di Don Pietro Cantoni
La diversità dei riti liturgici è un aspetto della vita della Chiesa spesso poco conosciuto e quindi spesso frainteso. È frequente sentir dire per es. che una Messa è stata celebrata in “rito ortodosso”, confondendo la forma rituale con l’appartenenza ad una Chiesa che non è in piena comunione con Roma.
Difficile in poche righe affrontare un argomento che è assai complesso e si trova nel punto di intersezione tra diverse discipline: la teologia, la liturgia, la storia e il diritto canonico… Si può comunque dare un breve inquadramento e – soprattutto – qualche indicazione bibliografica per chi volesse approfondire un tema che, se è difficile, non cessa però di essere affascinante. La differenza dei riti liturgici infatti esprime l’inesauribile ricchezza del mistero creduto e celebrato nella Chiesa. Il fatto che il mistero dell’eucaristia (con tutti gli altri sacramenti) venga celebrato in lingue e forme rituali diverse e questo fin dagli inizi, non è solo il risultato della necessaria inculturazione della fede ma è anche il riflesso di tradizioni apostoliche diverse.
Che cos’è propriamente un rito liturgico? Ecco come risponde il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali recentemente (1990) promulgato da Giovanni Paolo II: “Il rito è il patrimonio liturgico, teologico, spirituale e disciplinare, distinto per cultura e circostanze storiche di popoli, che si esprime in un modo di vivere la fede che è propria di ciascuna Chiesa sui iuris” (can. 28, § 1). Sono sui iuris quelle Chiese che la suprema autorità della Chiesa riconosce espressamente o tacitamente come dotate di una loro peculiare tradizione e autonomia. “Nella Chiesa universale, in Occidente il rito latino ha origine dalla tradizione romana e in Oriente dalle cinque grandi tradizioni matrici […]. Le tradizioni orientali, capostipiti dei vari riti orientali, sono tre nell’ambito dell’impero romano: Alessandria, Antiochia (con Gerusalemme), Costantinopoli (con la Cappadocia); due ai margini dell’impero: la siro-orientale per la Mesopotamia e la Persia, e l’armena, sviluppatasi dalla tradizione antiochena con influssi della tradizione costantinopolitana” (Dizionario Enciclopedico dell’Oriente Cristiano, pp. 634-635).
Volendoci limitare ai riti principali, dovremmo segnalare, nell’ambito del rito latino, il rito romano e quello ambrosiano, che è il rito della diocesi di Milano. Nell’ambito della tradizione Costantinopolitana il rito bizantino che in Russia, Serbia, Bulgaria ecc. diventa bizantino-slavo. In quella siriaca, il rito siro-antiocheno, a cui deve essere accostato il rito maronita (Libano), e quello siro-orientale (“assiro” o “caldeo”) con il rito siro-malabarese, proprio delle comunità cristiane che in India si ricollegano alla tradizione di san Tommaso Apostolo (i “cristiani di san Tommaso”). Alla tradizione Alessandrina appartiene il rito copto, a cui si ricollega anche il rito etiopico; mentre il rito armeno, espressione liturgica dell’antichissima Chiesa Armena, raccoglie influssi di diverse tradizioni, soprattutto quella antiochena e costantinopolitana. “La diversità liturgica può essere fonte di arricchimento, ma può anche provocare tensioni, reciproche incomprensioni e persino scismi. In questo campo è chiaro che la diversità non deve nuocere all’unità. Essa non può esprimersi che nella fedeltà alla fede comune, ai segni sacramentali, che la Chiesa ha ricevuto da Cristo, e alla comunione gerarchica. L’adattamento alle culture esige anche una conversione del cuore e, se è necessario, anche rotture con abitudini ancestrali incompatibili con la fede cattolica” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1206). La riforma del rito romano che è seguita al Concilio Vaticano II, la più importante riforma liturgica di tutta la storia della Chiesa, ha incontrato – soprattutto in seguito ad applicazioni arbitrarie e aberranti – una certa resistenza all’interno della Chiesa latina. Un certo numero di fedeli continuano a sentirsi legati alle forme liturgiche precedenti. La Chiesa sembra ormai orientata ad accogliere questi sentimenti: “L’antico rito romano conserva […] nella Chiesa il suo diritto di cittadinanza nella multiformità dei riti cattolici, sia latini che orientali. Ciò che unisce la diversità di questi riti è la stessa fede nel Mistero Eucaristico, la cui professione ha sempre assicurato l’unità della Chiesa, santa, cattolica ed apostolica” (card. Darío Castrillón Hoyos, omelia del 24 maggio 2003 in Santa Maria Maggiore). Con l’approvazione della suprema autorità si configurerebbe così uno vero e proprio rito (“rito romano antico”) nell’ambito della famiglia dei riti liturgici della Chiesa latina. Un’ulteriore espressione della ricchezza del mistero della Chiesa e un importante contributo alla sua unità.
Bibliografia
Edward G. Farrugia, S.J. (a c. di), Dizionario enciclopedico dell’Oriente Cristiano, Pontificio Istituto Orientale, Roma 2000.
Irénée-Henri Dalmais, O.P., Le liturgie orientali, Edizioni Paoline, Roma 1982.
Robert F. Taft, Storia sintetica del rito bizantino, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1999.
Nicolas Liesel, Les Liturgies catholiques orientales. Commentaire et schémas analytiques avec cartes géographiques, Pontificia Università Gregoriana, Roma 1958.
Idem, Les Liturgies catholiques orientales. Par l’image. Liturgie eucharistique, Letouzey et Ané, Parigi 1959.
Enrico Mazza (a c. di), Segno di unità. Le più antiche eucaristie delle chiese, Qiqajon, Magnano (BI)1996.
Card. Darío Castrillón Hoyos, Con Maria, uniti a Pietro, nel venerabile rito romano di san Pio V, omelia tenuta a Roma nella basilica di Santa Maria Maggiore il 24 maggio 2003, in: Cristianità n. 317, anno XXXI (2003), pp. 3-6.