Domenica 17 marzo 2024. Proprio sulla croce, infatti, il Signore ci insegna che la vera gloria è dono e perdono
di Michele Brambilla
«Oggi, quinta domenica di Quaresima, mentre ci avviciniamo alla Settimana Santa», evidenzia Papa Francesco introducendo l’Angelus del 17 marzo, «Gesù nel Vangelo (cfr Gv 12,20-33) ci dice una cosa importante: che sulla Croce vedremo la gloria sua e del Padre».
«Ma com’è possibile che la gloria di Dio si manifesti proprio lì, sulla Croce? Verrebbe da pensare che ciò avvenga nella Risurrezione, non sulla Croce, che è una sconfitta, un fallimento», dice il Papa. «Invece oggi Gesù, parlando della sua Passione, dice: “È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato”», riporta il Pontefice, ma «cosa vuole dirci?».
«Vuole dirci che la gloria, per Dio, non corrisponde al successo umano, alla fama o alla popolarità», prosegue il Santo Padre, dato che «la gloria, per Dio, non ha nulla di autoreferenziale, non è una manifestazione grandiosa di potenza cui seguono gli applausi del pubblico. Per Dio la gloria è amare fino a dare la vita. Glorificarsi, per Lui, vuol dire donarsi, rendersi accessibile, offrire il suo amore», come è stato perfettamente visibile nell’ora della Passione.
«Fratelli e sorelle, dalla Croce, “cattedra di Dio”, il Signore ci insegna che la gloria vera, quella che non tramonta mai e rende felici, è fatta di dono e perdono», perché «dono e perdono sono l’essenza della gloria di Dio. E sono per noi la via della vita. Dono e perdono: criteri molto diversi da ciò che vediamo attorno a noi, e anche in noi, quando pensiamo alla gloria come a qualcosa da ricevere più che da dare; come qualcosa da possedere anziché da offrire». La gloria così come ce la indica il Signore è imperitura, perché solo chi ha saputo amare viene ricordato volentieri.
Il Papa confida che «ho appreso con sollievo che ad Haiti sono stati liberati un’insegnante e quattro dei sei religiosi dell’Istituto Frères du Sacré-Cœur rapiti lo scorso 23 febbraio. Chiedo che siano liberati al più presto gli altri due religiosi e tutte le persone ancora sotto sequestro in quell’amato Paese provato da tanta violenza. Invito tutti gli attori politici e sociali ad abbandonare ogni interesse particolare e a impegnarsi in spirito solidale nella ricerca del bene comune, sostenendo una transizione serena verso un Paese che, con l’aiuto della Comunità internazionale, sia dotato di solide istituzioni capaci di riportare l’ordine e la tranquillità tra i suoi cittadini».
«Continuiamo» anche «a pregare per le popolazioni martoriate dalla guerra, in Ucraina, in Palestina e in Israele, in Sudan. E non dimentichiamo la Siria, un Paese che soffre tanto per la guerra, da tempo», ma se ne parla solo quando vi arriva qualche raid legato all’attuale conflitto mediorientale.