di don Giovanni Poggiali
Già Pio XII (1939-1958) diceva che “il peccato del secolo è la perdita del senso del peccato” (citato da Giovanni Paolo II [1978-2005] nell’Esortazione Apostolica post-sinodale Reconciliatio et Paenitentia [RP] del 1984, n.18). La perdita del senso morale, l’attenuarsi della capacità di distinguere il bene dal male, l’oscuramento della coscienza, sembrano essere una caratteristica dominante del nostro tempo che giunge ad accettare nella mentalità comune, nel costume e nelle leggi, addirittura il rifiuto del fondamentale diritto alla vita della persona.
Giovanni Paolo II, nella sua enciclica Evangelium vitae (EV) sul valore e inviolabilità della vita umana, scrisse queste significative parole rivolgendosi alle donne, dopo aver ribadito la gravità morale dell’aborto procurato che appare in tutta la sua verità se si riconosce che si tratta di un vero e proprio omicidio (cf. EV 57): “Un pensiero speciale vorrei riservare a voi, donne che avete fatto ricorso all’aborto. La Chiesa sa quanti condizionamenti possono aver influito sulla vostra decisione, e non dubita che in molti casi s’è trattato d’una decisione sofferta, forse drammatica. Probabilmente la ferita nel vostro animo non s’è ancora rimarginata. In realtà, quanto è avvenuto è stato e rimane profondamente ingiusto. Non lasciatevi prendere, però, dallo scoraggiamento e non abbandonate la speranza. Sappiate comprendere, piuttosto, ciò che si è verificato e interpretatelo nella sua verità. Se ancora non l’avete fatto, apritevi con umiltà e fiducia al pentimento: il Padre di ogni misericordia vi aspetta per offrirvi il suo perdono e la sua pace nel sacramento della Riconciliazione. Allo stesso Padre e alla sua misericordia potete affidare con speranza il vostro bambino. Aiutate dal consiglio e dalla vicinanza di persone amiche e competenti, potrete essere con la vostra sofferta testimonianza tra i più eloquenti difensori del diritto di tutti alla vita. Attraverso il vostro impegno per la vita, coronato eventualmente dalla nascita di nuove creature ed esercitato con l’accoglienza e l’attenzione verso chi è più bisognoso di vicinanza, sarete artefici di un nuovo modo di guardare alla vita dell’uomo” (EV 99).
In questo intervento magisteriale del 1995, la Chiesa mostrava la sua costante maternità, la sua tenerezza e la sua comprensione per l’umana fragilità, per il peccato, ma manifestava anche la verità delle cose indicando l’aborto come “l’uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita” (EV 58). Il Papa, nel suo accorato intervento, voleva certamente unire il riconoscimento della estrema gravità del peccato di aborto (al quale, non dimentichiamolo, è associata la scomunica latae sententiae, cioè immediata, cf. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2272), con la manifestazione della misericordia del Padre verso qualsiasi colpa, anche grave, colpa che rimane sempre più piccola rispetto alla grandezza del Cuore di Dio. E certamente, lo si evince dalle sue parole, Giovanni Paolo II aveva presente quella grande sofferenza che colpisce le donne che hanno abortito, la sindrome post-aborto, dopo l’eliminazione del bambino dal loro grembo, sindrome che comporta stress prolungati, sensi di colpa, angoscia, solitudine, addirittura in qualche caso istinto suicida, con un bisogno di riparazione verso quel bambino che non c’è più, per aver distrutto il legame affettivo e fisico, unico in natura, tra la madre ed il figlio. Queste donne, per paura della condanna, si allontanano dalla Chiesa e dalla fede, cambiano abitudini sociali ed affettive, e manifestano problemi di relazionalità. Ma, come scrive Maria Luisa Di Pietro – co-presidente dell’associazione Scienza e Vita – “l’impegno dei medici e della società non deve essere quello di rendere l’aborto più facile, quanto piuttosto di offrire alla donna valide alternative ad una scelta così dolorosa per lei e causa di morte di tante vite umane” (Aborto, Edizioni Viverein, Roma-Monopoli 2009, p.73).
