di don Emanuele Borserini
– Un modo molto interessante per comprendere la bellezza del racconto di Gesù e la samaritana è certamente quello di leggerlo nel contesto liturgico in cui sin dagli albori dell’epoca cristiana viene proclamato. I Padri della Chiesa, infatti, si servivano abbondantemente di questo racconto evangelico per la preparazione di coloro che avrebbero dovuto ricevere il Battesimo e che, sappiamo, erano adulti. Il contesto più immediato è, dunque, quello dell’ultimo periodo della catechesi dei catecumeni, ma anch’essa si inserisce in un contesto più ampio che è l’intera iniziazione cristiana.
Per noi è difficile comprendere l’importanza del cammino dell’iniziazione cristiana perché siamo abituati a farla coincidere semplicemente con il catechismo dei bambini, come fosse la “scuola dell’obbligo” della religione. Dobbiamo, invece, tornare con la mente a quando era una questione per adulti, un percorso lungo e molto serio scandito da momenti di effettivo discernimento operato dalla comunità cristiana sul candidato a cui facevano seguito momenti celebrativi che ne segnavano rigorosamente e solennemente le tappe. Un percorso di iniziazione all’interno di qualsiasi religione o gruppo sociale inizia con la richiesta di entrare a far parte di una data cerchia ristretta e ben identificata di persone e dura fino al raggiungimento della possibilità di partecipare a quei riti riservati esclusivamente ai suoi membri. Così anche quella cristiana iniziava con la domanda di entrare a far parte del numero dei cristiani e giungeva fino alla piena partecipazione alla celebrazione comunitaria dell’Eucaristia. Questa meta era come la conclusione di una vera e propria caccia al tesoro in cui ad ogni tappa si aggiungeva un tassello in più nella partecipazione ai riti della comunità fino a poter mangiare con essa l’Eucaristia. Coloro che compivano il cammino dell’iniziazione, infatti, entravano gradualmente in questa celebrazione e fino al Battesimo erano accompagnati fuori dopo la liturgia della Parola. Le tre tappe fondamentali dell’iniziazione erano, come sono ancora oggi, i tre sacramenti del Battesimo, della Confermazione e dell’Eucaristia. Ma anche prima del Battesimo, il percorso era scandito dalla celebrazione di numerosi sacramentali: esorcismi, benedizioni, scrutini, i riti della traditio e della redditio del Simbolo e del Padre nostro, i riti prebattesimali come l’unzione con l’olio dei catecumeni, l’imposizione del nome e del segno della croce. L’iniziazione non era, come in modo riduttivo la pensiamo oggi, una semplice istruzione ma una vera e propria esperienza rituale della fede. È interessante che il recente documento della Conferenza Episcopale Italiana sull’annuncio e la catechesi in Italia “Incontriamo Gesù” riprenda questa consapevolezza dicendo che l’incontro con Gesù, da cui il titolo steso del documento, a cui la catechesi lavora in ogni modo, nella liturgia finalmente “accade” (n. 17). L’iniziazione cristiana non è tanto il momento in cui si apprendono nozioni su Dio ma l’occasione privilegiata per l’incontro con Cristo perché il suo rapporto continuo con la celebrazione della liturgia permette che tutto ciò che viene narrato dal catechista su Dio accada e diventi parte della vita di chi vi si accosta. Se è vero che l’iniziazione cristiana per sua natura ha un inizio e una fine, possiamo anche dire con altrettanta verità che tutta la nostra vita è come un’iniziazione alla vita eterna, quindi lungo tutta la vita l’esperienza liturgica riveste un ruolo fondamentale perché accade quell’incontro continuamente annunciato nella doverosa formazione cristiana che tutti dobbiamo cercare di vere e invocato nella nostra preghiera personale.
