di Don Pietro Cantoni
Il Catechismo della Chiesa Cattolica sintetizza così il pensiero della Chiesa in tema di “rivelazioni private”: “Lungo i secoli ci sono state delle rivelazioni chiamate “private”, alcune delle quali sono state riconosciute dall’autorità della Chiesa. Esse non appartengono tuttavia al deposito della fede. Il loro ruolo non è quello di “migliorare” o di “completare” la Rivelazione definitiva di Cristo, ma di aiutare a viverla più pienamente in una determinata epoca storica. Guidato dal Magistero della Chiesa, il senso dei fedeli sa discernere e accogliere ciò che in queste rivelazioni costituisce un appello autentico di Cristo o dei suoi santi alla Chiesa. La fede cristiana non può accettare “rivelazioni” che pretendono di superare o correggere la Rivelazione di cui Cristo è il compimento. È il caso di alcune Religioni non cristiane ed anche di alcune recenti sette che si fondano su tali “rivelazioni”” (n. 67).
La rivelazione nel suo fondamento remotissimo è “da sempre” in Dio. Dio da tutta l’eternità si dice, si esprime con amore. Questa sua parola è a sua volta rivolta con amore al suo principio, così che – nell’amore dello Spirito Santo – Padre e Figlio sono con Lui un unico Dio. Un Dio però che da sempre si dice, si comunica. Dio con la sua parola crea il mondo e nel mondo qualcuno che possa essere suo interlocutore. Così si manifesta nell’ordine del cosmo e nella luce della mente dell’uomo che è come un sigillo del suo Verbo. Ma a questa prima rivelazione, che possiamo chiamare naturale o “cosmica”, ne segue un’altra soprannaturale o “profetica”: molte volte e in molti modi infatti Dio parla all’uomo attraverso i profeti, finché – nella pienezza del tempo – la sua eterna Parola si fa carne (cfr. Eb 1,1). La rivelazione eterna di Dio si compie nel tempo nella persona e nella vita di Gesù di Nazaret, in cui abita la pienezza della divinità (cfr. Col 2,9). Ma se in Cristo la rivelazione si compie, che senso possono avere ormai altre rivelazioni? Sono note le parole di san Giovanni della Croce: “Dandoci il Figlio suo, che è la sua parola, l’unica che Egli pronunzi, in essa ci ha detto tutto in una sola volta e non ha più niente da manifestare” (Salita del monte Carmelo, libro 2, cap. 22).
La rivelazione non si conclude dunque per una sorta di suo atto arbitrario di Dio, ma perché donandoci Cristo, il suo Verbo eterno, necessariamente con lui ci dice tutto ciò che da un punto di vista contenutistico vi è da dire. Alla Chiesa è affidato questo dono – il “deposito della fede” – da custodire, spiegare, applicare alle differenti situazioni della storia. La Chiesa non è lasciata sola da Dio in questo compito così difficile – anzi propriamente impossibile a sole forze umane – ma la arricchisce dei doni a ciò necessari. Sono come delle provvidenze che accompagnano la Chiesa nel suo cammino e la sostengono.
La più importante di queste “provvidenze” è il carisma del Magistero, un carisma stabile, per cui il Papa e i vescovi, come successori degli Apostoli sono assistiti nel loro insegnamento che – a determinate condizioni – è infallibile e comunque sempre più sicuro di qualunque altra istanza umana. Poi nella Chiesa c’è chi si sforza di approfondire scientificamente la fede, i teologi. Anche i santi non mancano mai, come testimoniano le beatificazioni e le canonizzazioni che si susseguono in questi ultimi tempi, con cui la Chiesa non “fa” i santi e i beati, ma mette in luce quello che c’è stato nella sua storia anche molto prossima, togliendo la lampada di sotto il moggio perché faccia luce a tutta la stanza. Nella Chiesa c’è poi il senso dei fedeli, quell’istinto della fede che precede ogni riflessione e che si manifesta soprattutto nella fede dei semplici e degli illetterati, che si nutre di preghiera personale, della liturgia e della religiosità popolare. È proprio nel contesto della religiosità popolare che più vivacemente si esprime la sensibilità nei confronti delle apparizioni e delle rivelazioni private.
Certamente è importante fare discernimento, perché non è tutto oro quello che luccica, ma è almeno altrettanto sbagliato avere nei confronti di questo mondo un preconcetto atteggiamento di rifiuto. Non sarebbe questo l’atteggiamento che ci insegnano le Scritture. Nella prima lettera ai Tessalonicesi, forse il più antico scritto del Nuovo Testamento, troviamo questa norma di comportamento: “Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie; esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono” (1 Ts 5,19-21). Lo stesso concetto è ribadito nella prima lettera di Giovanni: “Carissimi, non credete a ogni spirito, ma esaminate gli spiriti, per saggiare se provengono veramente da Dio” (I Gv 4,1).
Non è mia intenzione qui entrare nel merito dei criteri di discernimento delle rivelazioni private, tuttavia da quanto detto emergono alcune chiare indicazioni: negativamente il fatto di non contraddire, né pretendere di completare la definitiva rivelazione che è Cristo, positivamente il fatto di rimandare con chiarezza e decisione a Cristo stesso e quindi il suo carattere chiaramente ecclesiale, che naturalmente tende a compiersi in una approvazione da parte dell’autorità della Chiesa.
In quest’ottica non dovrebbe esser più così difficile cogliere il senso e il proprio luogo teologico delle rivelazioni private: accanto al Magistero vivente, alla riflessione teologica, al senso e istinto della fede dei credenti è una delle provvidenze che Dio non fa mai mancare alla sua Chiesa perché la Rivelazione in essa sia sempre viva, attuale ed efficace.
Per san Tommaso d’Aquino le rivelazioni (le profezie!) continuano anche dopo la conclusione della Rivelazione pubblica, non però per completarla ma per dirigere i comportamenti degli uomini in conformità ad essa: “In ogni periodo, non sono mancati alcuni dotati di spirito profetico, non in verità per proporre una nuova dottrina, ma per dirigere l’attività umana” (II II, q. 174, a. 6, ad 3.).
Bibliografia:
Joseph Ratzinger, Commento teologico, in: Congregazione per la Dottrina della Fede, Il messaggio di Fatima, 26 giugno 2000.
René Laurentin, Apparizioni, in: Stefano De Fiores – Salvatore Meo (edd.), Nuovo Dizionario di Mariologia, S. Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1986, pp. 113-124.
Pierre Adnès, S.J., Rivelazioni private, in René Latourelle, S.J. – Rino Fisichella (edd.), Dizionario di Teologia Fondamentale, Cittadella, Assisi 1990, pp. 1066-1070.
Pietro Cantoni, Rivelazione, rivelazioni private, nuove rivelazioni: Criteri e problemi teologici cattolici per un discernimento, in: Massimo Introvigne (a c. di), Le nuove rivelazioni, Elle Di Ci, Leumann (TO) 1991, pp. 251-273.
Augustinus (Kyung-Ryong) Suh, Le rivelazioni private nella vita della Chiesa, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2000.