Quale è allora il compito della Chiesa verso la donna che ha abortito? Il mandato ricevuto da Cristo, che è uno degli stessi compiti primari della Chiesa, è “la riconciliazione dell’uomo: con Dio, con se stesso, con i fratelli, con tutto il creato” (cf. RP 8). Attraverso la Chiesa, la donna che ha sbagliato può ottenere la misericordia di Dio convertendosi con un autentico pentimento. Questo cambiamento del cuore, che investe tutta la persona – pensieri, parole, azioni –, deve trasformarsi in veri gesti d’amore, che mostrino il desiderio di riparare il male compiuto. Solo in questo modo, con il dono della grazia del perdono e dell’infinita misericordia di Dio, la donna (e qualsiasi persona che abbia commesso un peccato grave) può riconciliarsi con il Signore e con se stessa, ristabilendo un rapporto personale d’amicizia con Dio, senza il quale non c’è vera ed autentica vita, recuperando l’autostima e il rapporto di piena identità e integrità con se stessa. È necessario, quindi, chiedere il perdono di Dio. Ancora, nella Reconciliatio et Paenitentia, Giovanni Paolo II scriveva che “la riconciliazione (…) per essere piena, esige necessariamente la liberazione dal peccato, rifiutato nelle sue più profonde radici” (4). L’unico modo per allontanarsi dal peccato è la conversione, il pentimento, l’autentica contrizione: “La penitenza, pertanto, è la conversione che passa dal cuore alle opere e, quindi, all’intera vita del cristiano” (idem). La riconciliazione con Dio, con se stessi, con i fratelli e con tutto il creato non è possibile senza una conversione personale profonda del cuore, e questo è sempre un dono di Dio che deve incontrare la libera volontà dell’essere umano: “Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione” (2 Cor 5,18-19). Ecco il compito della Chiesa.
Purtroppo, in molta parte dell’opinione pubblica, la Chiesa è vista come nemica delle donne e sembra non desideri per loro una vera ed autentica liberazione. L’immagine di severità e di “integrismo”, viene applicata ad arte alla Chiesa da alcuni media che, proiettando così un’immagine falsata della stessa nella mente e nel cuore delle persone, la presentano come causa di molti mali della nostra vita, quasi che senza di essa saremmo più liberi. Ma la Chiesa non si preoccupa soltanto di proteggere la vita di coloro che non sono ancora nati. Essa ha a cuore il destino di ogni uomo, soprattutto di coloro che sono i poveri tra i più poveri. La grande povertà di una donna che ha abortito, perdendo nel figlio una così grande ricchezza, spinge la Chiesa ad offrire il perdono, la misericordia, la cura costante per non abbandonare chi ha peccato magari solo per ignoranza o per diversi condizionamenti. Vari e importanti progetti di accompagnamento umano, spirituale e psicologico, sono stati realizzati e sono portati avanti nel corpo ecclesiale per iniziativa di sacerdoti e laici impegnati nella difesa della cultura della vita (pensiamo, ad esempio, al “Movimento per la vita” italiano o al “Progetto Rachele” in America). Questi programmi di impegno per la guarigione delle donne che hanno abortito, per salvarle da un dolore autodistruttivo, questi progetti di orientamento verso un’autentica cultura della vita, sono presenti in varie parti del mondo grazie all’amore e all’entusiasmo di tante persone, uomini e donne. Tramite questi itinerari si giunge alla guarigione di ferite profonde, soprattutto a perdonare se stessi, che è la cosa più difficile in colei che ha praticato l’aborto. Molte donne che avevano abortito, una volta recuperate con il perdono e vinto il senso di colpa, diventano attive sostenitrici del diritto alla vita, riscattandosi pienamente. Se solo pensiamo alla famosa sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America Roe contro Wade – del 1973, che ha sancito il diritto di aborto rovesciando così le leggi statali e federali che proibivano o restringevano l’aborto stesso – ci troviamo di fronte alla signora Norma Leah McCorvey che, con lo pseudonimo legale di Jane Roe, fu usata da abili avvocati per introdurre la libertà di aborto negli Stati Uniti. Oggi, questa signora, è un’attivista antiabortista convertita alla Chiesa Cattolica e dice che la Grazia di Dio può guarire il cuore delle donne vinte dall’amore.
