Mercoledì 19 aprile 2023. I martiri di ieri e di oggi sono testimoni fino all’effusione del sangue del Vangelo. Il martirio non è il destino obbligato di ogni cristiano, ma tutti devono conservare lo stesso amore oblativo
di Michele Brambilla
Nell’udienza del 19 aprile, «parlando dell’evangelizzazione e parlando dello zelo apostolico, dopo aver considerato la testimonianza di san Paolo, vero “campione” di zelo apostolico, oggi il nostro sguardo si rivolge non a una figura singola, ma alla schiera dei martiri, uomini e donne di ogni età, lingua e nazione che hanno dato la vita per Cristo, che hanno versato il sangue per confessare Cristo», sottolinea Papa Francesco.
«I martiri: il primo fu il diacono santo Stefano, lapidato fuori dalle mura di Gerusalemme», come si legge negli Atti degli Apostoli. Dal punto di vista etimologico, «la parola “martirio” deriva dal greco martyria, che significa proprio testimonianza. Un martire è un testimone, uno che dà testimonianza fino a versare il sangue», e proprio con questa accezione è entrato nel vocabolario della Chiesa. «I martiri, però, non vanno visti come “eroi” che hanno agito individualmente, come fiori spuntati in un deserto, ma come frutti maturi ed eccellenti della vigna del Signore, che è la Chiesa. In particolare, i cristiani, partecipando assiduamente alla celebrazione dell’Eucaristia, erano condotti dallo Spirito a impostare la loro vita sulla base di quel mistero d’amore: cioè sul fatto che il Signore Gesù aveva dato la sua vita per loro, e dunque anche loro potevano e dovevano dare la vita per Lui e per i fratelli», come evidenzia sant’Agostino d’Ippona parlando del martire romano san Lorenzo. «San Lorenzo era diacono della Chiesa di Roma. Ivi era ministro del sangue di Cristo e là, per il nome di Cristo, versò il suo sangue. Il beato apostolo Giovanni espose chiaramente il mistero della Cena del Signore, dicendo: “Come Cristo ha dato la sua vita per noi, così anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” (1 Gv 3,16). Lorenzo, fratelli, ha compreso tutto questo. L’ha compreso e messo in pratica. E davvero contraccambiò quanto aveva ricevuto in tale mensa. Amò Cristo nella sua vita, lo imitò nella sua morte» (Disc. 304, 14; PL 38, 1395-1397).
«Oggi, cari fratelli e sorelle, ricordiamo tutti i martiri che hanno accompagnato la vita della Chiesa», dalle origini fino ai giorni nostri, che, ammonisce ancora una volta il Pontefice, vedono versare molto più sangue cristiano dei primi tre secoli. «I martiri, a imitazione di Gesù e con la sua grazia, fanno diventare la violenza di chi rifiuta l’annuncio una occasione suprema di amore, che arriva fino al perdono dei propri aguzzini. Interessante, questo: i martiri perdonano sempre gli aguzzini» e pregano per essi affinché anche loro condividano, un giorno, l’eterna gloria del Cielo.
Il Santo Padre specifica che, «sebbene siano solo alcuni quelli a cui viene chiesto il martirio, “tutti però devono essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini e a seguirlo sulla via della croce durante le persecuzioni, che non mancano mai alla Chiesa” (Lumen gentium, 42)». Francesco si sofferma in particolare sul martirio delle donne cattoliche. Menzionando lo Yemen, cita esplicitamente le tante Missionarie della Carità (l’ordine fondato da santa Teresa di Calcutta) uccise dai terroristi islamici in quei luoghi. «Nel luglio 1998 Suor Aletta, Suor Zelia e Suor Michael, mentre tornavano a casa dopo la Messa sono state uccise da un fanatico, perché erano cristiane. Più recentemente, poco dopo l’inizio del conflitto ancora in corso, nel marzo 2016, Suor Anselm, Suor Marguerite, Suor Reginette e Suor Judith sono state uccise insieme ad alcuni laici che le aiutavano nell’opera della carità tra gli ultimi. Sono i martiri del nostro tempo», ripete ancora il Pontefice.