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La prima confessione – Opus Mariae Matris Ecclesiae

La prima confessione

Mercoledì 26 marzo 2025. Solo animi riconciliati possono portare nel mondo il Vangelo della riconciliazione: è l’esperienza della samaritana, che, ascoltando Gesù, ripensa alla sua vita e ritrova la pace

di Michele Brambilla

La Sala stampa vaticana diffonde un testo per l’udienza generale del 16 marzo. Dopo Nicodemo, Papa Francesco ci parla dell’incontro tra Gesù e una samaritana al pozzo di Giacobbe (Gv 4,5-42), che potremmo definire il “prototipo” di una buona confessione sacramentale. I dialoghi di Gesù «sono incontri che ci sorprendono» sempre, soprattutto quando il Signore va alla ricerca di persone “marginali”.

Cristo, però, non cerca persone a caso: vero Medico, cerca le anime malate per condurle a salvezza. «Questa probabilmente è stata anche l’esperienza della donna samaritana, di cui si parla nel capitolo quarto del Vangelo di Giovanni (cfr 4,5-26). Lei non si aspettava di trovare un uomo al pozzo a mezzogiorno, anzi sperava di non trovare proprio nessuno. In effetti, va a prendere l’acqua al pozzo in un’ora insolita, quando è molto caldo. Forse questa donna si vergogna della sua vita, forse si è sentita giudicata, condannata, non compresa, e per questo si è isolata, ha rotto i rapporti con tutti», sottolinea il Papa.

«Per andare in Galilea dalla Giudea, Gesù avrebbe potuto scegliere un’altra strada e non attraversare la Samaria. Sarebbe stato anche più sicuro, visti i rapporti tesi tra giudei e samaritani. Lui invece vuole passare da lì e si ferma a quel pozzo proprio a quell’ora»: non ha sete di acqua, ma di anime. Ha atteso la samaritana e attende noi allo stesso modo. «Colui che chiedeva da bere aveva sete della fede di questa donna», scrive infatti sant’Agostino d’Ippona (Omelia 15,11), puntualmente citato dal Santo Padre.

«Se Nicodemo era andato da Gesù di notte, qui Gesù incontra la donna samaritana a mezzogiorno, il momento in cui c’è più luce. È infatti un momento di rivelazione»: Cristo dichiara apertamente il suo essere Messia e descrive per filo e per segno le complicate vicende sentimentali della donna, rendendo evidente anche l’attributo divino dell’onniscienza.

La samaritana, a quel punto, come molte persone “colte in fallo” che non vogliono ammettere il loro peccato, spostano l’attenzione su argomenti più sterilmente polemici, in questo caso la contesa religiosa tra Samaritani e Giudei sul luogo in cui si deve adorare Yahvè. «Questo capita a volte anche a noi mentre preghiamo: nel momento in cui Dio sta toccando la nostra vita coi suoi problemi, ci perdiamo a volte in riflessioni che ci danno l’illusione di una preghiera riuscita. In realtà, abbiamo alzato delle barriere di protezione» attorno ai nostri vizi e alle nostre distrazioni, per auto-giustificarci. «Il Signore però è sempre più grande, e a quella donna samaritana, alla quale secondo gli schemi culturali non avrebbe dovuto neppure rivolgere la parola, regala la rivelazione più alta: le parla del Padre, che va adorato in spirito e verità», rimarca ancora una volta il Pontefice.

Una volta sentitasi compresa e perdonata, la samaritana corre subito a riallacciare i rapporti recisi chiedendo a tutti di venire ad incontrare Gesù, «perché è proprio dall’esperienza di sentirsi amati che scaturisce la missione. E quale annuncio potrà mai aver portato se non la sua esperienza di essere capita, accolta, perdonata? È un’immagine che dovrebbe farci riflettere sulla nostra ricerca di nuovi modi per evangelizzare», chiosa Francesco.

Il peso dell’anfora con cui la donna andava ad attingere acqua corrispondeva al peso interiore che la gravava assai di più. «Ma adesso l’anfora è deposta ai piedi di Gesù. Il passato non è più un peso; lei è riconciliata. Ed è così anche per noi: per andare ad annunciare il Vangelo, abbiamo bisogno prima di deporre il peso della nostra storia ai piedi del Signore, consegnare a Lui il peso del nostro passato. Solo persone riconciliate possono portare il Vangelo» della riconciliazione.