Domenica 14 gennaio 2024. C’è stato certamente un momento in cui abbiamo incontrato Cristo per la prima volta, o meglio un momento nel quale Egli è diventato il metro di tutto il nostro essere. Ricordarlo è uno stimolo ulteriore ad essere missionari
di Michele Brambilla
Nell’Angelus del 14 gennaio Papa Francesco riflette sulla chiamata dei primi discepoli di Gesù. Ma Gesù non ha smesso di chiamare 2000 anni fa, infatti «ognuno di noi ha avuto il suo primo incontro con Gesù; da bambino, da adolescente, da giovane, da adulto, adulta… Quando ho incontrato Gesù per la prima volta? Possiamo fare un po’ di memoria», rinnovando la nostra adesione al Vangelo e chiedendoci ancora una volta cosa significa seguire il Signore.
«Secondo il Vangelo di oggi possiamo prendere tre parole: cercare Gesù, dimorare con Gesù, annunciare Gesù. Anzitutto cercare. Due discepoli, grazie alla testimonianza del Battista, cominciarono a seguire Gesù», sentendosi chiedere proprio dal Messia atteso cosa cercassero. «Il Signore non vuole fare proseliti, non vuole “followers” superficiali, il Signore vuole persone che si interrogano e si lasciano interpellare dalla sua Parola. Pertanto, per essere discepoli di Gesù bisogna prima di tutto cercarlo», desiderare la sua presenza nella nostra vita.
Da questo desiderio ne scaturisce un altro: che Dio prenda dimora in noi. «Stare con Lui, rimanere con Lui, questa è la cosa più importante per il discepolo del Signore», insiste il Pontefice sulla scorta degli apostoli citati nel brano evangelico della liturgia. Come ripetuto più volte anche da altri Papi, «la fede, insomma, non è una teoria, no, è un incontro –, è andare a vedere dove abita il Signore e dimorare con Lui».
«Cercare, dimorare e, infine, annunciare. I discepoli cercavano Gesù, poi sono andati con Lui e sono stati tutta la serata con Lui. E adesso annunciare. Tornano e annunciano. Cercare, dimorare, annunciare. Io cerco Gesù? Dimoro in Gesù? Ho il coraggio di annunciare Gesù», si chiede il Papa. «Quel primo incontro con Gesù fu un’esperienza talmente forte, che i due discepoli ne ricordarono per sempre l’ora»: ritornare, quindi, continuamente alla nostra “ora” con Gesù ci aiuta a ritrovare la freschezza delle origini, il momento nel quale Cristo ci ha conquistato fino a trasformarci in apostoli.
Lunga, come sempre, è la parentesi che nei saluti il Santo Padre apre sul conflitto mediorientale e su quello in Ucraina, constatando che «all’inizio dell’anno ci siamo scambiati auguri di pace, ma le armi hanno continuato ad uccidere e distruggere. Preghiamo affinché quanti hanno potere su questi conflitti riflettano sul fatto che la guerra non è la via per risolverli, perché semina morte tra i civili e distrugge città e infrastrutture». Francesco sentenzia che, «in altre parole, oggi la guerra è in sé stessa un crimine contro l’umanità. Non dimentichiamo questo: la guerra è in sé stessa un crimine contro l’umanità. I popoli hanno bisogno di pace! Il mondo ha bisogno di pace». Fa riferimento alle parole di padre Ibrahim Faltas OFM, vicario della Custodia di Terra Santa, che «parlava di educare alla pace. Dobbiamo educare alla pace». Un’educazione che mancherebbe ancora ad ogni latitudine e che bisognerebbe sostenere anche con la preghiera, dice il Papa.