Giovedì 24 novembre. Papa Francesco analizza lo stato di gioia interiore, che è anch’esso un potente motore della missione ecclesiale. Parlando di Ucraina, il Papa cita significativamente l’Holodomor, lo sterminio dei contadini ucraini voluto da Stalin
di Michele Brambilla
Dopo la desolazione, Papa Francesco analizza, nell’udienza del 23 novembre, lo stato opposto, ovvero la consolazione dell’anima. Ne dà una prima definizione dicendo che essa «è un’esperienza di gioia interiore, che consente di vedere la presenza di Dio in tutte le cose; essa rafforza la fede e la speranza, e anche la capacità di fare il bene». Precisamente, «la consolazione è un movimento intimo, che tocca il profondo di noi stessi. Non è appariscente ma è soave, delicata, come una goccia d’acqua su una spugna (cfr S. Ignazio di L., Esercizi spirituali, 335): la persona si sente avvolta dalla presenza di Dio, in una maniera sempre rispettosa della propria libertà. Non è mai qualcosa di stonato che cerca di forzare la nostra volontà, non è neppure un’euforia passeggera», spiega il Pontefice: «al contrario, come abbiamo visto, anche il dolore – ad esempio per i propri peccati – può diventare motivo di consolazione».
Non si tratta, quindi, di una sensazione di benessere esteriore. «Pensiamo all’esperienza vissuta da Sant’Agostino quando parla con la madre Monica della bellezza della vita eterna; o alla perfetta letizia di San Francesco – peraltro associata a situazioni molto dure da sopportare –; e pensiamo a tanti santi e sante che hanno saputo fare grandi cose, non perché si ritenevano bravi e capaci, ma perché conquistati dalla dolcezza pacificante dell’amore di Dio», continua il Papa. Come ricorda lo stesso Santo Padre, «è la pace che prova Edith Stein dopo la conversione; un anno dopo aver ricevuto il Battesimo, ella scrive – così dice Edith Stein: “Mentre mi abbandono a questo sentimento, a poco a poco una vita nuova comincia a colmarmi e – senza alcuna tensione della mia volontà – a spingermi verso nuove realizzazioni. Questo afflusso vitale sembra sgorgare da un’attività e da una forza che non è la mia e che, senza fare alla mia alcuna violenza, diventa attiva in me” (Psicologia e scienze dello spirito, Città Nuova, 1996, 116). Cioè una pace genuina è una pace che fa germogliare i buoni sentimenti in noi», aprendoci alla speranza autentica, quella teologale, propedeutica all’azione missionaria. Edith Stein (1891-1942), poi Teresa Benedetta della Croce una volta entrata nell’ordine carmelitano, provò questa consolazione anche nel lager nazista in cui fu deportata in quanto ebrea, ed è anche per questa testimonianza tenace di fede che oggi è patrona d’Europa.
Infatti «la consolazione riguarda anzitutto la speranza, è protesa al futuro, mette in cammino, consente di prendere iniziative fino a quel momento sempre rimandate, o neppure immaginate», con un’allegria autentica, pura, come quella dei bambini. Il Papa non esista a “scomodare” un altro gigante della fede per sottolineare che «la consolazione spirituale non è “pilotabile” – tu non puoi dire adesso che venga la consolazione, no, non è pilotabile – non è programmabile a piacere, è un dono dello Spirito Santo: consente una familiarità con Dio che sembra annullare le distanze. Santa Teresa di Gesù Bambino, visitando a quattordici anni, a Roma, la basilica di Santa Croce in Gerusalemme, cerca di toccare il chiodo lì venerato, uno di quelli con cui fu crocifisso Gesù. Teresa avverte questo suo ardimento come un trasporto d’amore e di confidenza. E poi scrive: “Fui veramente troppo audace. Ma il Signore vede il fondo dei cuori, sa che l’intenzione mia era pura […]. Agivo con lui da bambina che si crede tutto permesso e considera come propri i tesori del Padre” (Manoscritto Autobiografico, 183). La consolazione è spontanea, ti porta a fare tutto spontaneo, come se fossimo bambini», insiste, perché «i bambini sono spontanei, e la consolazione ti porta ad essere spontaneo con una dolcezza, con una pace molto grande. Una ragazza di quattordici anni ci dà una descrizione splendida della consolazione spirituale: si avverte un senso di tenerezza verso Dio, che rende audaci nel desiderio di partecipare della sua stessa vita, di fare ciò che gli è gradito, perché ci sentiamo familiari con Lui, sentiamo che la sua casa è la nostra casa, ci sentiamo accolti, amati, ristorati».
Proprio per questo, anche la consolazione deve essere sottoposta ad un attento discernimento: «dobbiamo distinguere bene la consolazione che è di Dio, dalle false consolazioni. Nella vita spirituale avviene qualcosa di simile a quanto capita nelle produzioni umane: ci sono gli originali e ci sono le imitazioni. Se la consolazione autentica è come una goccia su una spugna, è soave e intima, le sue imitazioni sono più rumorose e appariscenti, sono puro entusiasmo, sono fuochi di paglia, senza consistenza, portano a ripiegarsi su sé stessi, e a non curarsi degli altri. La falsa consolazione alla fine ci lascia vuoti, lontani dal centro della nostra esistenza», che sono Dio e i nostri fratelli in umanità.
Pensando proprio alla missione, Francesco rammenta ai pellegrini di lingua portoghese che «domenica scorsa si è celebrata nelle diocesi la Giornata Mondiale della Gioventù, con il pensiero rivolto all’incontro dei giovani che si terrà a Lisbona nel prossimo anno. La gioia di ritrovarci e la volontà di essere insieme sono segni fondamentali per il mondo di oggi, straziato dagli scontri e dalle guerre»: il mondo attende la pace che solo il Figlio di Dio può donargli. «Preghiamo per la pace nel mondo e per la fine di tutti i conflitti, con un pensiero particolare per le terribili sofferenze del caro e martoriato popolo ucraino. In proposito», ed è un riferimento molto importante, «sabato prossimo ricorre l’anniversario del terribile genocidio del Holodomor, lo sterminio per la fame nel 1932-33 causato artificiosamente da Stalin in Ucraina. Preghiamo per le vittime di questo genocidio e preghiamo per tanti ucraini, bambini, donne e anziani, bimbi, che oggi soffrono il martirio dell’aggressione».