di don Pietro Cantoni
Una introduzione bibliografica alla Teologia è cosa assai delicata.
Prima di tutto è importante dissipare gli equivoci e i possibili fraintendimenti. Parlando del rapporto che intercorre tra la teologia e i libri bisogna fin da subito mettere in chiaro che, pur essendo degli strumenti molto preziosi, i libri non sono in teologia (ma ho il sospetto che sia così anche altrove…) la cosa più importante. Il Cristianesimo non è una “religione del libro”. Al centro della nostra fede cioè non sta un libro, fosse pure quel grande e santo libro che è la Bibbia, ma una persona, la persona di Gesù Cristo, il Verbo di Dio fatto uomo per la nostra salvezza, via, verità e vita.
Poi c’è da rendersi conto che la teologia ha costituito per un millennio e mezzo nella nostra civiltà cristiana la scienza e sapienza per eccellenza, quindi il nucleo fondamentale di tutte le biblioteche. Qui “fare una scelta” è un po’ come proporsi di tracciare un sentiero facile e sicuro all’interno del Mato Grosso… Qualcuno dirà: è proprio per questo che è così utile! Si tratta però con tutta evidenza di un compito da affrontare con molta umiltà, sia da parte di chi propone che da parte di chi raccoglie la proposta.
Una ideale biblioteca di teologia dovrebbe essere collocata non lontano da un inginocchiatoio… Forse vale la pena partire proprio di qui, dall’inginocchiatoio. Un grande teologo del nostro tempo, Hans Urs von Balthasar, ha scritto “La dogmatica cristiana deve esprimere che chi pensa nell’obbedienza di fede, si trova in un rapporto d’orazione col suo oggetto”, questa è la teologia dei santi, cioè la teologia come deve essere, il modello da non dimenticare e da sempre cercare. La crisi della teologia – perché bisogna avere il coraggio di parlare di crisi della teologia, da cui non siamo affatto usciti – incominciò quando “si compì la svolta, e si passò dalla teologia prostrata in ginocchio a quella seduta a tavolino” (Teologia e santità, in: Idem, Verbum Caro, Morcelliana, Brescia 1975/3ª ed, pp. 200-229). Questa svolta che possiamo far risalire alla fine del Medioevo ha condotto ad una funesta separazione della teologia dogmatica e morale dalla spiritualità. La stessa filosofia occidentale moderna, soprattutto l’idealismo, può essere considerata come una teologia secolarizzata e corruptio optimi pessima (la corruzione delle cose migliori dà luogo alle cose peggiori). Ciò non comporta solo un danno morale per la persona privata del teologo (e per i suoi ascoltatori) ma è qualcosa che tocca la scientificità stessa del suo procedimento. Chi si fiderebbe di un avvocato che non ha mai messo piede in un tribunale? O di un medico che non ha mai calcato le corsie di un ospedale? Così, come ci si può fidare di un esperto di Dio (Teo-logo) che non prega e non ha quindi nessuna esperienza di Dio? “Se sei teologo, allora pregherai veramente, e se preghi veramente, sei teologo” dice un famoso trattato sull’orazione a lungo attribuito a san Nilo (in realtà di Evagrio Pontico). Nikolaj Berdjaev osserva che il primo teologo di questo tipo è stato incontestabilmente il diavolo, perché ha parlato di Dio con i progenitori mentre Dio era assente… Il risultato di questa “teo-logia” (letteralmente “discorso su Dio”) lo abbiamo ancora sotto gli occhi.
Ma torniamo al nostro inginocchiatoio. Se le cose stanno così conviene partire proprio dalla teologia spirituale con una ottima introduzione, dove spiritualità e teologia sono intimamente connesse, opera di un teologo che è insieme un erudito e un consumato direttore spirituale: Thomás Spidlík, Manuale fondamentale di spiritualità, Piemme, Casale Monferrato 1993.
La Chiesa ci ha posto di recente tra le mani un catechismo che possiamo considerare anche come una ottima e sicura sintesi teologica: Catechismo della Chiesa Cattolica, promulgato da Giovanni Paolo II il 15 agosto 1997. È pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana in diverse edizioni, anche molto maneggevoli. È un libro che non può mancare nella nostra biblioteca.
