari dignità, come persone umane? 

Questo insegnamento trova il suo primo e più naturale campo di applicazione nella famiglia. Nella Bibbia leggiamo: «E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò» (Gn 1,27). Ci si è sempre domandati che rapporto ci possa mai essere tra l’essere a immagine e somiglianza di Dio e l’essere maschio e femmina. La rivelazione della Trinità ci ha dato la risposta. In Dio non c’è evidentemente maschio e femmina, ma Dio è relazione; in Lui c’è un “io” che è il Padre, un “tu” che è il Figlio e un “noi” che è lo Spirito Santo, amore che unisce il Padre e il Figlio. In Dio c’è unità e diversità. 

È in questo che la coppia umana è l’immagine primordiale della Trinità. In essa l’uomo e la donna stanno una di fronte all’altro come un “io” e un “tu”, e stanno di fronte a tutto il resto del mondo, compresi i propri figli, come un “noi”, quasi un unico soggetto ed un unico volere. «Tuo padre ed io», «tua madre e io»: questo dovrebbe essere il modo con cui i genitori si rivolgono ai figli. Così Maria disse a Gesù, ritrovato nel Tempio: «Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo» (Lc 2,48). A volte capita a noi sacerdoti di parlare a lungo con una donna o un uomo, in confessione o fuori di essa, e di non riuscire a capire se sono sposati o no. Sempre e solo “io”: solo problemi, sofferenze e realizzazioni personali. 

La famiglia è fatta di persone diverse per sesso (uomo e donna) e per età (genitori e figli), con tutte le conseguenze che derivano da queste diversità: diversi sentimenti, diverse esigenze e gusti. Il successo di un matrimonio e di una famiglia dipende dalla misura con cui questa diversità saprà tendere a una superiore unità: unità di amore, di intenti, di collaborazione.

Non è vero che un uomo o una donna debbano essere per forza affini per temperamento e doti; che, per andare d’accordo, debbano essere o tutti e due allegri, vivaci, estroversi, istintivi, o tutti e due introversi, quieti e riflessivi. Marito e moglie non devono essere uno “la dolce metà” dell’altro, nel senso di due metà perfettamente uguali, come una mela tagliata in due, ma lo possono diventare nel senso che ognuno è la metà mancante dell’altro e il completamento dell’altro. Questo intendeva Dio quando disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto simile a lui» (Gn 2,18).

Tutto questo però suppone lo sforzo per accettare la diversità dell’altro, che è per noi la cosa più difficile e in cui solo i più maturi riescono. Vediamo così come, anche sul semplice piano umano della famiglia, sia errato considerare la Trinità un mistero remoto della vita, da lasciare alla speculazione dei teologi. Al contrario, esso è un mistero vicinissimo. Soprattutto un questo momento. Ricevendo l’Eucarestia, noi riceviamo ora la persona del Figlio Gesù Cristo, in cui «abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Col 2,9): per “pienezza” si intende che vi incontriamo tutta la Trinità.

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