Romano Guardini (1885-1968), nel lontano 1949, poneva il punto di vista decisivo sulla questione dell’aborto: “La vita dell’uomo non può essere violata perché l’uomo è persona. Persona significa capacità di autodominio e di responsabilità personale, capacità di vivere nella verità e nell’ordine morale. La persona non è un che di natura psicologica, bensì esistenziale. Non dipende fondamentalmente da età o condizioni psico-fisiche o doti naturali, bensì dall’anima spirituale che è in ogni uomo” (Il diritto alla vita prima della nascita, Morcelliana, Brescia 2005, p.17). L’anima spirituale immortale, creata da Dio, è posta nella madre che deve far crescere, tutelare e proteggere il bambino, corpo e anima. Egli ha diritto di amare, ha diritto di ricevere la vita, perché la donna dà la vita. Questo bambino, pur essendo “in immediato rapporto con la madre, (…) formandosi si sottrae a lei seguendo la propria destinazione interiore” (idem). La Chiesa sa e crede che tale destinazione, come per la madre, è Dio, la Vita eterna. A Lui la vita appartiene. E la madre deve lasciare che tale destinazione giunga a compimento. Per le donne che rifiutano questo c’è la misericordia, il perdono, la riconciliazione, se solo esse aprono il cuore, perché la Chiesa ha il dovere di annunciare che non esiste peccato che non possa essere perdonato da Colui che è morto per noi peccatori e il cui amore ci possiede (cf. 2 Cor 5,14). Il perdono e la guarigione dopo l’aborto sono possibili. Condannare l’aborto non significa condannare le persone che l’hanno compiuto, ma occorre riconoscere la realtà e dare al dolore interiore una valida espressione. Dio amerà ancora la donna che ha praticato l’aborto e le dice: “Io ti amerò sempre, và e d’ora in poi non peccare più” (cf. Gv 8,11).
Bibliografia
Catechismo della Chiesa Cattolica, dal n. 2270 al n. 2275.
Giovanni Paolo II, Enciclica Evangelium Vitae, 25 Marzo 1995.
Maria Luisa Di Pietro, Aborto, Edizioni Viverein, Collana “Le Chiavi”, Roma-Monopoli 2009.
Romano Guardini, Il diritto alla vita prima della nascita, Morcelliana, Brescia 2005.
Antonio Socci, Il genocidio censurato. Aborto: un miliardo di vittime innocenti, Piemme, Casale Monferrato 2006.
Don Giovanni Poggiali
pubblicato su “Il Timone” n. 27 (sett.-ott. 2003)
“Le parti che costituiscono in certo modo la messa, cioè la liturgia della parola e la liturgia eucaristica, sono congiunte tra loro così strettamente da formare un solo atto di culto” (Sacrosanctum Concilium, n.56). Come indica il Concilio Vaticano II le due parti principali della celebrazione eucaristica sono certamente distinte come due mense da cui cibarsi, ma sono unite così strettamente che non potrebbero essere separate: liturgia della parola e liturgia eucaristica, parola di Dio e segni sacramentali del pane e del vino, che sono Carne e Sangue di Gesù. Illuminante è sant’Agostino quando commenta la richiesta nel Padre Nostro “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”: “L’Eucaristia è il nostro pane quotidiano… ma anche ciò che vi spiego è pane quotidiano e così anche le letture che ascoltate ogni giorno in chiesa è pane quotidiano e l’ascoltare e recitare inni è pane quotidiano” (Sermo 57,7). Questo Pane quotidiano è il Signore: è Cristo che parla quando la liturgia proclama le letture sacre, è Cristo che si dona a noi nel suo Corpo dato e nel suo Sangue versato quando nella liturgia si ricevono il pane e il vino consacrati.
Se il sacrificio eucaristico è “fonte e culmine di tutta la vita cristiana” (Lumen Gentium, n.11) diventa importante conoscere e comprendere come è nata la santa Messa e come si sono formate le parti della fractio panis (frazione del pane, come anticamente veniva chiamata la Messa insieme a Cena del Signore e ad altri nomi che si danno a tale sacramento: cf. CCC n.1328-1332).
Certamente il punto di partenza è il gesto di Gesù nell’Ultima Cena dove il Signore ha istituito l’Eucaristia e il sacramento dell’Ordine per perpetuare nella storia il suo unico Sacrificio sul Calvario. I Vangeli descrivono il fatto in diverse redazioni (Mt 26,26-29; Mc 14,22-25; Lc 22,14-20) e anche s.Paolo (1 Cor 11,23-25) e ciò che è importante è che la Cena di Gesù con i discepoli avviene all’interno della cornice celebrativa della pasqua ebraica dove veniva immolato e mangiato l’agnello per la festività: ora questo agnello è Cristo stesso che si immolerà sulla croce per la salvezza di tutti gli uomini e per costituire la nuova Alleanza nell’amore. L’invito di Gesù a continuare il suo gesto ( “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me” – Lc 22,19) è il segno della volontà di Cristo di essere presente nell’Eucaristia fino alla consumazione dei secoli.
