Mercoledì 14 febbraio 2024. L’accidioso prova disgusto per tutto, compresa la sua vita. Nelle traversie, invece, è importante “non mollare” e costruire le nostre difese interiori
di Michele Brambilla
Come spiega Papa Francesco nell’udienza del 14 febbraio, l’accidia significa «mancanza di cura», dovuta ad uno stato d’animo che, di fronte a forti difficoltà o alla pressione sociale contraria, può arrivare a ritenere vano fare il bene. «Si tratta di una tentazione molto pericolosa; non scherzare con questa. Chi ne cade vittima è come fosse schiacciato da un desiderio di morte», denuncia il Papa, per il quale l’accidioso «prova disgusto per tutto; il rapporto con Dio gli diventa noioso; e anche gli atti più santi, quelli che in passato gli avevano scaldato il cuore, gli appaiono ora del tutto inutili» perché, per diverse circostanze, ha smarrito l’entusiasmo degli inizi. Non è forse il ritratto del nostro Occidente, triste perché rifiuta le sue radici spirituali e culturali?
«Quando legge, l’accidioso sbadiglia spesso ed è facilmente vinto dal sonno, si stropiccia gli occhi, si sfrega le mani e, ritirando gli occhi dal libro, fissa il muro; poi di nuovo rivolgendoli al libro, legge ancora un po’», esemplifica il Pontefice sulla scorta del monaco Evagrio Pontico (345-399 d.C.). «Infatti, per chi è preso dall’accidia, la vita perde di significato, pregare risulta noioso, ogni battaglia appare priva di senso»: perché pregare, perché lottare, infatti, se non si riesce più a credere in un Dio Padre buono e provvidente?
Come insegnano gli Esercizi ignaziani, «benché sotto la sferza dell’accidia il desiderio dell’uomo sia di essere “altrove”, di evadere dalla realtà, bisogna invece avere il coraggio di rimanere e di accogliere nel mio “qui e ora”, nella mia situazione così com’è, la presenza di Dio»: Egli, infatti, non si è certamente dimenticato di me e, se anche tutto sembra complottare contro il mio permanere nella fede cattolica, questo tempo che devo trascorrere sulla Terra prima della beatitudine eterna mi è stato ugualmente donato per santificarmi, alla pari di chi è vissuto in epoche più felici dal punto di vista cristiano. Non è facile, ma è questione di salvezza provare a crederci.
Neanche per i santi canonizzati la vita è sempre stata “rosa e fiori”: anzi, «ci insegnano ad attraversare la notte della pazienza accettando la povertà della fede. Hanno raccomandato, sotto l’oppressione dell’accidia, di tenere una misura di impegno più piccola, di fissare traguardi più a portata di mano, ma nello stesso tempo di resistere e di perseverare appoggiandoci a Gesù, che mai ci abbandona nella tentazione». Sempre in termini ignaziani, si tratta di non abbandonare nella desolazione i propositi formulati nei tempi di consolazione. «È quella fede che rimane nel cuore, come rimangono le braci sotto la cenere. Sempre rimane. E se qualcuno di noi cade in questo vizio o in una tentazione di accidia, cerca di guardare dentro e custodire le braci della fede», esorta il Santo Padre.
Parlando ai fedeli di lingua italiana, il Papa ricorda che è Mercoledì delle Ceneri, festività che dà inizio alla Quaresima. «Disponiamoci a percorrere questo tempo come occasione di conversione e di rinnovamento interiore nell’ascolto della Parola di Dio, nella cura dei fratelli che necessitano, necessitano tanto. E qui non dimentichiamo mai la martoriata Ucraina e la Palestina e Israele che soffrono tanto». In proposito, elogia ancora una volta la carità verso gli ucraini delle diocesi polacche.