di don Giovanni Poggiali
Già Pio XII (1939-1958) diceva che “il peccato del secolo è la perdita del senso del peccato” (citato da Giovanni Paolo II [1978-2005] nell’Esortazione Apostolica post-sinodale Reconciliatio et Paenitentia [RP] del 1984, n.18). La perdita del senso morale, l’attenuarsi della capacità di distinguere il bene dal male, l’oscuramento della coscienza, sembrano essere una caratteristica dominante del nostro tempo che giunge ad accettare nella mentalità comune, nel costume e nelle leggi, addirittura il rifiuto del fondamentale diritto alla vita della persona.
Giovanni Paolo II, nella sua enciclica Evangelium vitae (EV) sul valore e inviolabilità della vita umana, scrisse queste significative parole rivolgendosi alle donne, dopo aver ribadito la gravità morale dell’aborto procurato che appare in tutta la sua verità se si riconosce che si tratta di un vero e proprio omicidio (cf. EV 57): “Un pensiero speciale vorrei riservare a voi, donne che avete fatto ricorso all’aborto. La Chiesa sa quanti condizionamenti possono aver influito sulla vostra decisione, e non dubita che in molti casi s’è trattato d’una decisione sofferta, forse drammatica. Probabilmente la ferita nel vostro animo non s’è ancora rimarginata. In realtà, quanto è avvenuto è stato e rimane profondamente ingiusto. Non lasciatevi prendere, però, dallo scoraggiamento e non abbandonate la speranza. Sappiate comprendere, piuttosto, ciò che si è verificato e interpretatelo nella sua verità. Se ancora non l’avete fatto, apritevi con umiltà e fiducia al pentimento: il Padre di ogni misericordia vi aspetta per offrirvi il suo perdono e la sua pace nel sacramento della Riconciliazione. Allo stesso Padre e alla sua misericordia potete affidare con speranza il vostro bambino. Aiutate dal consiglio e dalla vicinanza di persone amiche e competenti, potrete essere con la vostra sofferta testimonianza tra i più eloquenti difensori del diritto di tutti alla vita. Attraverso il vostro impegno per la vita, coronato eventualmente dalla nascita di nuove creature ed esercitato con l’accoglienza e l’attenzione verso chi è più bisognoso di vicinanza, sarete artefici di un nuovo modo di guardare alla vita dell’uomo” (EV 99).
In questo intervento magisteriale del 1995, la Chiesa mostrava la sua costante maternità, la sua tenerezza e la sua comprensione per l’umana fragilità, per il peccato, ma manifestava anche la verità delle cose indicando l’aborto come “l’uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita” (EV 58). Il Papa, nel suo accorato intervento, voleva certamente unire il riconoscimento della estrema gravità del peccato di aborto (al quale, non dimentichiamolo, è associata la scomunica latae sententiae, cioè immediata, cf. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2272), con la manifestazione della misericordia del Padre verso qualsiasi colpa, anche grave, colpa che rimane sempre più piccola rispetto alla grandezza del Cuore di Dio. E certamente, lo si evince dalle sue parole, Giovanni Paolo II aveva presente quella grande sofferenza che colpisce le donne che hanno abortito, la sindrome post-aborto, dopo l’eliminazione del bambino dal loro grembo, sindrome che comporta stress prolungati, sensi di colpa, angoscia, solitudine, addirittura in qualche caso istinto suicida, con un bisogno di riparazione verso quel bambino che non c’è più, per aver distrutto il legame affettivo e fisico, unico in natura, tra la madre ed il figlio. Queste donne, per paura della condanna, si allontanano dalla Chiesa e dalla fede, cambiano abitudini sociali ed affettive, e manifestano problemi di relazionalità. Ma, come scrive Maria Luisa Di Pietro – co-presidente dell’associazione Scienza e Vita – “l’impegno dei medici e della società non deve essere quello di rendere l’aborto più facile, quanto piuttosto di offrire alla donna valide alternative ad una scelta così dolorosa per lei e causa di morte di tante vite umane” (Aborto, Edizioni Viverein, Roma-Monopoli 2009, p.73).
Quale è allora il compito della Chiesa verso la donna che ha abortito? Il mandato ricevuto da Cristo, che è uno degli stessi compiti primari della Chiesa, è “la riconciliazione dell’uomo: con Dio, con se stesso, con i fratelli, con tutto il creato” (cf. RP 8). Attraverso la Chiesa, la donna che ha sbagliato può ottenere la misericordia di Dio convertendosi con un autentico pentimento. Questo cambiamento del cuore, che investe tutta la persona – pensieri, parole, azioni –, deve trasformarsi in veri gesti d’amore, che mostrino il desiderio di riparare il male compiuto. Solo in questo modo, con il dono della grazia del perdono e dell’infinita misericordia di Dio, la donna (e qualsiasi persona che abbia commesso un peccato grave) può riconciliarsi con il Signore e con se stessa, ristabilendo un rapporto personale d’amicizia con Dio, senza il quale non c’è vera ed autentica vita, recuperando l’autostima e il rapporto di piena identità e integrità con se stessa. È necessario, quindi, chiedere il perdono di Dio. Ancora, nella Reconciliatio et Paenitentia, Giovanni Paolo II scriveva che “la riconciliazione (…) per essere piena, esige necessariamente la liberazione dal peccato, rifiutato nelle sue più profonde radici” (4). L’unico modo per allontanarsi dal peccato è la conversione, il pentimento, l’autentica contrizione: “La penitenza, pertanto, è la conversione che passa dal cuore alle opere e, quindi, all’intera vita del cristiano” (idem). La riconciliazione con Dio, con se stessi, con i fratelli e con tutto il creato non è possibile senza una conversione personale profonda del cuore, e questo è sempre un dono di Dio che deve incontrare la libera volontà dell’essere umano: “Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione” (2 Cor 5,18-19). Ecco il compito della Chiesa.
