Il Timone, febbraio 2008
don Pietro Cantoni
“Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.
Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate. Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male” (Mt6,5-13).
Il “Padre nostro” è riportato nei Vangeli in due versioni: una lunga, quella di Matteo, che riporta tutte e sette le domande – la forma che la Chiesa ha accolto nella sua preghiera liturgica e catechetica – e una breve, quella di Luca. Sono diversi anche i contesti. Mentre Luca la mette in relazione con lo stupore dei discepoli a contatto della preghiera di Gesù, Matteo la inquadra in una catechesi sulla preghiera in generale.
“Insegnaci a pregare.. (Lc 11,1). Ma la preghiera. per essere autentica non deve sgorgare spontanea? Non deve fluire senza sforzo e senza artificio, come le parole della lingua materna? È talmente vero che essa corre spesso il rischio di ridursi ad esteriorità e a “chiacchiericcio”. La preghiera ridotta a pura esteriorità diventa ancor più facile preda della distrazione e finisce per generare noia e fastidio. Rimane però altrettanto vero che noi dobbiamo imparare a pregare. Le parole devono esprimere i nostri pensieri per essere sincere, ma se riconosciamo che – davanti a Dio – i nostri pensieri sono veramente troppo meschini, poveri e insufficienti e spesso anche banali, allora comprendiamo che hanno bisogno di essere elevati, che ci vogliono delle parole che non vengono da noi. Allora non sono più le parole che si debbono adeguare ai sentimenti, ma i sentimenti che si devono adeguare alle parole che Dio stesso ci suggerisce. “Voi dunque pregate così” (Mt 6.9).
Né vale dire che si può pregare senza parole. La preghiera, come il pensiero, non può mai essere del tutto senza parole. Saranno parole “interiori”, ma sempre parole sono. Nella tua camera, “chiusa la porta”, cioè lasciate fuori tutte le tue abituali occupazioni. distrazioni, affanni, nel segreto del tuo cuore pregherai così…
Imparare a pregare è come imparare una lingua. Prima di tutto occorre trovare qualcuno che ce la insegni. L’ideale è sempre un “madre lingua”. Che sappia parlare però anche la nostra.
Altrimenti non capiamo quello che dice e per imparare bisogna ascoltare. Occorre trovare qualcuno che sappia il fatto suo e poi bisogna ascoltarlo. Nell’ascolto – soprattutto all’inizio – non si capisce tutto. Si capisce poco, magari molto poco. Ma quel poco è sufficiente per innescare un processo di apprendimento. All’inizio è bene ripetere delle frasi “fatte”. L’elaborazione personale può venire solo quando si è già diventati abbastanza bravi. “lo come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho annunziato lo condannerà nell’ultimo giorno. Perché io non ho parlato da me, ma il Padre che mi ha mandato, egli stesso mi ha ordinato che cosa devo dire e annunziare. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico come il Padre le ha dette a me” (Gv 12,46-50). Come un maestro che dice: ascolta ora e – anche se non capisci – accogli le mie parole. Accoglile e usale. Ad esse conforma il tuo cuore.
Così imparerai a parlare.
Pregando il nostro cuore cambia. Cuore, cioè: mente e volontà, affetti e desideri, scelte e progetti. Pregando si viene esauditi, cioè si ottengono doni, “grazie”. Ma è un dono già il pregare. È una grazia pregare con il cuore, perché così il nostro cuore si purifica e cambia. Il primo cambiamento, quello più radicale, è l’ordine stesso dei desideri. Si incomincia dicendo “Padre” e chiedendo che il suo nome venga santificato, che il suo Regno venga, che la sua volontà sia fatta. Dio al primo posto. Non astrattamente, ma nei sentimenti più reconditi del cuore. “[…] tu vuoi la sincerità del cuore e nell’intimo m’insegni la sapienza” (Sal 50,8). Solo se Dio è veramente il primo, l’ uomo ritrova sé stesso. “[…] solo a partire da Dio si può comprendere l’uomo e solo se egli vive in relazione con Dio, la sua vita diventa giusta” (Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, 2007, p. 157).
“[…] anche nel Padre nostro viene affermato dapprima il primato di Dio, dal quale deriva da sé la preoccupazione per il retto modo di essere uomo. Anche qui si tratta innanzitutto della via dell’amore, che è allo stesso tempo una via di conversione.
Perché l’uomo possa chiedere nel modo giusto, deve essere nella verità. E la verità è: “prima Dio, il regno di Dio” (cfr. Mt 6,33). Dobbiamo innanzitutto uscire da noi stessi e aprirci a Dio. Niente può diventare retto, se noi non stiamo nel retto ordine con Dio. Perciò il Padre nostro comincia con Dio e, a partire da Lui, ci conduce sulle vie dell’essere uomini. Alla fine scendiamo sino all’ultima minaccia per l’uomo, dietro cui si apposta il Maligno può affiorare in noi l’immagine del drago apocalittico che fa guerra agli uomini “che osservano i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù” (Ap 12,17)” (Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, p. 164).