Questo è il tesoro dell’esperienza dell’iniziazione che la Chiesa conosce da sempre e che dovremmo continuamente riscoprire. Ma ora veniamo al contesto più prossimo, quello della preparazione dei catecumeni all’imminente Battesimo, che nei primi secoli cristiani veniva di norma amministrato nella grande veglia della notte di Pasqua, “la madre di tutte le sante veglie” (Agostino, Discorso 219). Quest’ultimo periodo di preparazione veniva, pertanto, a coincidere con la Quaresima. Oggi noi abbiamo anche per l’itinerario quaresimale tre diversi cicli di letture bibliche da proclamare durante la celebrazione dell’Eucaristia domenicale, ma nell’antichità ne esisteva uno soltanto ed è quello conservato nel cosiddetto “Anno A” che stiamo vivendo proprio quest’anno. Per secoli in Quaresima tanti e tanti cristiani hanno celebrato l’Eucaristia domenicale ascoltando le pericopi di Vangelo assegnate a queste Domeniche, così hanno pregato generazioni e generazioni di santi che da esse hanno ricevuto nutrimento nella loro strada verso il Cielo: sentiamoci immersi in quest’unica grande storia di fede! Il percorso della Quaresima è composto di cinque Domeniche che si possono dividere in due parti, come del resto anche i cicli B e C. La prima e la seconda domenica sono comuni in ogni itinerario e costituiscono come i due battenti del portale della Quaresima: le tentazioni di Gesù nel deserto e la trasfigurazione di Gesù sulla montagna. Le altre tre sono vere e proprie catechesi battesimali che illustrano il significato del battesimo come vita che sgorga dall’acqua (la samaritana), illuminazione per il dono della fede (il cieco nato), passaggio dalla morte alla vita (la risurrezione di Lazzaro). Al centro di questo grandioso disegno catechetico c’è proprio il vangelo della samaritana. Questo racconto è anche quello che più esplicitamente fa pensare al battesimo perché Gesù si identifica con il segno sacramentale specifico del Battesimo che è l’acqua. Ma anche in tutti gli altri si possono riconoscere facilmente le immagini cristologiche che hanno dato vita ai riti preparatori e a quelli esplicativi del Battesimo. Non si faticherà a riconoscere nella trasfigurazione il significato della veste bianca o del rito dell’effatà; nei gesti fatti da Gesù per il cieco nato il rito della luce che il padre del bambino attinge al cero pasquale e porta vicino al neobattezzato; nella risurrezione di Lazzaro l’unzione con il crisma dell’immortalità.
Accanto alle pericopi di Vangelo, poi, ci sono le altre letture che contribuiscono a completare la catechesi battesimale di ogni Domenica. Quelle dell’Antico Testamento, che fanno da prima lettura, accompagnano il fedele a compiere un sintetico itinerario lungo tutta la storia della Salvezza a partire da Adamo, passando da Abramo, Mosè e Davide, fino alla venuta dello Spirito Santo. È un incontro a tu per tu con coloro che hanno anticipato Cristo esprimendo alcuni tratti della figura messianica e con la terza Persona della Trinità che continua a renderlo presente e operante oggi. È Gesù il “nuovo Adamo”, il giusto nel quale si compie la nuova alleanza, l’unto che guida il popolo dei redenti e lo vivifica con il suo Spirito effuso dalla croce. Le letture apostoliche, cioè la seconda lettura, raccontano dell’esperienza di tutto questo in una comunità cristiana concreta, compiendo l’itinerario della storia della Salvezza con la contemplazione della Chiesa. La grazia di ogni sacramento, infatti, viene data al singolo cristiano con un preciso compito ecclesiale, cioè affinché l’incontro con Cristo diventi come per la samaritana sorgente che zampilla per i fratelli e vivifichi tutta la Chiesa. Non c’è dono di Dio che sia ad uso e consumo proprio e nella liturgia possiamo sperimentare come l’esperienza personale avviene sempre in una comunità: nasce dalla celebrazione comunitaria e nell’edificazione della comunità si compie. La dimensione essenzialmente pubblica e comunitaria della preghiera liturgica ci deve far sentire membra vive e attive della grande comunità che è la Chiesa “diffusa su tutta la terra” (Preghiera eucaristica III) che durerà fino al ritorno glorioso di Cristo.