Purtroppo, in molta parte dell’opinione pubblica, la Chiesa è vista come nemica delle donne e sembra non desideri per loro una vera ed autentica liberazione. L’immagine di severità e di “integrismo”, viene applicata ad arte alla Chiesa da alcuni media che, proiettando così un’immagine falsata della stessa nella mente e nel cuore delle persone, la presentano come causa di molti mali della nostra vita, quasi che senza di essa saremmo più liberi. Ma la Chiesa non si preoccupa soltanto di proteggere la vita di coloro che non sono ancora nati. Essa ha a cuore il destino di ogni uomo, soprattutto di coloro che sono i poveri tra i più poveri. La grande povertà di una donna che ha abortito, perdendo nel figlio una così grande ricchezza, spinge la Chiesa ad offrire il perdono, la misericordia, la cura costante per non abbandonare chi ha peccato magari solo per ignoranza o per diversi condizionamenti. Vari e importanti progetti di accompagnamento umano, spirituale e psicologico, sono stati realizzati e sono portati avanti nel corpo ecclesiale per iniziativa di sacerdoti e laici impegnati nella difesa della cultura della vita (pensiamo, ad esempio, al “Movimento per la vita” italiano o al “Progetto Rachele” in America). Questi programmi di impegno per la guarigione delle donne che hanno abortito, per salvarle da un dolore autodistruttivo, questi progetti di orientamento verso un’autentica cultura della vita, sono presenti in varie parti del mondo grazie all’amore e all’entusiasmo di tante persone, uomini e donne. Tramite questi itinerari si giunge alla guarigione di ferite profonde, soprattutto a perdonare se stessi, che è la cosa più difficile in colei che ha praticato l’aborto. Molte donne che avevano abortito, una volta recuperate con il perdono e vinto il senso di colpa, diventano attive sostenitrici del diritto alla vita, riscattandosi pienamente. Se solo pensiamo alla famosa sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America Roe contro Wade – del 1973, che ha sancito il diritto di aborto rovesciando così le leggi statali e federali che proibivano o restringevano l’aborto stesso – ci troviamo di fronte alla signora Norma Leah McCorvey che, con lo pseudonimo legale di Jane Roe, fu usata da abili avvocati per introdurre la libertà di aborto negli Stati Uniti. Oggi, questa signora, è un’attivista antiabortista convertita alla Chiesa Cattolica e dice che la Grazia di Dio può guarire il cuore delle donne vinte dall’amore.
Romano Guardini (1885-1968), nel lontano 1949, poneva il punto di vista decisivo sulla questione dell’aborto: “La vita dell’uomo non può essere violata perché l’uomo è persona. Persona significa capacità di autodominio e di responsabilità personale, capacità di vivere nella verità e nell’ordine morale. La persona non è un che di natura psicologica, bensì esistenziale. Non dipende fondamentalmente da età o condizioni psico-fisiche o doti naturali, bensì dall’anima spirituale che è in ogni uomo” (Il diritto alla vita prima della nascita, Morcelliana, Brescia 2005, p.17). L’anima spirituale immortale, creata da Dio, è posta nella madre che deve far crescere, tutelare e proteggere il bambino, corpo e anima. Egli ha diritto di amare, ha diritto di ricevere la vita, perché la donna dà la vita. Questo bambino, pur essendo “in immediato rapporto con la madre, (…) formandosi si sottrae a lei seguendo la propria destinazione interiore” (idem). La Chiesa sa e crede che tale destinazione, come per la madre, è Dio, la Vita eterna. A Lui la vita appartiene. E la madre deve lasciare che tale destinazione giunga a compimento. Per le donne che rifiutano questo c’è la misericordia, il perdono, la riconciliazione, se solo esse aprono il cuore, perché la Chiesa ha il dovere di annunciare che non esiste peccato che non possa essere perdonato da Colui che è morto per noi peccatori e il cui amore ci possiede (cf. 2 Cor 5,14). Il perdono e la guarigione dopo l’aborto sono possibili. Condannare l’aborto non significa condannare le persone che l’hanno compiuto, ma occorre riconoscere la realtà e dare al dolore interiore una valida espressione. Dio amerà ancora la donna che ha praticato l’aborto e le dice: “Io ti amerò sempre, và e d’ora in poi non peccare più” (cf. Gv 8,11).
Bibliografia
Catechismo della Chiesa Cattolica, dal n. 2270 al n. 2275.
Giovanni Paolo II, Enciclica Evangelium Vitae, 25 Marzo 1995.
Maria Luisa Di Pietro, Aborto, Edizioni Viverein, Collana “Le Chiavi”, Roma-Monopoli 2009.
Romano Guardini, Il diritto alla vita prima della nascita, Morcelliana, Brescia 2005.
Antonio Socci, Il genocidio censurato. Aborto: un miliardo di vittime innocenti, Piemme, Casale Monferrato 2006.