Domenica 24 novembre 2024. Cristo è antitetico allo spirito mondano, che ha come priorità la ricerca del potere con la forza e la menzogna. I cattolici, per primi i giovani, devono dare testimonianza alla regalità “paradossale” (dal punto di vista del mondo) del Signore crocifisso e risorto
di Michele Brambilla
Nell’Angelus per la solennità di Cristo Re (24 novembre), Papa Francesco spiega anzitutto che «il Vangelo della liturgia (Gv 18,33-37) ci presenta Gesù davanti a Ponzio Pilato: è stato consegnato al procuratore romano affinché lo condanni a morte. Tra i due, però, inizia – tra Gesù e Pilato – un breve dialogo» in cui entrano in gioco «due parole: la parola “re” e la parola “mondo”».
Il procuratore romano «ragionando da funzionario dell’impero, vuole capire se l’uomo che ha di fronte costituisca una minaccia, e un re per lui è l’autorità che comanda su tutti i suoi sudditi. Questo sarebbe una minaccia» per tutto l’impero, se Gesù decidesse di capitanare una rivolta contro Roma. Invece «Gesù afferma di essere re, sì, ma in ben altro modo! Gesù è re in quanto è testimone: è Colui che dice la verità» perché è Egli stesso Parola (Logos–Verbum) vera, incarnata, che proprio per questo rappresenta una sfida per un mondo offuscato dalla menzogna.
La seconda parola che entra in gioco è quindi proprio “mondo”. «Il “mondo” di Ponzio Pilato è quello dove il forte vince sul debole, il ricco sul povero, il violento sul mite, cioè un mondo che purtroppo conosciamo bene. Gesù è Re, ma il suo regno non è di quel mondo», anche se, di necessità, il buon grano continua a crescere accanto alla zizzania. «Il mondo di Gesù, infatti, è quello nuovo, quello eterno, che Dio prepara per tutti donando la sua vita per la nostra salvezza. È il regno dei cieli, che Cristo porta sulla terra effondendo grazia e verità (cfr. Gv 1,17). Il mondo, del quale Gesù è Re, riscatta la creazione rovinata dal male con la forza proprio dell’amore divino», la Grazia.
Può venire la tentazione di chiedere: «“Ma è vero padre, questo?”». La risposta è «“Sì”. Com’è la tua anima? C’è qualcosa di pesante lì dentro? Qualche colpa vecchia? Gesù perdona sempre. Gesù non si stanca di perdonare. Questo è il Regno di Gesù», ripete instancabilmente il Pontefice.
I mondi di Gesù e di Pilato rimangono distanti. Il procuratore «farà crocifiggere Gesù, e ordinerà di scrivere sulla croce: “Il re dei Giudei” (Gv 19,19), ma senza capire il senso» autentico di quelle parole.
Le hanno comprese, si spera, i due giovani cattolici coreani che prendono i simboli della GMG dalle mani dei fratelli portoghesi. Il Santo Padre fa riferimento al tema della 39^ Giornata mondiale della gioventù diocesana, ovvero «Quanti sperano nel Signore camminano senza stancarsi (cfr Is 40,31)». I giovani cattolici devono essere i primi ricercatori e propugnatori instancabili dell’unica Verità che salva, della sua potenza apparentemente invisibile (agli occhi di questo mondo) ma reale.
I frutti sono già riconoscibili, dato che «ieri a Barcellona sono stati beatificati il sacerdote Cayetano Clausellas Ballvé e il fedele laico Antonio Tort Reixachs, uccisi in odio alla fede nel 1936, in Spagna». Per di più, «come ho già annunciato, il 27 aprile prossimo, nel contesto del Giubileo degli Adolescenti, proclamerò Santo il Beato Carlo Acutis. Inoltre, informato dal Dicastero delle Cause dei Santi che sta per concludersi positivamente l’iter di studio della Causa del Beato Pier Giorgio Frassati, ho in animo di canonizzarlo il 3 agosto prossimo durante il Giubileo dei Giovani».
In piazza ci sono pellegrini che provengono da Israele: il Papa li cita assieme agli altri scenari di guerra, soffermandosi in particolare sul Myanmar. «Domani il Myanmar celebra la Festa Nazionale, in ricordo della prima protesta studentesca che avviò il Paese verso l’indipendenza, e nella prospettiva di una stagione pacifica e democratica che ancora oggi fatica a realizzare. Esprimo la mia vicinanza all’intera popolazione del Myanmar, in particolare a quanti soffrono per i combattimenti in corso, soprattutto i più vulnerabili: bambini, anziani, malati e rifugiati, tra i quali i Rohingya», specifica nuovamente il Pontefice.