di don Emanuele Borserini
Che cos’è
La Kalenda prende il nome dalle prime parole del testo latino di questo particolarissimo componimento liturgico. Esso faceva originariamente parte dell’Ora Prima che non esiste più nel Breviario attuale ed era l’annuncio del mistero celebrato con quell’Ufficio. In latino kalendae è il primo giorno del mese, pertanto il Natale è indicato come l’ottavo giorno prima della kalenda di gennaio, cioè una settimana prima del suo inizio. La Kalenda di Natale, intesa come annuncio della celebrazione, può essere ritenuta speculare all’Exultet della Veglia pasquale anche se hanno una storia e un significato liturgico molto diverso. Attualmente, nella messa papale a Roma viene proclamata in canto prima della Messa della notte e sarebbe buona cosa che questa prassi venisse imitata in tutte le chiese del mondo. Quando è stata introdotta questa prassi, la Kalenda veniva cantata tra i riti iniziali della Messa, ma ora è stata anticipata come un vero e proprio annuncio che aleggia nel silenzio colmo d’attesa di quella particolarissima notte e che si compie con la processione d’ingresso. Questa processione liturgica evoca sempre il mistero di Dio che viene incontro al suo popolo, mistero che ha raggiunto il suo culmine con l’ingresso di Cristo nel mondo, è quindi molto appropriato valorizzarla proprio nelle Messe di Natale.
Il testo della Kalenda si trova nel Martirologio, il libro liturgico in cui sono elencati i santi di cui si fa memoria ogni giorno dell’anno. Sin dai primi tempi della Chiesa, in ogni comunità cristiana c’era l’uso di conservare con cura la memoria dei propri martiri. La coscienza della Chiesa di essere fondata sul sangue dei martiri trova così una delle sue principali espressioni liturgiche insieme alla collocazione delle loro reliquie a fondamento dell’altare su cui la comunità celebra l’Eucaristia. La memoria del nome dei martiri era strettamente legata anche al giorno della loro morte, detto dies natalis, e al luogo dove riposavano le loro spoglie. Questi libri nel tempo si arricchirono con le notizie di eventuali traslazioni delle reliquie degli stessi martiri, della dedicazione delle chiese e i nomi di santi non martiri. Essi costruivano un segno di riconoscimento e fratellanza tra le diverse comunità cristiane che si riconoscevano negli stessi santi, in particolare nei secoli in cui imperversavano le eresie ed era importante per la sopravvivenza delle Chiese intessere rapporti con le altre comunità fedeli alla verità. Oggi, inoltre, essi costituiscono una fonte di preziose notizie per gli studi sulla storia della liturgia e dei Padri della Chiesa. In Oriente trovano un corrispondente nel Sinassario e nel Menologio degli ortodossi. Nel XVI secolo, infine, si decise di unificare i vari martirologi in un solo elenco nel quale trovassero posto tutti i santi e i beati della Chiesa e l’immane opera venne affidata alla proverbiale pazienza e competenza scientifica del cardinale Cesare Baronio, amico e discepolo di San Filippo Neri, suo successore alla guida della Comunità oratoriana della Vallicella e, a detta di molti, il bersaglio preferito degli scherzi del santo. Successivamente, vi furono apportate numerose modifiche fino all’edizione più recente che è del 2001, quando l’emendamento della versione del 1956 si rese necessaria in seguito al numero sterminato di canonizzazioni e beatificazioni celebrate da san Giovanni Paolo II.
Oggi il Martirologio Romano contiene in totale 6538 santi. È da sottolineare che, a volte, il giorno del dies natalis è diverso dal giorno della memoria liturgica del santo, la quale viene fissata secondo altri criteri; per esempio, san Giovanni Battista Piamarta è morto il 25 aprile ma essendo già la festa di san Marco evangelista la sua memoria si celebra il 26; il beato Carlo d’Austria è morto il 1 aprile ma la memoria liturgica è stata fissata il giorno del matrimonio con Zita; di sant’Ambrogio si ricorda soltanto il giorno della consacrazione episcopale e quella è anche la sua memoria liturgica, il 7 dicembre. Nel Martirologio ogni nome è accompagnato da una brevissima nota con il luogo della morte, la qualifica di santo o beato, lo status ecclesiale (apostolo, martire, maestro della fede, missionario, confessore, vescovo, presbitero, vergine, coniuge, vedovo), l’attività principale e il carisma. Ma per il giorno di Natale, l’inizio del mistero pasquale di colui che è “causa e modello di ogni martirio” (Breviario, intercessioni dei secondi Vespri del Comune di un Martire), il testo proposto è particolarmente ricco.