La liturgia cristiana ebbe quindi il suo fondamento nella liturgia ebraica che a sua volta richiama il momento della Pasqua storica dell’Esodo, la liberazione dalla schiavitù egiziana e l’Alleanza con Dio. Presto, però, la liturgia cristiana si stacca da quella ebraica e anche il giorno di culto significativamente non è più il sabato: “Soprattutto “il primo giorno della settimana” cioè la domenica, il giorno della Risurrezione di Gesù i cristiani si riunivano “per spezzare il pane” (At 20,7). Da quei tempi la celebrazione dell’Eucaristia si è perpetuata fino ai nostri giorni, così che oggi la ritroviamo ovunque nella Chiesa, con la stessa struttura fondamentale. Essa rimane il centro della vita della Chiesa” (CCC n.1343). Qual’è dunque questa struttura?
Si comincia dai riti di ingresso o di introduzione. Anticamente non c’erano perchè si iniziava, dopo l’essersi radunati, dalle letture degli Apostoli e dei profeti (cf s.Giustino, Apologiae, 1,65.67 cit. in CCC n.1345). Poi, quando il clero si fece numeroso, si organizzò la processione accompagnata dal canto (siamo nel V-VI secolo), fino all’altare. La processione iniziale, come le altre previste nel corso della Messa (per esempio la presentazione delle offerte e la comunione), sono accompagnate dal canto perchè nell’unione delle voci sia assicurata l’unione dei cuori. I riti di ingresso comprendono il saluto del celebrante, l’atto penitenziale, il Kyrie eleison, il Gloria e l’orazione o Colletta. Il sacerdote saluta anzitutto Cristo tramite il bacio dell’altare che rappresenta il Signore, quindi con il segno di croce inizia la celebrazione nel ricordo di Dio Trinità e del Battesimo con cui siamo stati inseriti in Cristo e nella Chiesa suo Corpo. L’atto penitenziale è la richiesta di perdono a Dio da parte della comunità per essere nella disposizione di cuore più giusta al fine di accedere ai divini misteri. Deriva da formule di preghiera medievali chiamate apologie con cui il sacerdote confessava la propria colpevolezza in forma privata (risalgono al IX secolo). Segue l’acclamazione del Kyrie eleison (Signore pietà) e l’antichissimo inno del Gloria in excelsis Deo che era presente nella liturgia fin dal IV-V secolo: è un inno di glorificazione e di lode. I riti di ingresso sono conclusi dalla Colletta, chiamata anche oratio nella liturgia romana. É difficile determinarne l’epoca di ingresso nella Messa. É la preghiera con cui il sacerdote raccoglieva (da colligere=raccogliere) le intenzioni personali dei fedeli nella pausa di silenzio prima della preghiera stessa ed inoltre il contenuto della Colletta commenta anche la Messa del giorno.
Dopo i riti di ingresso comincia la liturgia della parola che insieme alla liturgia eucaristica è come il doppio vertice della Messa. La parola di Dio non può mai mancare nella celebrazione dei sacramenti perchè essa illumina il sacramento stesso e rende visibile l’efficacia di salvezza. S.Cesario di Arles (470-542) diceva: “Colui che avrà ascoltato con negligenza la parola di Dio non sarà meno colpevole di colui che, per la propria negligenza, avrà fatto cadere a terra il Corpo di Cristo” (Sermo 78,2). La liturgia della Parola comprende le seguenti parti: prima lettura o profezia, salmo responsoriale, seconda lettura o Apostolo, Canto al Vangelo, Vangelo, Omelia, Il Credo o professione di fede, la preghiera universale o dei fedeli. Le letture sono ricavate dall’Antico e dal Nuovo Testamento. Come nel dialogo tra due persone è presente l’ascolto e la risposta così avviene nel rapporto con Dio: il salmo responsoriale e il canto al Vangelo sono le risposte dei fedeli all’annuncio di salvezza proferito. Il Vangelo è il momento più alto di questo dialogo. Da sempre la sua proclamazione è circondata da rispetto e venerazione: la benedizione chiesta dal ministro incaricato, l’incensazione, la processione prima della lettura, la posizione in piedi dei fedeli. É Cristo che parla e che ci annuncia la Buona Novella: ecco perchè occorre alzarsi in segno di rispetto e orientarsi verso l’ambone o il pulpito da dove viene letto (o cantato) il Vangelo.
