Il pensiero del giorno

Il Natale secondo sant’Ignazio

Di Filippo Rizzi

da Avvenire del 30/12/2021

Contemplare il mistero del Natale ponendo il proprio sguardo verso Betlemme e immaginando quasi noi stessi di fronte alla mangiatoia per metterci così al servizio e in “colloquio interiore” con Maria, Giuseppe e il Bambino Gesù. È l’immagine suggestiva con cui Ignazio di Loyola (1491-1556) negli Esercizi Spirituali (paragrafi 111-117) esorta a riscoprire il senso della Natività. Si tratta di un invito, quello del santo basco, volto a sperimentare in un’autentica «composizione di luogo» la stessa meraviglia provata dai pastori di fronte alla visione della capanna dove nacque Gesù più di duemila anni fa.

Recentemente su questo argomento si è soffermato sulla rivista della Compagnia di Gesù La Civiltà Cattolica il gesuita Enrico Cattaneo, che ha affrontato il tema: Il Natale con Ignazio di Loyola, lettore della “Vita Christi”. Il saggio del religioso ignaziano, già docente di patrologia alla Pontificia Facoltà dell’Italia Meridionale (sezione San Luigi) di Napoli e al Pontificio Istituto Orientale di Roma, è stato pensato anche alla luce di un importante giubileo: i 500 anni dalla conversione di Ignazio dopo la ferita a Pamplona, avvenuta il 20 maggio 1521. L’Anno Ignaziano apertosi il 20 maggio scorso a Pamplona si chiuderà il 31 luglio prossimo a Roma, nella memoria liturgica dedicata al fondatore dei gesuiti.

Cuore delle riflessione di padre Cattaneo non sono solo le fonti ignaziane sul Natale ma anche l’opera Vita Christi del grande scrittore ascetico il domenicano e poi certosino Ludolfo di Sassonia (1295-1377). «Molto di quello che Ignazio sperimentò negli Esercizi e nei suoi colloqui interiori con il Signore – dice ad Avvenire lo studioso – trova il suo debito negli scritti di Ludolfo». E annota: «Nella sua Autobiografia, Ignazio stesso spiega come sia arrivato a leggere i tre grossi volumi della Vita Christi di Ludolfo di Sassonia. Costretto a letto per una frattura alla gamba, si annoiava a stare senza far niente. Allora chiese dei libri da leggere, possibilmente libri di avventure cavalleresche (Ignazio era ancora un uomo di mondo), ma nella casa di suo fratello c’erano solo dei libri religiosi, una Vita di Cristo e delle Vite di santi. Egli li lesse più per ammazzare il tempo che per vero interesse, ma proprio da quella lettura venne la sua conversione». Un invito dunque quello suggerito dai due grandi scrittori ascetici Ignazio e Ludolfo a entrare nel mistero della Natività quasi con gli occhi di un bambino che scruta la “magia del presepe”. «La Vita Christi di Ludolfo di Sassonia è una specie di “Summa” di vita cristiana a partire dai Vangeli. In effetti gli Esercizi hanno come traccia i Vangeli, dalla Natività alla Risurrezione. Da Ludolfo Iñigo impara soprattutto quella che viene chiamata la “composizione di luogo”, cioè immaginare la scena che sto meditando – in questo caso viene da pensare al nostro Natale – in tutti i particolari, in modo da farmi partecipe dell’avvenimento». Padre Cattaneo accenna a un altro aspetto: l’intimo significato del Natale che disvela già dentro di sé il mistero del «patibolo della Croce». Ma non solo che l’annuncio della nascita del Figlio dell’uomo è stato indirizzato prima di tutto ai poveri e ai semplici. «Ludolfo e di riflesso Ignazio vedono nella nascita di Gesù il Signore dei Signori, il Re dei re, i segni dell’umiltà di Dio, perché i pastori non avessero timore di accostarsi a Lui. Questo vale per tutti, anche per noi. È quanto continua a ripeterci papa Francesco con il suo magistero: non abbiate timore di avvicinarvi al Signore, che non vi caccerà via, perché è venuto a salvarvi. Basti pensare al canto degli angeli: “Gloria a Dio e pace gli uomini”. Forse dobbiamo anzitutto fare pace con Dio, che abbiamo messo sotto accusa in questo difficile momento anche a causa del Covid-19».