Il testo
Octavo Kalendas Ianuarii, Luna decimaquinta,
innumeris transactis saeculis a creatione mundi, quando in principio Deus creavit caelum et terram, et hominem formavit ad imaginem suam; permultis etiam saeculis ex quo post diluvium Altissimus in nubibus arcum posuerat signum foederis et pacis; a migratione Abrahae, patris nostri in fide, de Ur Chaldaeorum saeculo vigesimo primo; ab egressu populi Israël de Aegypto, Moyse duce, saeculo decimo tertio; ab unctione David in regem anno circiter millesimo; hebdomada sexagesima quinta iuxta Danielis prophetiam; Olympiade centesima nonagesima quinta; ab Urbe condita anno septingentesimo quinquagesimo secundo; anno imperii Caesaris Octaviani Augusti quadragesimo secundo, toto orbe in pace composito, Iesus Christus, aeternus Deus aeternique Patris Filius, mundum volens adventu suo piissimo consecrare, de Spiritu Sancto conceptus novemque post conceptionem decursis mensibus in Bethlehem Iudae nascitur ex Maria Virgine factus homo. Nativitas Domini nostri Iesu Christi secundum carnem! |
Venticinque dicembre, luna quindicesima
Trascorsi molti secoli dalla creazione del mondo, quando in principio Dio aveva creato il cielo e la terra e aveva fatto l’uomo a sua immagine; e molti secoli da quando, dopo il diluvio, l’Altissimo aveva fatto risplendere l’arcobaleno, segno di alleanza e di pace; ventuno secoli dopo la partenza da Ur dei Caldei di Abramo, nostro padre nella fede; tredici secoli dopo l’uscita di Israele dall’Egitto sotto la guida di Mosè; circa mille anni dopo l’unzione di Davide quale re di Israele; nella sessantacinquesima settimana,secondo la profezia di Daniele; all’epoca della centonovantaquattresima Olimpiade; nell’anno 752 dalla fondazione di Roma; nel quarantaduesimo anno dell’impero di Cesare Ottaviano Augusto; quando in tutto il mondo regnava la pace, Gesù Cristo, Dio eterno e Figlio dell’eterno Padre, volendo santificare il mondo con la sua venuta, essendo stato concepito per opera dello Spirito Santo, trascorsi nove mesi, nasce in Betlemme di Giuda dalla Vergine Maria, fatto uomo. Natale di nostro Signore Gesù Cristo secondo la natura umana. |
Proposte di riflessione
1. La struttura della Kalenda è simile a quella del Prologo del Vangelo di Giovanni che si proclama nella Messa del giorno di Natale (la liturgia del Natale prevede tre formulari di Messe: della notte, dell’aurora e del giorno) perché entrambi indugiano a lungo su uno sguardo “grande”, l’eterna danza della Trinità nel Prologo e la storia universale nella Kalenda, per poi passare repentinamente a concentrarsi su un tempo e un luogo “piccoli”, quelli della nascita di Gesù Cristo nella carne. Il mistero che entrambi narrano è espresso con il loro tipico linguaggio poetico dai tre prefazi di Natale: “nel mistero del Verbo incarnato è apparsa agli occhi della nostra mente la luce nuova del tuo fulgore, perché conoscendo Dio visibilmente, per mezzo suo siamo rapiti all’amore delle cose invisibili” (Prefazio di Natale I), “egli, Verbo invisibile, apparve visibilmente nella nostra carne, per assumere in sé tutto il creato e sollevarlo dalla sua caduta. Generato prima dei secoli, cominciò ad esistere nel tempo, per reintegrare l’universo nel tuo disegno, o Padre, e ricondurre a te l’umanità dispersa” (Prefazio di Natale II), “in lui oggi risplende in piena luce il misterioso scambio che ci ha redenti:la nostra debolezza è assunta dal Verbo, l’uomo mortale è innalzato a dignità perenne e noi, uniti a te in comunione mirabile, condividiamo la tua vita immortale” (Prefazio di Natale III). Tutti questi testi ci introducono alla comprensione della celebrazione del mistero dell’incarnazione descrivendola come la stessa dinamica sacramentale: la comunicazione della grazia invisibile di Dio attraverso un evento esperimentabile con i sensi del corpo per poi trascenderli e condurre l’uomo corporeo dentro la sua essenza divina. C’è dunque uno stretto legame tra il Natale e la liturgia. Se la Pasqua è il contenuto e la forza della liturgia, il Natale ne esprime questa struttura fondamentale. È eloquente anche l’impianto teologico delle Messe di Natale: la contemplazione dell’incarnazione in quanto generazione eterna (Messa del giorno) e nascita nella storia (Messa della notte) a cui deve seguire la nascita spirituale nell’anima del cristiano (Messa dell’aurora).