Ancora oggi quando una comunità cristiana ha la grazia di avere un catecumeno che si prepara al battesimo e con lui vive i momenti celebrativi previsti nelle Domeniche di Quaresima, in quella chiesa non si proclamano le letture degli anni B e C ma sempre quelle dell’anno A: è tanto importante il legame tra il Battesimo e queste catechesi evangeliche che esso prevale sul normale alternarsi dei testi della liturgia della Parola della Chiesa universale. Lungo questa Quaresima cogliamo l’occasione per riscoprire e approfondire il nostro Battesimo e la nostra fede di cui esso fu la porta solenne. Che ci sia un sacramento all’inizio della nostra fede è molto importante per comprenderla. La parola sacramento indicava presso gli antichi romani il giuramento di fedeltà prestato dal soldato all’imperatore e alla patria ratificato spesso con un tatuaggio indelebile nel suo corpo per cui anche in caso di diserzione, cioè di infedeltà al giuramento, sarebbe stato sempre riconoscibile. Un sacramento è dunque un impegno preso, certamente da chi lo riceve nei confronti di Dio come del soldato all’imperatore, ma molto di più nel nostro caso, un impegno preso da Dio verso noi suoi figli. Esso ci rende riconoscibili anche quando siamo infedeli, riconoscibili non per la punizione ma perché si rinnovi il dono dell’amore di Dio. Molte volte nell’Antico Testamento è usato il verbo “giurare” per descrivere i propositi di Dio, cioè per dire la verità delle sue promesse e la sua fedeltà nel realizzarle. Per noi è importantissimo questo spostamento dell’ago della bilancia: la fedeltà che conta nel rapporto con Dio sancito dal giuramento dei sacramenti non è la nostra ma quella di Dio. Se fosse la nostra, saremmo ancora nell’antica alleanza e, come sappiamo bene, durerebbe davvero poco. La fedeltà su cui si basa la Nuova Alleanza è quella dimostrata da Dio che ha assunto su di sé tutta la responsabilità del contratto mandando e sacrificando il suo Figlio unigenito. Nel rito del Battesimo dei bambini la prima domanda che viene fatta ai genitori dopo quale sia il nome che vogliono dare al bambino è: “Per vostro figlio cosa chiedete alla Chiesa di Dio?” Ad essa si può rispondere ovviamente “Il battesimo” oppure anche “La fede” oppure ancora “La grazia di Cristo” o “La vita eterna”. La fede, dunque, prima che una realtà esistenziale, è un dato. È un dato in senso letterale: qualcosa di donato che non dipende da noi e per questo rimane, come i dati di un problema matematico che non dipendono dalla soluzione o dallo svolgimento. Tutta la vita cristiana è la fatica per farla crescere, una lotta contro il diavolo come nel vangelo delle tentazioni o una salita sulla montagna come in quello della trasfigurazione, ma il tesoro della fede depositato in noi con il Battesimo non finisce mai. Nessuno può mai dire di aver perso la fede in senso stretto: essa cresce o diminuisce come il rapporto con qualsiasi persona ma non finisce mai perché alla sua origine c’è il giuramento di Dio. Abbiamo alle spalle della nostra vita cristiana questo tesoro: non lasciamocelo mai alle spalle! Addirittura, la fede è un dato che ci viene dato così bene da renderci capaci di darlo anche ad altri. Ed è questo il modo migliore per tenerla viva.
La fede, dunque, lungi dall’essere un sentimento come oggi a molti piace presentarla, è anzitutto il contenuto di un rito di iniziazione, un dato da cui sempre ripartire per provare a risolvere il “problema” della vita umana. Il discorso di Gesù alla samaritana, proprio perché strettamente legato all’esperienza della sua vita ha anche una forte connotazione liturgica e conclude addirittura con una chiara indicazione liturgica. Esso parte apparentemente da lontano, dall’acqua che disseta fisicamente (v. 7), ma ben presto l’acqua si rivela segno della sete di salvezza e redenzione di quella donna in cui anche tutti noi siamo rappresentati, ognuno con i suoi peccati (v. 10). Infine, la rivelazione che Gesù le fa di sé stesso come il Messia atteso che conclude il suo discorso (v. 26) non è fine a sé stessa, essa segue immediatamente l’annuncio del ristabilimento della liturgia secondo la sua vera direzione (v. 21): non sarà più un monte e nemmeno Gerusalemme il centro del culto, ma Gesù stesso perché l’adorazione avverrà “in spirito e verità” (v. 23). L’acqua di Gesù è anzitutto la conoscenza di lui, una conoscenza che però non può essere solo intellettuale, è una versa esperienza perché si tratta di una persona, non di un’idea. È in lui che da quel momento in poi si realizzerà il culto perché in lui Dio si è rivelato pienamente. La liturgia è la relazione personale con Cristo, il volto del Padre. Ecco perché l’esperienza liturgica con i suoi segni ci è necessaria: tutto ciò che di Dio si può meravigliosamente dire lì, semplicemente, accade!