La Teologia ha un’unica “fonte”, la Parola di Dio. Essa però si esprime – a livello di documenti – in tre fonti: La Sacra Scrittura, la Tradizione e il Magistero. Anche qui dobbiamo saper distinguere senza però separare. La Scrittura è l’anima della teologia, la Tradizione è il modo con cui la Scrittura è stata trasmessa, letta e vissuta nella Chiesa. Il Magistero, cioè l’insegnamento autentico e – a determinate condizioni infallibile – della Chiesa è la regola prossima che deve guidare ogni riflessione teologica degna di questo nome. Per la Scrittura ci vuole una guida bibliografica specifica, io qui mi limito alla teologia dogmatica. Per il Magistero ci sono delle buone antologie che raccolgono ciò che vi è di assolutamente fondamentale. Classico e indispensabile è “il Denzinger”. Oggi disponiamo di una buona edizione aggiornata bilingue: Heinrich Denzinger, Enchiridion symbolorum definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, edizione bilingue a cura di Peter Hünermann, Edizioni Dehoniane, Bologna 1995. I documenti nel Denzinger sono disposti cronologicamente, ma esistono anche buone raccolte per temi. Per es.: Justo Collantes, S.I. (a c. di), La fede della Chiesa Cattolica, Le idee e gli uomini nei documenti dottrinali del Magistero, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1993.
Per la Tradizione è fondamentale la lettura dei “padri”. Si intende per Padre della Chiesa un autore che raccoglie nella sua persona queste caratteristiche: antichità (quindi vicinanza all’origine), santità, ortodossia e grande cultura. La patristica è un Mare magnum difficilmente sintetizzabile soprattutto dal punto di vista bibliografico. Si può partire da alcuni classici pubblicati dalla casa editrice Mimep-Docete a cura di Giorgio de Capitani: I padri apostolici, in quattro volumi. Il manuale di riferimento, che contiene tutte le notizie bio-bibliografiche essenziali sui Padri rimane il classico Berthold Altaner, Patrologia, Marietti, Genova 1981. Una ottima introduzione allo “spirito” dei padri è: Enzo Bellini, I Padri nella tradizione cristiana, Jaca Book, Milano 1982.
Imparare la teologia è un po’ come imparare una lingua nuova, per cui ci vuole un buon dizionario. Veramente utile allo scopo è: Louis Bouyer, Breve Dizionario Teologico, Edizioni Dehoniane, Bologna 1993. Ha il pregio di non esporre la teologia personale dell’autore, ma di spiegare sobriamente e con chiarezza i termini fondamentali della teologia comune.
“Gli organi – diceva Galileo Gallei – si imparano da chi li sa sonare”. La teologia la si impara soprattutto dai grandi teologi, che sono di norma anche dei santi (per le ragioni che abbiamo visto prima). Oltre ai Padri la Chiesa addita ai fedeli un gruppo di maestri – chiamati dottori della Chiesa – che sono un po’ come i “classici” del pensiero teologico cristiano. Per essere dottore della Chiesa bisogna avere tre caratteristiche: santità, dottrina e proposizione da parte della Chiesa. Sono dottori ma il loro insegnamento non è dello stesso tipo di quello del magistero, solo alcuni di loro infatti sono anche vescovi o papi. Attualmente sono trentatré di cui anche tre donne. Sul tema si veda il recentissimo: Bernard McGinn, I dottori della Chiesa. Trentatré uomini e donne che hanno dato forma al cristianesimo (Giornale di Teologia 289), Brescia: Queriniana, 2002.
Tra questi classici un posto tutto particolare è occupato da san Tommaso d’Aquino, perché la Chiesa lo riconosce come maestro di teologia e modello del far teologia. Le Edizioni Studio Domenicano di Bologna stanno ultimando l’opera benemerita di una edizione di san Tommaso bilingue. Già sono disponibili in italiano le opere principali: la Somma Teologica e la Somma contro i Gentili.
In mezzo a questa folta schiera di classici, che rimane il punto di riferimento privilegiato, il principiante sente l’esigenza di qualcosa di succinto, che possa svolgere la funzione dei famosi “bigini” di scolastica memoria. Un’ottima sintesi (tutt’altro che un insipido “bigino”) è costituita da: Card. Giacomo Biffi, Esplorando il disegno. Catechesi in Università, Elle Di Ci, Leumann (TO) 1994. I “manuali” di teologia hanno i loro vantaggi e i loro rischi (cfr. Giuseppe Colombo, Perché la teologia, La Scuola, Brescia 1980). I rischi sono quelli di frazionare la teologia che è essenzialmente una in tanti trattati a sé stanti, di offuscare il senso del mistero con un eccesso di semplificazione e di creare illusioni sulla loro capacità di tutto contenere e tutto spiegare, originando una specie di gnosi a buon mercato, per cui ciò che non figura nel manuale non ha dignità teologica… Ce ne sono però di molto buoni nel loro genere, come quelli che sta pubblicando l’editore Apollinare Studi (collana Sussidi di Teologia).
A questo punto vi auguro buona lettura e… non dimenticate l’inginocchiatoio.