2. Il testo della Kalenda ripercorre alcuni eventi storici molto circostanziati; anzi, si coglie una vera e propria insistenza sui numeri (gli anni trascorsi da tali eventi e addirittura i mesi della gestazione nel grembo di Maria), sui luoghi (Ur dei Caldei, Egitto e Betlemme) e sui nomi (Abramo, Mosè, Davide, Daniele, Cesare Ottaviano Augusto, la Vergine Maria, Gesù Cristo). Nel testo precedente all’ultima riforma liturgica c’era anche il conto, ovviamente ipotetico, degli anni trascorsi dalla creazione, cinquemilacentonovantanove, oggi più pudicamente espresso come “molti secoli”. Questa precisione ha un significato immediato che è quello di ribadire la verità che Cristo è nato davvero nella carne, contro ogni gnosticismo, tentazione anche oggi in agguato. Ma la sua ragione profonda va oltre: essa vuole dire con forza che in lui tutta questa storia trova senso. La storia sacra ma anche quella profana: Gesù Cristo è il Signore del tempo e della storia, “a lui appartengono il tempo e i secoli” (Veglia pasquale). Una storia che passa attraverso le fatiche e i sì di persone umane che si fidano di Dio aprendosi alla sua Parola e le vicende di innumerevoli uomini che inconsapevolmente collaborano al progetto di Dio, come l’imperatore romano che indice il censimento e i suoi funzionari (cfr. Lc 2). Nulla della storia sfugge all’amore di Dio ed essa raggiunge, nel momento dell’incarnazione, la sua pienezza (cfr. Gal 4,4), momento riconoscibile perché “in tutto il mondo regnava la pace”. Dio entra nel tempo perché a lui sta a cuore tutta l’umanità. Nulla delle nostre vicende è indifferente a Dio, nemmeno le più insignificanti circostanze della vita. Che Dio veda tutto non è una minaccia ma una grande consolazione. La “pienezza del tempo” (Gal 4,4) manifesta il compimento del disegno di Dio sulla storia perché tutta la realtà creata trova il suo senso e la sua coesione profonda solo in rapporto a Cristo, costituito da Dio “alfa e omega, principio e fine” (Veglia pasquale) perché “in Cristo l’universo è creato e tutto sussiste in lui” (antifona al cantico dei Vespri del Mercoledì della seconda settimana del Salterio). Cristo è la “vera luce del mondo” (colletta della Messa della notte), dunque, “chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo” (GS 41). Il Natale è la meta di un lungo cammino con una direzione chiara e una precisa gerarchia: la misericordia che Dio manifesta nell’opera meravigliosa della creazione diventa ancora più evidente e sconvolgentemente reale quando la redenzione di quella creazione ammalata prende corpo. Dice la colletta della Messa del giorno: “O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine, e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti” (in latino mirabíliter condidísti et mirabílius reformásti). La redenzione è un miracolo ancora più grande della stessa creazione, tratta da Dio dal nulla.