Con la liturgia eucaristica viene reso presente il sacrificio di Cristo sulla croce ma non ripetuto, perchè il sacrificio è unico. Questa parte della Messa comprende la presentazione dei doni, con cui sono portati all’altare pane e vino con acqua, gli stessi elementi usati da Gesù nell’Ultima Cena. Fin dall’antichità i cristiani portavano i propri doni all’altare per condividerli con chi era in necessità. Tale è l’antico significato dell’odierna raccolta delle offerte. Con la preghiera eucaristica o anafora siamo al culmine della celebrazione. Anticamente le parole venivano affidate alla spontaneità e alla preparazione del sacerdote che presiedeva l’Eucaristia. Ma già all’inizio del III secolo Ippolito Romano compose uno schema fisso. La preghiera eucaristica è formata dal prefazio, in cui la Chiesa rende grazie al Padre, per mezzo di Cristo nello Spirito Santo, per tutte le sue meraviglie. Il prefazio termina con il Sanctus, lode incessante che la chiesa celeste canta al Dio tre volte Santo (cf Is 6,3). Quindi l’epiclesi, cioè la richiesta al Padre di inviare lo Spirito Santo affinchè il pane e il vino diventino Corpo e Sangue di Cristo e perchè i fedeli siano una cosa sola in un unico Spirito. Il racconto dell’istituzione ripete le parole efficaci di Gesù che rendono presente l’unico sacrificio del Calvario (Questo è il mio Corpo; questo è il mio Sangue). Infine l’anamnesi, con cui la Chiesa fa memoria della Passione Risurrezione e Glorificazione di Cristo, e le intercessioni per i vivi e per i defunti. La preghiera eucaristica è una grande sintesi del disegno di salvezza di Dio e del suo amore per gli uomini perchè “non viviamo più per noi stessi ma per Lui che è morto e risorto per noi” (preghiera eucaristica IV). In questa parte della Messa il fedele si inginocchia perchè Cristo è realmente presente dopo la consacrazione e perché “nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra” (Fil 2,10).
Al termine abbiamo i riti di comunione che comprendono il Padre Nostro, la preghiera della pace che è presente fin dai primissimi tempi della Chiesa e collocata prima della liturgia eucaristica (come nell’attuale rito ambrosiano), la fractio panis e l’Agnus Dei: l’unico Pane viene spezzato e diviso fra tutti e indicato come il vero Agnello che è morto e risuscitato per noi. Quindi la comunione sacramentale, auspicata e raccomandata per una partecipazione piena al mistero celebrato perchè “chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna” (Gv 6,54). I riti di conclusione, con la benedizione del celebrante ed il congedo terminano la celebrazione eucaristica. Ora occorre vivere ciò che si è celebrato nella fede. La Messa deve diventare vita, amore, missione. La vita di Cristo viene “spezzata” per noi e anche noi dobbiamo offrirla, donarla, “spezzarla” per gli altri. Senza questa risposta personale non possiamo dirci pienamente e consapevolmente cristiani.
Giovanni Paolo II ripete spesso che la Messa è il cuore della sua giornata. É così anche per noi? Se non amo la Messa vuol dire che non amo veramente il Signore. I santi lo insegnano: “É più facile che la terra si regga senza sole che senza Messa” ripeteva san Pio da Pietrelcina.
BIBLIOGRAFIA
P.Visentin – D.Sartore, voce Eucaristia, in Domenico Sartore C.S.J., Achille M. Triacca S.D.B. e Carlo Cibien S.S.P. (a cura di), Liturgia, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2001, pp. 736-760.
Righetti Mario, Manuale di storia Liturgica. La Messa, vol.III, Editrice Ancora, Milano 1966-1998 (ed.anastatica).
Schnitzler Theodor, Il significato della Messa. Storia e valori spirituali, Città
Nuova Editrice, Roma 19933.
Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), nn. 1345-1355.
di don Giovanni Poggiali
“Il Sacerdozio è l’amore del cuore di Gesù“. Queste parole di san Giovanni Maria Vianney (il Curato d’Ars), citate dal Santo Padre Benedetto XVI (cf. anche Catechismo della Chiesa Cattolica, 1589) nella Lettera per l’indizione di un Anno Sacerdotale in occasione del 150° anniversario del Dies natalis del santo Curato d’Ars, del 16 giugno 2009, ci vogliono far comprendere la grandezza del sacramento dell’Ordine ed il suo insostituibile valore. Sempre il Santo Padre ha detto: “Nel Cuore di Gesù è espresso il nucleo essenziale del cristianesimo… Come non ricordare con commozione che direttamente da questo Cuore è scaturito il dono del nostro ministero sacerdotale?” (19 giugno 2009). Il Cuore trafitto di Cristo, trafitto dai peccati e da cui sgorgano sangue ed acqua, simbolo dei sacramenti della Chiesa, da cui sgorga l’amore infinito di Dio, è il simbolo più autentico della misericordia di Gesù ed è il segno più efficace per capire chi e cosa è il sacerdote di Cristo: “Se comprendessimo bene che cos’è un prete sulla terra, moriremmo: non di spavento ma di amore… Senza il prete la morte e la passione di Nostro Signore non servirebbero a nulla… Lasciate una parrocchia, per vent’anni, senza prete, vi si adoreranno le bestie” (Curato d’Ars, Lettera).
La consapevolezza del dono del sacerdozio
Rileggendo queste frasi mi chiedo quale sia la mia consapevolezza del dono ricevuto da Cristo con il sacerdozio, e quale sia la consapevolezza dei confratelli sacerdoti che condividono con me il ministero. Forse non ci rendiamo conto veramente di ciò che siamo. Non per nostro merito o per presunte capacità abbiamo ricevuto il sigillo dello Spirito nel giorno dell’Ordinazione, ma per scelta di Cristo che attraverso la Chiesa ci ha chiamati a servirlo. Gesù stesso ci afferra e ci conquista. Ad imitazione del Servo, che è Cristo, dobbiamo imparare a spogliarci di noi, della nostra mentalità, per assumere quella divina del Figlio incarnato al Quale apparteniamo. E se ripenso al fatto che Gesù ha scelto proprio me per un’avventura così grande….. Il Santo Padre infatti ha detto: “La missione di ogni singolo presbitero dipenderà, pertanto, anche e soprattutto dalla consapevolezza della realtà sacramentale del suo “nuovo essere”” (1 luglio 2009).
“Dopo Dio, il sacerdote è tutto!… Lui stesso non si capirà bene che in cielo“: così affermava il Curato d’Ars e questo Anno Sacerdotale può aiutarci a ravvivare il dono che è in noi, ricevuto con l’imposizione delle mani (cf. 1 Tm 4,14; 2 Tm 1,6), può aiutarci a cancellare visioni ed interpretazioni sbagliate e minimaliste del sacerdote, come fosse un impiegato del sacro, un funzionario, con una non chiara identità, e non invece un chiamato da Cristo a servirlo totalmente con cuore indiviso, con disponibilità totale verso tutti – bambini giovani e adulti, sani e malati, giusti e peccatori, credenti e lontani -, con un amore totale che rende credibili e con la testimonianza della propria esistenza. Essendo disposti a dare la vita ogni giorno, come ha fatto Gesù: “Come fa bene un prete ad offrirsi a Dio in sacrificio tutte le mattine!” (Curato d’Ars).