Contemplare il Natale con occhi diversi attraverso il “colloquio interiore”

Un altro suggerimento che arriva da questi testi è imparare a contemplare il Natale con occhi diversi. «Ludolfo, per esempio, esorta idealmente a entrare nella mangiatoia, a mettersi ai piedi del Bambino e a “pregare la Madonna che te lo porga e che ti permetta di prenderlo in braccio e baciarlo con rispetto…”». Un’altra esortazione infine, dopo la contemplazione, è quella di imparare a pregare. «Sant’Ignazio ha preso certamente da qui il suggerimento di terminare ogni Esercizio con un “colloquio”, ora con la Madonna, perché interceda presso il Figlio suo, ora con il Signore, stesso, perché interceda presso il Padre. Lo chiama “colloquio” perché deve essere “come un amico che parla con un amico”, “ora chiedendo qualche grazia, ora chiedendo perdono, ora comunicando le proprie cose e chiedendo consigli su di esse”. E per il Natale, la richiesta è quella “che rinasca in me la santità di una vita nuova”».

RESURREZIONE FINALE: IL DOGMA DIMENTICATO

  • di don Andrea Nizzoli

 La pienezza dell’immortalità non è comprensibile a prescindere dalla corporeità. 

 

“ La speranza cristiana consiste nella resurrezione della carne “  ( Tertulliano 160 – 220 ca, De resurrerctione, 1).

Affermazione direttamente legata a ciò che il Nostro Salvatore ci ha mostrato nei quaranta giorni dopo la Sua resurrezione, in quelle che vengono chiamate “ Le Apparizioni del Risorto “, coronate con la Sua ascensione al cielo. Vi sono quattro punti forti nei Vangeli che sottolineano questa grande novità di vita:

  1. La tomba vuota di Cristo
  2. Il modo in cui il salvatore si presenta tangibilmente e non solo in forma di visione
  3. L’accertamento da parte dei discepoli che sono invitati a toccarlo
  4. Il corpo trasfigurato in bellezza, non più destinato al sepolcro, subitamente non è riconosciuto dagli apostoli, ma poi poterono toccare le sue piaghe.

Tante culture religiose hanno tentato di amare la vita, ma solo riguardo all’anima si parla di immortalità. Ma la nostra anima abbisogna di un corpo di carne, che non è solo un accidente dello spirito, ma materia sostanziale per qualunque sua espressione vitale. Una casa senza finestre, è l’anima senza il corpo e i suoi cinque sensi.

Gesù Cristo è la magnificenza del creato e con Lui nulla andrà perduto.

Dietro l’impegno che profondiamo, verso la cura della salute personale, la farmaceutica, sport e bellezza estetica, c’è “ Lui “,  risorto, con un corpo trasfigurato in pienezza di grazia.

Un residuo di polvere non può non certo muovere a tanto costante impegno; anche il mondo della scienza ne trae finalità e fecondità per un santo dialogo. La scienza è il dono più grande che la filosofia ha fatto alla modernità, ma è la fede cristiana che sorretto il pensiero realista della filosofia.

Nella tradizione ebraica e persiana troviamo chiaro riferimento alla risurrezione della carne con una differenza sostanziale. Nell’ebraismo è l’onnipotenza di Dio che interviene sulla polvere dell’uomo a ridare la vita; nella cultura persiana dove non si praticava la sepoltura, i corpi erano lasciati esposti agli elementi atmosferici, i quali sempre per via naturale, ridavano vita alle persone meritevoli di vita eterna.

Nel Nuovo Testamento vi è una grande novità legata direttamente alla persona del salvatore, per cui la resurrezione accadrà non solo grazie all’Onnipotenza divina in senso generale, ma grazie alla resurrezione di Cristo per opera dello Spirito Santo.

La Resurrezione del Signore, specifico: nella sua corporeità, è il primo atto della glorificazione della materia. Il corpo di Cristo non può ora che essere che in un luogo fisico adeguato alla carne.

 Abbiamo portato l’immagine dell’uomo di terra, così porteremo l’immagine dell’uomo celeste (1 Cor 15, 49).

Ci rivedremo tutti spirito, anima e corpo nel regno di Dio – cioè in un luogo confacente alla nostra carne – nei cieli nuovi e nella terra nuova.

 Sant’Ireneo nella sua opera Adversus Ereses (9, 4)  conferma la promessa più audace che possiamo leggere nel Vangelo :

– Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo resusciterò nell’ultimo giorno (Gv 6,54).

Ireneo, sottolinea quest’affermazione dell’apostolo che Gesù amava e accentua il momento Eucaristico, in riferimento alla salvezza del cosmo, quale pegno della resurrezione finale:

“ Come il pane terreno, ricevuta la divina invocazione, non è più pane comune ma Eucarestia, composta di due elementi, terrestre e celeste, così i nostri corpi, ricevendo l’Eucarestia non sono più corruttibili, ma portano la speranza della risurrezione “ (Adversus Ereses, IV, 18,4).