3. Interessante è il particolare della luna, cioè la fase lunare che, ovviamente, cambia ogni anno e va calcolata con precisione perché il ciclo della luna non corrisponde a quello dei giorni numerati di ogni mese. Quest’anno è la quindicesima luna. C’è dunque, sin dall’inizio della Kalenda, il riferimento all’oggi perché la liturgia non è un vago ricordo di eventi passati ma la certezza della presenza del mistero celebrato. Nei vari formulari della Messe di Natale, l’oggi ritorna spesso: il ritornello del Salmo responsoriale e il versetto dell’Alleluia della Messa della notte, il ritornello del Salmo responsoriale della Messa dell’aurora, il Prefazio di Natale III, la colletta della Messa del giorno. La pienezza del tempo continua oggi e la possiamo riconoscere proprio nella liturgia: oggi accade davanti a noi e per noi il mistero dell’incarnazione di Dio nella storia. Questo significa celebrare il Natale. Oggi egli si fa incontrare, vedere, toccare, sentire nei suoi sacramenti. Se il principio dell’incarnazione fa parte della vita cristiana, la colletta della Messa dell’aurora giustamente chiede: “fa’ che risplenda nelle nostre opere il mistero della fede che rifulge nel nostro spirito”. Nel nostro spirito rifulge, grazie alla celebrazione, la presenza del Signore del tempo e della storia: nelle nostre opere non possiamo che comportarci come uomini che lo hanno incontrato.
4. Nella parte conclusiva della Kalenda incontriamo anche il motivo dell’incarnazione: “volendo santificare il mondo”. La decisione di Dio è libera, è lui che vuole disporre tutti i tempi perché tocchino la pienezza in quel punto, non è quella disposizione raggiunta per caso o altri mezzi che lo obbliga a incarnarsi. Non c’è nulla di magico, come non è una magia che intrappola Dio nei sacramenti. Al contrario, possiamo contemplare il mistero della misericordia di Dio che non si ritira mai dalla storia guidandola con amore provvidenziale. La santificazione del mondo è la ragione profonda dell’incarnazione cioè Gesù che da gloria a Dio compiendo la nostra redenzione (cfr. Gv 17,4): la liturgia eterna che da sempre e per sempre si compie nella Trinità, dove ogni Persona da gloria alle altre, è l’orizzonte dell’incarnazione. In essa tutto inizia e tutto si compie.
La lettera del Papa ai nuovi cardinali
La canonizzazione del religioso, che testimoniò nel Paese il «messaggio evangelico della riconciliazione» in mezzo a persecuzioni e violenze, ha offerto al Papa l’occasione per rinnovare l’invito a non strumentalizzare la religione. «Come ci insegna la vita di Giuseppe Vaz — ha ricordato — l’autentica adorazione di Dio porta non alla discriminazione, all’odio e alla violenza, ma al rispetto per la sacralità della vita, al rispetto per la dignità e la libertà degli altri e all’amorevole impegno per il benessere di tutti».
Un messaggio rilanciato anche nel successivo incontro al santuario mariano di Madhu, luogo simbolo del «lungo conflitto che ha lacerato il cuore dello Sri Lanka». Raccogliendosi in preghiera davanti alla statua della Madonna — che proprio a causa dei violenti scontri dovette abbandonare per un periodo il santuario — il Pontefice ha esortato la popolazione a perseverare nel «difficile sforzo di perdonare e di trovare la pace». Un invito rivolto espressamente a «entrambe le comunità tamil e singalese», chiamate a «ricostruire l’unità che è stata perduta» per garantire al Paese «un futuro di riconciliazione, di giustizia e di pace».
Rientrato da Madhu, Francesco ha poi incontrato nella nunziatura apostolica l’ex capo dello Stato Mahinda Rajapaksa, al quale proprio in questi giorni è succeduto il nuovo presidente della Repubblica Maithripala Sirisena. Quindi si è recato in un tempio buddista, dove la comunità gli ha mostrato in via eccezionale le reliquie di alcuni discepoli di Buddha, che tradizionalmente vengono mostrate solo una volta all’anno. Infine, in arcivescovado, ha salutato i vescovi del Paese, che non aveva potuto incontrare martedì a causa del ritardo accumulato lungo il tragitto dall’aeroporto al centro cittadino.
Giovedì 15 il Papa si congeda dallo Sri Lanka per trasferirsi nelle Filippine, seconda meta del viaggio apostolico. A Manila è prevista soltanto una breve cerimonia di benvenuto all’aeroporto. Venerdì mattina i successivi appuntamenti, con la visita al presidente della Repubblica, l’incontro con le autorità e la messa.