23 ottobre 2022 – Si entra nel Tempio per portare Dio nella realtà quotidiana, dopo aver adeguatamente scavato dentro la nostra interiorità
di Michele Brambilla
Papa Francesco spiega nel corso dell’Angelus del 23 ottobre che «il Vangelo della Liturgia odierna ci presenta una parabola che ha due protagonisti, un fariseo e un pubblicano (cfr Lc 18,9-14), cioè un uomo religioso e un peccatore conclamato. Entrambi salgono al tempio a pregare, ma soltanto il pubblicano si eleva veramente a Dio, perché con umiltà scende nella verità di sé stesso e si presenta così com’è, senza maschere, con le sue povertà».
«Il primo movimento», evidenzia il Papa, «è salire». L’antico Israele ha sempre concepito il pellegrinaggio a Gerusalemme come un moto di ascesa verso Dio, infatti «Abramo sale sul monte per offrire il sacrificio; Mosè sale sul Sinai per ricevere i comandamenti; Gesù sale sul monte, dove viene trasfigurato. Salire, perciò, esprime il bisogno del cuore di staccarsi da una vita piatta per andare incontro al Signore; di elevarsi dalle pianure del nostro io per salire verso Dio – liberarsi del proprio io –; di raccogliere quanto viviamo a valle per portarlo al cospetto del Signore», per poi compiere la dinamica speculare, ovvero protendersi verso i fratelli in umanità. Il Santo Padre specifica che, all’interno di questo movimento, esiste anche un’altra dinamica, ovvero l’introspezione: scendere significa che «per salire verso di Lui dobbiamo scendere dentro di noi: coltivare la sincerità e l’umiltà del cuore, che ci donano uno sguardo onesto sulle nostre fragilità e le nostre povertà interiori. Nell’umiltà, infatti, diventiamo capaci di portare a Dio, senza finzioni, ciò che realmente siamo, i limiti e le ferite, i peccati, le miserie che ci appesantiscono il cuore, e di invocare la sua misericordia perché ci risani, ci guarisca, ci rialzi. Sarà Lui a rialzarci» con la grazia del perdono.
Questo è quel che sperimenta il pubblicano della parabola narrata da Cristo. Il fariseo diventa, invece, l’emblema della superbia spirituale perché dice di se stesso «“Non sono come quello là…”. Perché questo fa la superbia spirituale – “Ma padre, perché ci parla della superbia spirituale?”. Perché tutti noi rischiamo di cadere in questo –. Essa ti porta a crederti per bene e a giudicare gli altri. Questa è la superbia spirituale: “Io sto bene, io sono migliore degli altri: questo è la tal cosa, quello è la tal altra…”. E così, senza accorgerti, adori il tuo io e cancelli il tuo Dio», ammonisce il Pontefice, che rievoca in proposito anche un pettegolezzo ascoltato in gioventù nei confronti di un prete: «“Quello, quando fa l’incensazione, la fa a rovescio, si autoincensa”».
Il cattolico non deve essere, quindi, un «“io-con me-per me-solo io”», bensì, parafrasando, un “io-con-me-per-tutti”. Così deve essere, per esempio, un governo appena insediato, pertanto, dopo aver elencato i pellegrini italiani, il Santo Padre aggiunge che «oggi, all’inizio di un nuovo Governo, preghiamo per l’unità e la pace dell’Italia». Parole molto significative, se si pensa che, per oltre un decennio, l’Italia è stata preda di forze, esterne e interne, che puntavano a disarticolare, senza un vero mandato popolare, il corpo sociale e gli stessi individui nella propria identità personale. Come si è potuto constatare, è proprio così che nascono le tensioni e i conflitti.
E a proposito di guerre, il Papa dà appuntamento martedì 25 ottobre al Colosseo, dove presiederà un momento di preghiera per la pace in Ucraina, su proposta della Comunità di S. Egidio.