Nei Padri della Chiesa l’Eucarestia è definita:

“ Medicina di Immortalità “, intimamente legata alla pienezza della vita.

La grande novità della dottrina sulla resurrezione dei corpi ebbe grande sottolineatura in epoca patristica, da cui le sintetiche penetranti parole di Tertulliano:

“ Nessuno vive così immerso nella sua carne come coloro che negano la risurrezione della carne “

( De Resurrectione 1,11); parole successivamente ufficializzate nel concilio Lateranense IV: “ Tutti risorgeranno con i corpi di cui sono ora rivestiti, per ricevere, secondo che le loro opere siano state buone o malvagie gli uni la pena eterna, gli altri la gioia eterna (DH 801).

Nessuno al mondo è mai stato così egoista da dire io non muoio; la fame di un pane di vita eterna è sempre stato il tormento di tutte le generazioni.

Questo grande insegnamento non fu mai messo in dubbio nel periodo Medioevale, ma con i riformatori prima e poi nell’epoca moderna, perde fecondità sia dal punto divista intellettuale che scientifico, anzi tutto per quell’individualismo etico di luterana memoria e così si offusca la visione cosmico-sociale della salvezza, ciò per quattro fondamentali cause:

  1. L’insegnamento di papa Benedetto XII°, secondo cui la salvezza si compierebbe immediatamente dopo la morte (cfr. Benedictus Deus, 1336, DH 1000). Fu interpretato in modo erroneo, come propendente alla sola resurrezione dell’anima.
  2. La ripresa in campo filosofico della terminologia platonica, se non la visione stessa, dopo il distacco dall’aristotelismo di S. Tommaso,
  3. e la successiva propensione a considerare preponderante lo spirito umano cioè la rex cogitans di Cartesio, rispetto alla rex estensa cioè alla corporeità.
  4. Kant è il culmine di un certo processo, come esprime nella sua opera

“ La Religione nei limiti della semplice ragione “:

– non poteva vedersi la ragione di trascinarsi dietro, per tutta l’eternità, un corpo che, per quanto purificato fosse, risultava in fin dei conti sempre fatto di materia.

Esito finale di questo percorso è un’idea di salvezza collegata unicamente alla dimensione spirituale-immortale della sola anima, provocando un distacco crescente dalla resurrezione dei corpi alla fine dei tempi. Accadimento di portata ben superiore a qualunque idea umana di salvezza della sola anima,

 la quale coinvolge anche il giudizio universale di fronte al Padre e a tutta l’umanità.

Conseguenza logica della separazione tra giudizio universale e resurrezione, sarà il

prevalere di una salvezza intesa in modo moralista soggettivo e individuale, che perde contatto con la dimensione materiale della persona umana e del cosmo.

Tutto ciò unito alla visione neoplatonica decadente di Proclo diffusa nel rinascimento, tendente a spaccare spirito da materia, denigrando quest’ultima, vertente ad una visione meramente simbolica della resurrezione.

Gesù Cristo non ha così più nulla da salvare nell’ambito della materia, che diviene competenza esclusiva delle scienze matematico-fisiche, le quali descrivono senza dare il senso profondo dell’esistenza.

 Purtroppo questa visione è divenuta molto comune nel XX°sec.

Il filosofo Ernst Bloch (1885 – 1977) con la sua teoria della genesi evolutiva del cosmo e della materia culminante con la formazione dell’utopistico Regno di Dio nella storia, toglie a quest’ultima ogni possibile trascendenza.

Il cosmo dell’antichità era inteso in modo fisso e meccanico e ammetteva solo piccoli dinamismi legati alle stagioni.

Un cosmo inteso in tal modo non ammetteva certo la resurrezione se non come un intervento di dell’Onnipotenza di Dio e spazzando via le leggi della natura, quasi come innanzi ad una seconda creazione.

Tanti autori però affermano che un sistema di pensiero morale spirituale, indipendentemente dalla dignità in cui pone l’essere umano, se non si presenta radicato nella quotidianità, fatta di esseri materiali con il loro dinamismo evolutivo e nella corporeità dell’uomo, è poco significativo, poco praticabile e minimamente veritiero.

L’attuale antropologia filosofica, nel suo avanzamento ha un grande riferimento alla corporeità, rispetto allo psicologismo dominate da Cartesio in avanti.

Da tutti questi fattori, il XX° sec è stato caratterizzato dallo sforzo di riappropriarsi dell’aspetto cosmologico e antropologico della salvezza cristiana.