In persona Christi
Da dove scaturiva, per il santo francese, questa piena comprensione del suo essere e del compito affidatogli? La risposta la troviamo nella stessa Lettera per l’indizione del Papa, dove il santo dice che è solo il sacerdote che può donarci l’Eucaristia e riporla nel Tabernacolo, solo il prete accoglie l’anima al primo entrare nella vita (con il Battesimo), solo il sacerdote prepara l’anima dell’uomo all’incontro finale e decisivo con Dio, solo il sacerdote risuscita (con la Confessione) l’anima morta per il peccato. Con le parole semplici che lo contraddistinguono, il Curato d’Ars ci fa capire come il sacerdote agisce in persona Christi, cioè nella persona di Cristo, in quanto è conformato a Cristo grazie all’unzione dello Spirito Santo ed opera come Cristo Sommo Sacerdote, Capo della Chiesa, Pastore e Maestro del gregge, rappresentando al contempo l’umanità fragile, santa e peccatrice del Popolo di Dio di fronte al suo Signore. Questa conformazione a Cristo è possibile nello Spirito Santo, perché “il sacramento dell’Ordine comunica “una potestà sacra”, che è precisamente quella di Cristo. L’esercizio di tale autorità deve dunque misurarsi sul modello di Cristo, che per amore si è fatto l’ultimo e il servo di tutti” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1551). Il sacerdozio è un servizio, non un dominio o un esercizio di potere. Non è una modalità per imporre se stessi: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti (Mc 10, 45)… è questo il nucleo più profondo della missione di Gesù Cristo e, insieme, la vera essenza del suo Sacerdozio” (Benedetto XVI, 12 Settembre 2009).
Scopo dell’Anno Sacerdotale
Dunque, per il Papa, lo scopo di questo Anno Sacerdotale – che ha per tema Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote – è quello di “favorire questa tensione dei sacerdoti verso la perfezione spirituale dalla quale soprattutto dipende l’efficacia del loro ministero” (16 marzo 2009). Lo stesso Pontefice ha ricordato, il 5 agosto scorso, che “dipende dalla santità la credibilità della testimonianza e, in definitiva, l’efficacia stessa della missione di ogni sacerdote“. San Giovanni Maria non aveva doti particolari, aveva una natura umana particolarmente povera, non volevano neanche ordinarlo prete, ma aveva l’unica dote che conta: l’amore totale per Cristo, il desiderio ed il fascino della santità. Per questo il Papa l’ha preso a modello di noi tutti: “L’insegnamento che a questo proposito continua a trasmetterci il Santo Curato d’Ars é che, alla base di tale impegno pastorale, il sacerdote deve porre un’intima unione personale con Cristo, da coltivare e accrescere giorno dopo giorno. Solo se innamorato di Cristo, il sacerdote potrà insegnare a tutti questa unione, questa amicizia intima con il divino Maestro, potrà toccare i cuori della gente ed aprirli all’amore misericordioso del Signore” (5 agosto 2009).
Primo aspetto essenziale: la Santa Messa
Di questo amore a Cristo e di questo anelito alla santità il Curato d’Ars trasmette a noi sacerdoti soprattutto due elementi fondamentali: l’amore all’Eucarestia e la dedizione nel confessionale. Il Concilio Vaticano II ricorda che “nella loro qualità di ministri della liturgia, e soprattutto nel sacrificio della messa, i presbiteri rappresentano in modo speciale Cristo in persona, il quale si è offerto come vittima per santificare gli uomini; sono pertanto invitati a imitare ciò che compiono” (Presbyterorum Ordinis, 13). È particolarmente nella Messa che il sacerdote esprime l’autorità ricevuta da Gesù agendo come Cristo Capo, Sommo Sacerdote e Pastore. La Chiesa, per voce del Vescovo, ricorda ai presbiteri appena ordinati: “Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore” (dal Rituale dell’Ordinazione dei Presbiteri).