Enoch ed Elia rapiti in cielo in tutta la loro corporeità, fino alle ascensioni al cielo del Salvatore e poi della corredentrice Maria regina, implicano la salvezza come stato di una persona vivente in tutta la sua fisicità, chiaramente posta in un luogo materiale, cioè in cieli nuovi e terra nuova.

Il Padre ristabilirà la sua supremazia definitiva sul creato senza umiliarlo, o distruggerlo ma assecondando e confermando la sua realtà interna, elevando tutto il creato allo splendore del Cristo trasfigurato sul monte Tabor.

Secondo padre Teilhard de Chardin, l’universo evolve verso un Punto Omega corrispondente ad uno stato di perfezione finale a cui corrisponde l’avvento del Cristo Cosmico, secondo il linguaggio originale che il padre gesuita usa, per confermare una comprensione pienamente cristiana del cosmo; sebbene, nello studioso francese, l’azione del Salvatore sembra un po’ troppo esterna al cosmo stesso.

Nel Nuovo Testamento il rapporto tra Cristo e il cosmo è chiaramente intrinseco.

Nella Lettera ai Colossesi 1,16, San Paolo afferma che Dio ha creato l’universo per Cristo.

Lui lo dirige verso la sua perfezione che è il Salvatore stesso, verbo di Dio incarnato, Signore della risurrezione di tutto il cosmo.

Una ulteriore espressione troviamo in Col 1, 17:

“ Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui “, così come in Eb 1, 3:

“ Lui che sostiene tutto con la potenza della sua parola “.

In altre parole, Cristo non è solo causa strumentale tramite cui il creato riceve una forma e nemmeno causa finale verso cui tutto procede; non è estrinseco al creato ma intrinseco, onnipresente nel creato, mantiene tutte le creature, le muove secondo natura, le conduce al loro scopo definitivi perché “ in Lui noi viviamo, ci muoviamo ed esistiamo “ (At 17,28).

Gesù da la vita perché il Padre gli ha concesso di avere la vita in sè stesso (Gv 5, 26).

Il creato è dunque un ente vivente creato, conservato e vivificato e guidato verso la sua perfezione dall’interno, grazie all’opera del Dio fatto uomo.

Tutto verte alla resurrezione finale tanto della persona umana come per il cosmo, mediante la potenza di colui è “ la resurrezione e la vita “ (Gv 11,27).

Grande innovazione e rivelazione in Cristo, rispetto a tutte le dottrine antiche che non avrebbero mai potuto intuire:

 – La Materia corruttibile è stata chiamata da Dio all’eternità.

 Nelle filosofie pre-cristiane si poteva al limite accettare un intervento esterno e violento della potenza divina.

Nella teologia della creazione odierna si è recuperato quel riferimento scritturistico al Salvatore: attraverso Cristo, per Cristo e in Cristo, e quindi una comprensione più dinamica dell’universo fisico con il riassestarsi del versante cosmico della fede nella risurrezione, secondo la più veritiera tradizione cattolica.

In Gesù Cristo non vediamo mai contraddizione tra dimensione spirituale e corporale, posti sempre in veritiera armonia. La sua incarnazione non è interpretabile in alcun modo verso una visione riduttiva della carne. La Sua ascensione avviene dopo una storia di contatto con la materia – Dio era un falegname – anch’essa immagine di Dio.

La fede nella resurrezione finale grazie all’azione dell’Onnipotente, è stato un vettore determinante nel dirigere lo sguardo del credente sulla realtà verso lo sviluppo dell’antropologia e della scienza cristiana. Il cosmo statico e meccanico dell’antichità, poteva al limite accettare un Dio che travolge impetuoso il nostro mondo, in modo assolutamente discontinuo rispetto alla vita, spesso travisabile come puro simbolo di un Dio lontano che si disinteressa di noi.

Cieli nuovi e terra nuova, sono il luogo che il Padre ha disposto, per un uomo redento e salvato anche nella carne.

La modernità con il suo razionalismo ha provocato la perdita di un chiaro riferimento a questo momento così importante della salvezza.

Una rinnovata visione della creazione mediante Cristo, per Cristo e in Cristo, accostata alla visione dell’atomo e del cosmo della scienza odierna, dove tanto è determinato da leggi ferree, ma certo non tutto, lasciando così spazio all’azione di Dio sulla materia sul cosmo, rendono possibili il recupero del versante cosmico della fede nella resurrezione.

“ Le strade della scienza e le vie di Dio sono un unico percorso intellettuale “,

direbbe padre Staley L. Jaki, il dialogo tra fede e scienza è proficuo e conferma scientifica degli insegnamenti della fede, comunque sempre presente nella tradizione della chiesa cattolica.