Il Curato d’Ars aveva una profonda devozione eucaristica, stava lunghe ore di fronte al Santissimo Sacramento e celebrava la Messa con profondo amore. Questi elementi attiravano i fedeli in Chiesa che erano trascinati ad imitare il loro parroco che diveniva, così, un uomo carismatico, profondamente unito a Dio, costantemente identificato con la missione che Dio gli aveva assegnato. E la gente semplice di Ars cambiava il cuore, come quel contadino del villaggio che, assorto davanti al tabernacolo in contemplazione, spiegò al suo parroco: “Io lo guardo ed egli mi guarda” (cf Catechismo della Chiesa Cattolica, 2715). La celebrazione della Messa era quindi il centro focale del ministero di questo santo sacerdote, insieme all’adorazione prolungata, e i suoi fedeli si accorgevano dell’umiltà e della vita casta del Curato dal modo in cui egli guardava l’Eucaristia: “La castità era quella richiesta a un prete per il suo ministero” (Lettera). Non si può, infatti, toccare l’Eucaristia abitualmente e condurre una vita nell’impurità. Questo vale per tutti noi sacerdoti, che siamo anche chiamati ad interrogarci sulla qualità delle nostre Messe perché è Cristo che agisce in noi: se le prepariamo con la preghiera, se le nostre mani, lo sguardo, la mente ed il cuore sono puri, se le celebriamo distrattamente o con fervore, se aiutiamo i nostri fedeli a parteciparvi in modo fruttuoso insegnando loro, per esempio, ad inginocchiarsi alla consacrazione e a ricevere l’Eucaristia degnamente, anche in ginocchio. Sarebbe utile rileggere, di tanto in tanto, le rubriche del Messale – insieme agli Ordinamenti Generali dei Messali Romano o Ambrosiano e alla Istruzione Redemptionis Sacramentum del 2004 –, per correggere quelle abitudini che abbiamo acquisito e che crediamo corrette mentre invece sono solo frutto di un nostro modo di celebrare che non è secondo la mens della Chiesa. Molti sacerdoti non compiono i gesti appropriati e richiesti dalla celebrazione: per esempio, al momento della Consacrazione il sacerdote deve inchinarsi leggermente e pronunciare chiaramente e distintamente le parole stesse di Gesù, con attenzione, pensando a quello che dice e presentando ai fedeli prima il Corpo e poi il Sangue di Cristo elevandoli in alto. Quindi farà una genuflessione che sarà il segno di un momento di adorazione e non di un attimo veloce come un lampo, per terminare magari più in fretta. Anche la scelta della Preghiera Eucaristica non può essere decisa in base al criterio della brevità, ma va scelta in riferimento alla Messa che si celebra, non disdegnando il Canone Romano, un tempo unica forma consentita, che rimane di una bellezza, anche estetica, unica. Una Messa celebrata bene è una catechesi formidabile per i fedeli.
Secondo aspetto essenziale: la Confessione
Il secondo elemento su cui riflettere è l’importanza del sacramento della Confessione. I fedeli di Ars si confessavano perché il parroco era presente nella sua chiesa per lunghe ore tutti i giorni, sempre disponibile a perdonare ed ascoltare in nome di Cristo. Oggi le abitudini e il modo di vivere sono cambiati, è vero, e i sacerdoti dicono di non avere molto tempo per confessare o ascoltare le persone, ma qui credo occorra un serio esame di coscienza. Diciamolo sinceramente: non si vuole avere il tempo di confessare, perché è un compito molto impegnativo, faticoso e gravoso anche interiormente. E i confessionali sono spesso deserti perché manca la disponibilità dei preti. Il tempo mi pare lo si trovi per tutto, soprattutto per le proprie cose, ma non per confessare i fedeli. Sono anch’io un sacerdote e conosco bene la situazione delle nostre parrocchie: mille impegni, incontri, riunioni, burocrazia, appuntamenti. Ma le confessioni, la direzione spirituale, l’ascolto, andare dai malati e portare loro i sacramenti non possono essere relegate tra le cose secondarie. Il Curato d’Ars scelse l’essenziale: “Faceva nascere il pentimento nel cuore dei tiepidi, costringendoli a vedere, con i propri occhi, la sofferenza di Dio per i peccati quasi “incarnata” nel volto del prete che li confessava” (Lettera). Le anime costano il sangue di Cristo, diceva il santo francese. Il nostro essere perdonati ha avuto un prezzo molto alto per il Signore, che ama perdutamente le sue creature e riversa il suo amore soprattutto attraverso il sacramento della Riconciliazione. All’epoca del Curato d’Ars, al tempo della Rivoluzione Francese, vigeva la dittatura del razionalismo, oggi vige la dittatura del relativismo (Benedetto XVI): due modalità solo apparentemente diverse, perché l’una è la conseguenza dell’altra, per affermare l’inutilità del sacerdote e dei sacramenti. La Messa e la Confessione rimangono però, per la nuova evangelizzazione, sorgente e fondamento.
Devozione a Maria
Ma c’è un terzo aspetto che occorre ricordare, cioè porre nel cuore: la devozione alla Madre di Dio. Il Curato d’Ars affermava che “Gesù Cristo dopo averci dato tutto quello che ci poteva dare, vuole ancora farci eredi di quanto egli ha di più prezioso, vale a dire della sua Santa Madre” (Lettera). La Madonna, Madre della Chiesa, è Madre particolare di tutti i sacerdoti, i quali non possono non avere verso di Lei un amore speciale. Ci affidiamo in questo Anno a Maria, a Colei che è così cara e preziosa per noi.